MUSICA

Dalle Ande alle Alpi

Hanno cantato un continente, quello latinoamericano. E hanno incarnato molte generazioni dagli anni Settanta. Gli Inti Illimani non sono solo un gruppo musicale. Ma anche un simbolo. Di come la musica possa far vibrare la tensione del cambiamento. Ancora oggi. Intervista al fondatore.
Vincenzo Dell’Olio

Pensate a un musicista il cui gruppo è sulla scena internazionale da oltre 30 anni e i cui pezzi fanno parte dell’immaginario di un’intera generazione. Avete presente? Bene, ora immaginatelo mentre telefona alle 10 di una domenica mattina al suo intervistatore per scusarsi di aver avuto il cellulare scarico per l’intervista fissata il giorno prima. Fatto? Lo so, in effetti questo passaggio credo sia più difficile del precedente. Eppure c’è qualcuno così tanto fuori dal comune da fare una cosa simile. Uno come Jorge Coulon, storico fondatore del gruppo cileno degli Inti Illimani.
È stato così che prima ancora di iniziare l’intervista, era già forte l’impressione di avere a che fare con una persona senza arie o atteggiamenti da star, un uomo autentico come i messaggi che la musica del suo gruppo trasmette.

Un po’ di storia
Fin dagli anni Settanta, gli Inti Illimani hanno cantato il Sudamerica come pochi. E come pochi hanno incitato alla resistenza dei popoli contro le ingiustizie, le stesse che il loro Paese subiva dolorosamente proprio negli anni dei loro primi successi. Era l’11 settembre, quello meno conosciuto, quello del 1973, quando il colpo di Stato di Augusto Pinochet, attuato con

El pueblo unido jamas serà vencido
di Quilapayun e S. Ortega (Inti Illimani) 1970

De pie cantar, que vamos a trionfar,
avanzan ya banderas de unidad
y tù vendrás marchando junto a mì
y asì verás tu canto y tu bandera flocerer.
La luz de un rojo amanecer
anuncia ya la vida que vendrà.
De pie marchar, que el pueblo va a triunfar;
serà mejor la vida que vendrà.
A conquistar nuestra felicidad
y en un clamor mil voces de combate se alzaràn;
diràn canciòn de libertad.
Con decisiòn la patria vencerà.
Y ahora el pueblo que se alza en la lucha
con voz de gigante gritando: adelante!
El pueblo unido jamás será vencido!
La patria està forjando la unidad;
de norte a sur, se movilizarà,
desde el salar ardiente y mineral,
al bosque austral, unidos en la lucha y el trabajo,
iràn, la patria cubriran.
Su paso ya anuncia el porvenir.
De pie cantar, que el pueblo va a triunfar.
Miliones ya imponen la verdad;
de acero son, ardiente batallòn,
sus manos van llevando la justicia y la razon.
Mujer, con fuego y con valor
ya estas aquí junto al trabajador.
Y ahora el pueblo que se alza en la lucha
con voz de gigante gritando; adelante!
El pueblo unido jamás será vencido!
l’appoggio della CIA, spodestò in maniera sanguinosa il governo socialista democratico di Salvador Allende, instaurando un regime dittatoriale. Gli Inti Illimani, che nell’ambito dell’esperienza della “Nueva Canción Chilena” avevano appoggiato, insieme ad artisti come Violeta Parra e Victor Jara, la campagna elettorale di Allende, furono costretti a un esilio forzato in Italia che, per 15 anni (fino alla fine del regime), diventò la loro patria adottiva.
Da allora il legame con il nostro Paese è rimasto forte e ricco di collaborazioni e influenze non solo artistiche. Nell’ultimo lavoro del gruppo, Viva Italia, un cd live e un libro costruiscono un pezzo alla volta un mosaico di canzoni, storie, ricordi e ancor più di sensazioni ed emozioni legate a 30 anni di stretta relazione con l’Italia. La musica e la poesia di cantautori come Dalla, De Gregori, De Andrè, ma anche il rapporto con la canzonetta di Sanremo che tanto successo aveva in Cile e soprattutto il sogno trasmesso del cinema italiano che, afferma sorridendo Jorge, li aveva allevati dall’altra parte dell’oceano attraverso le immagini di un’Italia spesso diversa da quella conosciuta in seguito.

Un vicino scomodo
Al momento dell’intervista si è appena concluso a Roma il tour che ha portato gli Inti Illimani in giro per l’Italia e a cui seguiranno concerti in Cile, Colombia, Perù e che a maggio approderà negli Stati Uniti. Un percorso a suo modo simbolico che rappresenta una visione del mondo assolutamente priva di preconcetti o facile retorica antiamericana. “Gli Stati Uniti non sono necessariamente un nemico. Tutto è strettamente legato al dialogo. I Paesi sudamericani, in particolare sono un po’ come il cortile di casa degli States – afferma Jorge – occorre conviverci con la consapevolezza che gli Usa non siano un unico e mostruoso nemico disposto a ingoiarci. Certo ora con Bush ci sono molte imposizioni e poca attenzione ai problemi reali ma – continua – se cambiasse il loro governo, cambierebbe anche l’aria che respiriamo”.
La discussione si sofferma sulla situazione sudamericana e con qualche sospiro Jorge commenta il variegato contesto dei diversi Stati. “Dappertutto, Cile compreso, c’è molta povertà e una divisione assolutamente impari della ricchezza. Le ricette miracolose sull’economia di Paesi come Perù e Argentina sono crollate miseramente, Ecuador e Bolivia stanno attraversando forti e pericolose crisi istituzionali e anche i governi più progressisti come in Uruguay e Brasile non riescono a fare abbastanza per alleviare le difficoltà di gran parte della popolazione”.
“Il problema fondamentale è di civiltà – afferma deciso Jorge allargando il discorso anche al resto del mondo – occorre comprendere che non si può resistere a questa ineguaglianza. Stiamo assistendo a migrazioni di proporzioni bibliche. Le certezze del capitalismo stanno crollando su se stesse facendone emergere il lato più brutale senza che vi sia nessun contrappeso. Si è contenti perché ora i cinesi compreranno più automobili e non ci si accorge che questo non è un rimedio per la sopravvivenza dell’umanità. Ormai tutto è come una grande pentola a pressione”.

El pueblo unido
Le parole di Jorge sono semplici ma vanno dritto al punto tracciando un quadro lucido, un ritratto amaro del mondo, ma allo stesso tempo trasmettono un’invocazione all’unione e alla resistenza. Un’eco forte che si riflette ancor più nella musica degli Inti Illimani, che ancora oggi dopo più di 30 anni non smette di cantare la speranza. “Il futuro è della vita, i popoli amano la vita” recita una delle loro celebri canzoni. Questo amore per la vita gli Inti Illimani lo vivono senza perdere mai contatto con la loro gente. “In una situazione spesso disastrosa notiamo una grande nota positiva che nasce da un evidente volontà popolare di canalizzare i fermenti in forme democratiche e non più in atti violenti come in passato”. Almeno a qualcuno la storia ha insegnato qualcosa.
Parlando delle differenze dell’epoca attuale paragonata al decennio di lotte politiche e sociali degli anni Settanta, Jorge non tradisce nessun rimpianto. “Spesso più che un rimpianto quella di molti è soltanto nostalgia della gioventù – dice – i tempi che viviamo sono i nostri tempi e come tali vanno vissuti. Oggi è ancora possibile una forma di resistenza civile e culturale di forte impatto. È addirittura necessaria e indispensabile. Una delle forme più belle è stata ad esempio quella che ha portato nel 2001 l’Italia a riempirsi di bandiere della Pace, il segno migliore contro le ben poco democratiche strategie del potere. Non bisogna arrendersi né abbassare le braccia perché, seppur non sempre ci sia una proposta coerente, un’alternativa unitaria, tutti sappiamo molto chiaramente quello che non vogliamo”.
Per la fine dell’estate è previsto il nuovo lavoro del gruppo. L’album, forse un doppio cd, sarà soprattutto un tributo allo scrittore e cantautore Patricio Manns, noto in Italia per il suo romanzo Patagonia Magica. Un personaggio grandioso, come ci spiega Jorge, che al contrario di come spesso avviene, merita un omaggio già in vita per quello che le sue opere rappresentano per il Sudamerica. Nel 1973 per celebrare la morte del suo amico Victor Jara, ucciso durante il colpo di stato cileno, Manns scrisse: “Senza corpo nasce il menestrello; nasce soltanto di voce e il tiranno crudele quando lo sente cantare cerca invano di strappare, col suo corpo, la radice che canta. La sua bocca è mille vulcani, le sue mani montagne rare, e per uccidere Victor Jara hanno riempito di Jara il Cile”. In questi versi, forse c’è tutto il senso di quella forza del popolo che gli Inti-Illimani incitano da tempo immemore continuando a portare in tutto il mondo la loro musica e la voce dei più deboli.
I loro concerti finiscono sempre con quella che ormai più che una canzone è da considerarsi un inno alla resistenza. Mi piacerebbe poter finire fra quei versi anche questo nostro piccolo racconto: “El pueblo unido jamas sera vencido”.

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