Viaggio nel Cpt di Ponte Galeria centro della "banalità del male"

Sbarre o plexiglass, tv al plasma, biblioteca e campi sportivi resta comunque un luogo di reclusione. Sguardi rassegnati e lacrime di donne, rabbia e indignazione dietro i cancelli chiusi in fretta
24 giugno 2007
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

E ' il fiore all'occhiello fra i Centri di Permanenza Temporanea. Al nostro arrivo i responsabili della polizia e della Croce Rossa ci mostrano le sale per i colloqui con i legali, l'infermeria, i campi dove ci si allena, la biblioteca. «C'è persino la televisione al plasma» sottolinea il dr Aldi.
Ecco a voi Ponte Galeria, 300 posti letto di cui 190 attualmente occupati, a due passi dalla capitale, da Parco Leonardo e dalla nuova Fiera. Lo abbiamo visitato mercoledì, per capire che aria si respira fra le sbarre che trattengono gli immigrati indesiderati dal nostro paese, a oltre un anno di governo di centro-sinistra. Proviamo un sussulto di gioia quando ci annunciano che le sbarre che vediamo ovunque, a breve, saranno smantellate, ma dura solo un attimo e la delusione è grande quando sentiamo che, presto, «verranno sostituite dal plexiglass»: il pensiero vola all'immagine di tante serre, sotto il sole di giugno. Visitiamo prima la sezione femminile. Gli sguardi rassegnati delle straniere parlano lingue diverse, divise per nazionalità. Nelle loro stanze pagine di riviste patinate tappezzano le pareti; pare che sia un ottimo rimedio contro il caldo. Con il pretesto di mostrarci il luogo in cui vivono, le donne ci avvicinano per parlare e raccontarci le loro storie: qualcuna ci fa vedere i fiori di carta che crea per trascorrere il tempo, qualcuna piange...
Approccio molto diverso incontriamo nella sezione maschile. Qui la rabbia si palesa ed è trattenuta a stento dai guardiani che richiudono i cancelli dietro di noi troppo in fretta, quando entriamo. Qui capita che un tunisino che da 17 anni vive in Italia e che qui ha sostenuto l'esame di abilitazione come geometra, che parla 5 lingue, faccia da interprete a nigeriani e maghrebini e, evitando di "farci perdere tempo" con il racconto della propria storia, ci conduce da coloro che a suo avviso meritano un'attenzione particolare. Scopriamo così, fra le tante storie, un malato di mente che viene vestito, lavato, nutrito dagli altri "ospiti", un ragazzo algerino con una gamba ferita in modo gravissimo dopo essere stato investito con un trattore dal suo datore di lavoro, che lo teneva al nero, in Calabria. Inizia il prevedibile valzer di versioni divergenti: i responsabili del centro sostengono che esistano interpreti da ogni lingua, a disposizione degli stranieri che, però, affermano il contrario. Nella maggior parte dei casi le persone con cui parliamo denunciano di aver avuto a disposizione un traduttore solo al momento dell'ingresso nel centro e durante l'incontro con il giudice, per un tempo da tutti giudicato insufficiente a spiegare la propria situazione.
Quello che colpisce, a Ponte Galeria, non è l'eccezione, ma la regola, la "la banalità del male".
Sconvolge che, per la legge italiana, sia perfettamente legale che Divina, una Filippina che vive in Italia da 27 anni, che era già qui durante il terremoto in Irpinia, che ha visto la vittoria dell'Italia nell'82, che ha attraversato la Prima e la Seconda Repubblica, debba tornare nel suo paese perché non le hanno rinnovato il permesso di soggiorno. Non si tratta di un errore dell'Amministrazione ma di un orrore previsto dal nostro Codice penale.
Così come è tristemente normale che un detenuto, dopo aver trascorso 16 anni in carcere, una volta liberato, sia fermato dalla polizia mentre cerca di tornare nel suo paese e trattenuto a Ponte Galeria come clandestino.
Esiste, nella nostra legislazione, un'anomalia che prevede che un padre sia rimpatriato e che la figlia di un anno rimanga qui "in attesa del ricongiungimento".
In un paese la cui burocrazia è odiata per le sue lungaggini, spaventa la discrezionalità con cui viene riconosciuto il diritto allo status di rifugiato politico: con quanta fretta verrà rispedito a casa un kurdo che, per l'Italia, resta cittadino turco e, pertanto, proveniente da un paese in cui non esiste un conflitto dichiarato? Come spiegherà un cittadino nigeriano di non poter tornare a casa perché perseguitato politico, come si potrebbe facilmente evincere dalla cicatrice a mezzaluna che qualcuno, nel suo paese, gli ha procurato con un machete?
Esiste, al di sopra di tutto, la normalità di benpensanti italiani che pagano badanti per anni, al nero, e che, una volta che queste sono portate a Ponte Galeria, dichiarano di non averle mai conosciute. La stessa "brava gente" che, a volte, risparmia in questo modo sullo stipendio dell'ultimo mese della domestica di turno.

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