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Denuncia l’uomo violento, rispedita nel Cpt ed espulsa

Storia di Maria, 53 giorni nel centro di Ragusa perché senza documenti. Libera con decreto di espulsione chiede aiuto contro le botte. Risultato: altri 25 giorni dietro le sbarre e il rimpatrio coatto in Bulgaria
15 settembre 2006
Stefano Galieni
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Il volo è partito ieri alle 12 e per Maria, cittadina bulgara, che si era fidata della giustizia italiana, non c’è più nulla da fare. L’ennesima prova che Kafka resta, anche con il cambio di governo, l’autore prediletto di questure e prefetture per decidere della sorte delle persone.
Più o meno 80 giorni fa Maria era stata “intercettata” priva di regolari documenti, a Catania. Il percorso obbligato l’ha portata nel cpt di Ragusa - struttura esclusivamente destinata alle donne in attesa di essere identificate ed espulse - situato in un complesso recintato nella centrale via Colajanni. Un posto già al centro di polemiche: struttura inadeguata ad ospitare persone, situata com’è fra palazzine i cui balconi si distinguono proprio per la “vista panoramica” sul Centro, ma soprattutto luogo di costrizione in cui le recluse non vengono spesso a conoscenza dei diritti che possono esigere, primo fra tutti quello di chiedere asilo, e in cui la vita è sorvegliata non solo da personale quasi esclusivamente maschile ma anche da telecamere situate nelle stanze. Scarsa anche l’assistenza sanitaria: è dello scorso anno il decesso, dopo mesi di sofferenza per una meningite non curata, di una donna.

Maria è restata 53 giorni in quell’inferno: comunicare con l’esterno è pressoché impossibile, occorre l’autorizzazione del prefetto anche per parlare da dietro le sbarre. Libera con un decreto di espulsione in tasca, Maria tenta di continuare una battaglia iniziata prima del suo fermo: torna a Catania e denuncia il proprio convivente, alcolista e manesco, per le percosse e le violenze continuamente subite. Vuole essere protetta dal suo uomo, dopo essere fuggita da un marito che nel suo paese le infliggeva trattamenti altrettanto umilianti, ma i suoi bisogni e i suoi disagi contano poco per la legge italiana. La sua libertà dura meno di due giorni, a Catania la ascoltano, si accorgono che è senza documenti e che ha un decreto di espulsione, la rispediscono nel cpt. Altri 25 giorni di tentativi, poi una chiamata l’altro ieri notte: «Ho saputo che mi riportano domani in Bulgaria. Se mi trova mio marito mi ammazza. Aiutatemi». Non c’è nulla da fare, l’avvocato, gli operatori di Msf e del Collettivo antirazzista di Ragusa e Catania riescono a malapena a scambiare qualche parola con lei, poi il veicolo che la porta verso l’aeroporto se ne va.

Chi opera nei pressi nel centro chiede aiuto, si sente dimenticato e dichiara che a Ragusa continuano, nell’indifferenza, ad avvenire cose inaudite.

Ma l’intero fronte dei cpt è sotto i riflettori. La commissione ispettiva voluta dal ministro Amato è stata l’altro ieri a Torino. Il locale centro di via Brunelleschi, da sempre in condizioni di degrado doveva essere rammodernato. C’è un progetto approvato - risalente al precedente governo - che stanziava 12 milioni di euro per ricostruirlo ex novo, alla faccia delle esigenze di risparmio e di rigore. Dopo aver sentito le realtà che operano nel territorio, Staffan De Mistura, che presiede la commissione, ha chiesto al governo una moratoria: nessuna decisione deve essere presa prima delle conclusioni della commissione.

Accadono anche altri fatti che mettono in luce l’incuria e la chiusura burocratica nei confronti di chi viene a cercare un futuro nel nostro paese. A Palazzo S. Gervaso (in provincia di Potenza) esiste l’unico vero centro di accoglienza per i lavoratori migranti nell’agricoltura, ma gli scarsi fondi a disposizione del comune non permettono di fornire grandi prestazioni. Sono intervenute le forze dell’ordine con una retata: controllo dei documenti, sei persone fermate perché irregolari, 5 rilasciate con il decreto di espulsione, uno fermato perché già espulso. Oggi verrà emanata una ordinanza che porta alla chiusura del campo. Una scelta obbligata e in parte motivata, ma uno spazio in meno.

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