Un gioco di rete
Marco Deseriis è coautore del libro Net.Art. L'arte della connessione per i tipi della Shake Decoder, è animatore del nodo italiano del network The Thing, ha sviluppato gran parte della sua attività di pubblicista sulle nuove forme della comunicazione estetica e politica. Gli abbiamo rivolto alcune domande nell'occasione dell'evento berlinese hackt.it.art.
Hai scritto un libro sulla net-art intesa come arte del network, puoi dirci qual è tua tesi in proposito?
La tesi di fondo del libro scritto insieme a Giuseppe Marano è che la net art sia soprattutto un connettore semantico di pratiche artistico-politiche anche distanti anni-luce tra loro, ma con un elemento comune: l'apertura alla ricombinazione (formale, linguistica, politica) e al gioco di rete. Poco importa, in questo senso, che queste pratiche siano fisicamente connesse alla rete. La rete è il mezzo tramite cui l'ibridazione ha proceduto velocissima. E a un'accelerazione quantitativa corrisponde anche una mutazione qualitativa del modo di fare arte e di fare politica.
Secondo te c'è qualcosa di nuovo nella scena dell'attivismo artistico digitale in Italia?
Sì, qualcosa si muove. Diciamo che ci sono alcuni gruppi di artisti e hacktivisti italiani (Jaromil, Candida Tv, Giardini Pensili) che sono ben noti sulla scena internazionale. Altri, come gli 0100101110101101.org, che stanno sfondando anche nel mercato dell'arte tradizionale. E alcuni `giovani', come Molle Industria, Fabio Franchino e Luca Bertini che rappresentano la seconda onda della net art italiana.
A Berlino c'è hack.it.art, un evento realizzato in cooperazione con istituzioni importanti.
È un evento che spazia in varie direzioni, ma con la net art c'entra poco. Il campo di ricerca va da alcune frange creative del movimento italiano alla `vecchia guardia' di Strano Network di Tozzi, Verde e Bucalossi. In ogni caso è significativo che questo tipo di legittimazione venga, ancora una volta, dall'estero.
Perché questo non accade in Italia?
Perché in Italia il ricambio dei dirigenti all'interno del mondo dell'arte è molto più lento. E chi gestisce le istituzioni che potrebbero puntare su questo settore non ne capisce un tubo. Ed è in perenne ritardo.
È lo stesso motivo per cui in Italia, al contrario di molte città europee non esistono medialab?
Sì, ed è il motivo per cui la scena degli hacklab italiani, dove esistono capacità e competenze simili a quelle impiegate in alcuni medialab europei, rimane un mondo a parte. Il che ha il vantaggio della totale autonomia, e lo svantaggio di poter dialogare con più difficoltà con un pubblico non politicizzato.
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