Giornalisti inghiottiti nella violenza irachena

14 febbraio 2004
Iason Athanasiadis

In un tipico giorno di notizie a Baghdad un giornalista anglo-arabo di un network internazionale viene mandato dal suo editore in una zona bombardata dove un missile ha colpito una casa.

Nel tempo che ci ha impiegato per arrivarci le truppe americane sono gia' sul luogo e avevano problemi di comunicazione con i residenti. Il giornalista parla un arabo fluente cosi' incomincia a tradurre tra gli abitanti arrabbiati e l'americano maggiore in carica.

Piu' tardi, mentre stava ripensando all'incidente nella sua mente, fissava il momento in cui aveva oltrepassato la linea invisibile tra il riportare un evento e l'essere parte di esso.

Subito la folla arrabiata lo pressò spingendolo e interrompendolo.

"Fui assalito dicendomi che ero un traditore" disse il giornalista la settimana scorsa in una intervista telefonica da Baghdad. "Sentivo che volevano ammazzarmi perchè stavo traducendo per gli americani."

Seguendo l'incidente il giornalista conclude dicendo: "se lavori per le organizzazioni occidentali tu sei come se non più di un obiettivo". Adesso è nuovamente a Londra dopo aver completato due tour di servizio in Iraq. Non ha accettato di tornarvi una terza volta.

Richard Wilde non e' stato altrettanto fortunato. Il ventiquattrenne cameraman freelance venne ammazzato in un giorno soffocante della scorsa estate a Baghdad. L'attacco avvenne in un ampio spazio di fronte al museo nazionale occupato. Wilde ha avuto solo il tempo di spostarsi dal posto di blocco stradale americano dove stava parlando con un soldato.

La sua morte è stata uno dei più recenti e dolorosi esempi di un giornalista ucciso nel momento in cui i network internazionali in Iraq stanno spendendo milioni di dollari per proteggere i propri inviati.

"Sembra che abbiano realmente provato ad incrementare tutte le garanzie possibili durante quest'ultima guerra" dice Cezarine Sazes funzionario della redazione del Medio Oriente di Reporter Senza Frontiere. "Molti giornalisti vengono mandati a corsi di addestramento, sebbene la situazione è molto diversa e dipende dalla grandezza, dalle risorse e dalla nazionalità di ogni media."

Gli opulenti network hanno ingaggiato con la sicurezza privata delle mosse che segnano un rapporto che fino ad ora era stata fortemente limitata a corsi di addestramento al di fuori di zone di guerra. Con i pericoli di un apparente stato di guerra apparente in ogni posto in Iraq, consiglieri per la sicurezza privati vengono assunti per accompagnare i giornalisti e per innescare animati dibattiti nei processi. "E' un grande periodo per gli ex soldati della SAS(Servizi aerei speciali)", dice Dima Hamdan, un giornalista giordano che lavora per il servizio arabo della BBC, che era di recente in Iraq, "ma sono solo i network americani che hanno una sicurezza armata. Gli inglesi dicono che è sbagliato perché l'ultima cosa che vogliono è avere una sparatoria che può solo che aggravare la situazione."

Non solo è sbagliato, ma alcuni lavoratori dei media sono accompagnati da consiglieri per la sicurezza armati (i critici li chiamano mercenari) e la professione viene vista con sempre maggior sospetto da parte dagli esterni. I giornalisti che vengono messi sotto il pericolo maggiore sono i mal sopportati freelance che non possono permettersi di affrontare una spesa di 500 $ al giorno per un consigliere armato.

"E' importante che la differenza tra giornalisti e militari rimanga ben chiara", dice Sazes," aver guardie armate può confondere le acque tra le due professioni nella mente della gente (irachena)."

Paul Rees non è d'accordo. Il direttore del Centurion Risk Services ha rivoluzionato il campo della sicurezza per i lavoratori dei media quando ha introdotto il concetto di corsi di addestramento in ambiente ostile che insegnano ai giornalisti le basi per sentirsi sicuri nel mezzo di una rivolta in una zona di guerra.

"In Iraq, i sudditi fedeli a Saddam non si stanno arrendendo e neppure lo farà la coalizione. I giornalisti vengono presi nel mezzo ed hanno bisogno di una protezione" dice ad Asia Times Online. " Noi conosciamo media che vogliono essere visti come neutrali, è parte della loro occupazione. Io penso che vogliano avere dei consiglieri armati perché non stanno lavorando in una guerra tipica dove si sa chi sta combattendo contro cosa. Qui il nemico è sconosciuto e inaspettato."

Avere a che fare con un nemico invisibile non è economico. Sei mesi prima che i carri armati americani attraversarono il confine del Kuwait verso l'Iraq, la CNN ha convocato i capi dell'ufficio del Medio Oriente nella sede di Londra e ha annunciato che avrebbero speso un milione di dollari per mettere in sicurezza il loro staff.

La recente uccisione di due impiegati della CNN in un'imboscata a Baghdad ha imposto una revisione delle misure di sicurezza sulla base anche di richieste da parte di giornalisti di base in Iraq che dicevano che non era stato fatto abbastanza per proteggere lo staff locale e che le normali procedure di sicurezza non venivano seguite.

"Loro non hanno più parlato dopo l'incidente, perché stanno rivedendo le misure di sicurezza", dice Nigel Pritchard, un portavoce della CNN ad Atlanta, "quando lo faremo sarà ad un unica voce."

Ciò nonostante né CNN né la BBC hanno messo in discussione le loro misure di sicurezza, un giornalista canadese che era di recente a Baghdad ha riferito che l'organizzazione inglese ha appena preso in consegna due mezzi blindati dal costo di 150.000 $ l'uno.

"Io non penso che la vicenda in Iraq stia perdendo importanza", dice il giornalista canadese, che parla in anonimato, "Parecchie organizzazioni hanno realizzato alcuni mesi fa che l'Iraq continuerà ad essere una storia di importanza primaria per almeno ancora un anno se non due. Adesso tutti sta cercando di immaginarsi come saranno in grado di mantenere la copertura, farlo in modo sicuro e amministrare in modo da poterselo permettere."

Con la costosa sicurezza privata rimasta quale unica opzione per i network di notizie che stanno avendo un'emorragia finanziaria ai budget già indeboliti, tagli sono necessari. "E' inevitabile si arriva sempre a questa situazione," dice Rees del Centurion. "Tagli ci sono stati in Iraq nel 1991, nei Balcani, in Bosnia, Macedonia, Afghanistan, dove anche i governi hanno tagliato. Bisogna ridurre da qualche parte e la sicurezza è parte di questa procedura."

"La sicurezza armata può costare migliaia di dollari in un giorno per il mantenimento," dice il giornalista canadese. "A questi prezzi i network di piccoli paesi con budget limitati non possono neanche permettersi una singola guardia e per la maggior parte di loro è una lotta anche trovare il denaro per mantenere un corrispondente in Iraq per coprire la storia. In assenza di protezione armata o di un veicolo blindato, alle volte è troppo rischioso avventurarsi troppo lontano. E questo può veramente limitare la tua abilità di andare a fondo nelle cose...specialmente fuori Baghdad."

Gli avvertimenti più duri vengono da Rohan Jayasekera, il direttore della agenzia non governativa inglese Index on Censorship's Baghdad operations. Lui crede che la protezione di giornalisti con scorte armate porterà a ulteriori morti.

"Un giorno molto vicino quattro persone andranno fuori in un 4X4 targato Press in un qualche posto nel mondo e un nervoso e inesperto paramilitare dovrà prendere una decisione riguardo a cosa dovrà fare neo pressi della base...dei quattro tre sono giornalisti e il quarto sarà un ex soldato super addestrato armato di arma automatica. Tutti e quattro sono in abiti civili. Cosa farà? Prima sparare e poi chieder gli accrediti?"

Jayasekera crede che "i reporter possono venire derubati, abbandonati nel deserto, arrestati anche stuprati o uccisi, ma fino a che verrà inteso che il timbro Stampa vuol dire disarmato. I giornalisti avranno il tempo almeno per tentare di parlare e di trovare la loro via per uscire dal pericolo."

Note: Traduzione per Peacelink di Chiara Panzera

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