La rabbia dei familiari dopo la morte di un giornalista in Iraq.

Ieri mattina mi trovavo in una casa di Bagdad, seduto vicino ad un povero vecchio ed a sua figlia che piangevano la morte dell' adorato figlio e fratello, ucciso da soldati americani.
7 aprile 2004
Robert Fisk trad. Patrizia Messinese

Mi chiederete come mai non preferisca scrivere di quello che è successo a Falluja, delle atrocità compiute tre giorni fa: l'uccisione crudele, orribile, di quattro americani, che sono stati tirati fuori dalle loro macchine, mentre imploravano pietà, bruciati, mutilati, trascinati per la strada e poi impiccati - quel che rimaneva dei loro corpi - nudi ad un cavalcavia ferroviario sul fiume Eufrate. La risposta è semplice. Il proconsole americano, Paul Bremer ha definito la loro uccisione "barbara e ingiustificabile". Paul Bremer ha ragione. Ma le loro morti non sono inspiegabili.

Il vecchio è Abdul-Aziz al-Amairi, sua figlia si chiama Sundus ed il loro figlio, e fratello, era un giornalista, un operatore del telegiornale. Ho visto
il suo cervello sparso sul sedile posteriore della macchina nella quale lui, Ali Abdul Aziz, ed il suo collega giornalista, Ali al-Khatib, sono stati uccisi, per mano di soldati americani, due settimane fa. Ho un interesse particolare per questo tipo di persone ed il loro destino. Forse perché io stesso ho quasi perso la vita ai confini dell'Afghanistan, nel dicembre del
2001.

Erano giornalisti. Ed ecco come sono andate le cose: due giovedì fa è stato sparato un missile su un hotel a sud di Baghdad e il nuovissimo canale televisivo "Arabia" aveva mandato una propria troupe ad occuparsi
della storia. I due Alì erano arrivati con il loro autista, Abu Mariam, sulla scena dell'attacco e, dopo aver parcheggiato l'auto a circa 250 metri di distanza, sono andati a parlare con i soldati americani che erano di guardia. E' stato detto loro che potevano filmare, ma che non potevano fare riprese in primo piano, davanti all'edificio. Appena terminato il
servizio, sono ritornati alla macchina, pronti a ripartire.
Avevano appena messo in moto, quando un 67enne di nome Tariq Abdul-Ghani, al volante di una Volvo, si è diretto verso il posto di blocco USA,
ignaro del pericolo ed è stato accolto da una grandinata di colpi sparati dai soldati americani. La sua famiglia, con la quale ho parlato a lungo, dice che nel suo corpo sono stati trovati 36 proiettili. La Volvo si è schiantata contro uno dei mezzi dell'esercito USA. La moglie ed il figlio di Tariq dicono che probabilmente non aveva neanche fatto caso al posto di blocco. I due giornalisti ed il loro autista, Abu Mariam, erano a circa 120 metri dalla scena. Ali al-Khatib, il giornalista, disse ad Abu
Mariam di non seguire la Volvo, ma di far inversione di marcia e andarsene nella direzione opposta. Abu Mariam seguì le istruzioni. "Abbiamo attraversato lo spartitraffico per tornare indietro ed allontanarci dagli americani" dice "Avevamo fatto un po' di strada quando ci hanno colpiti. I proiettili hanno sfondato il vetro posteriore. Il cameraman è
stato colpito alla testa, poi Ali al Khatib, il giornalista, improvvisamente, ha appoggiato la testa sulla mia spalla ed ha detto "Abu Mariam". Ho girato a destra. I nostri colleghi dell'"Arabia" hanno chiamato al telefono e mi hanno chiesto: "Cosa sta succedendo?" Io ho risposto: "devo trovare un ospedale, cazzo, e non so dov'è l'ospedale più vicino!" Li ho portati all' Ibn al Nafis. Quando siamo arrivati Ali al Amairi era già morto. L'altro Ali è morto il giorno dopo".

Altri tre civili erano morti nell'Iraq "liberato". La stazioen televisiva " Arabia" ha reagito con rabbia. Hanno preteso che gli americani facessero un'inchiesta ed hanno tappezzato i loro uffici centrali a Baghdad con i manifesti delle vittime. All'inizio gli americani hanno dichiarato che non potevano esser stati loro ad uccidere il giornalista e l'operatore, che erano stati uccisi con un solo colpo alla testa. Come avrebbero potuto i soldati USA a quella distanza aver avuto una mira
tanto accurata da uccidere due uomini con un solo colpo alla testa? Bella domanda.

Così, sono andato col figlio dell'autista della Volvo, Ali Tariq al-Hashimi, alla stazione di polizia per denunciare la morte del padre. Il comandante della stazione di polizia di Mesbah è stato gentile, comprensivo ed ha mostrato a tutti e due i documenti sul caso. Il figlio ha chiesto della macchina e quello che c'era dentro. "Per questo, dovete rivolgervi agli
americani", gli hanno risposto.
"Sono andato alla base USA nel palazzo presidenziale" mi ha detto "e la risposta è stata che non potevo avere indietro la macchina. Ho chiesto il portafoglio di mio padre, i suoi soldi, l'orologio e l'anello. Un soldato, che stava parlando al telefono, mi ha apostrofato 'Basta con questa macchina! Perché mai la vuole?' Io ho detto che volevo metterla in giardino, come ricordo della morte di mio padre. E'stato gentile. Ha abbassato la testa, mi ha dato la mano ed ha detto che gli dispiaceva."
Molto più inquietanti sono state le parole del comandante della polizia di Mesbah. Mi ha detto che, subito dopo l'incidente, alcuni soldati americani sono arrivati alla stazione di polizia ed hanno sfondato il
finestrino posteriore della Volvo, perché non rimanessero tracce dei fori dei proiettili. I resti del cervello di Ali al-Amairi erano, però, ancora
orrendamente sparsi sul sedile. Io comunque sono entrato nella macchina e ne ho contati ben nove di fori, dappertutto, dal sedile posteriore al parabrezza.

Qualche giorno dopo, gli americani se ne sono usciti con una nuova versione dell'uccisione. La Volvo si era avvicinata al posto di blocco a grande velocità. I soldati hanno pensato di essere oggetto di un attacco,
hanno sparato alla macchina ed alcuni proiettili devono aver colpito l'auto dell' "Arabia" mentre si allontanava. I soldati USA non sapevano di aver
colpito dei giornalisti. Gli americani hanno ammesso la loro responsabilità, ma non la premeditazione.

Mah. C'è però un problema. I giornalisti hanno deciso di andarsene dopo aver visto che la Volvo era stata colpita. Non avevano ancora fatto l'inversione di marcia quando è cominciato il fuoco. Allora.come è possibile che siano stati colpiti dagli stessi spari che hanno ucciso il 67enne Tariq Abdul Ghani, se lui era già morto quando hanno deciso di andarsene? E perché dei soldati americani hanno distrutto il finestrino
posteriore dell'auto dell'"Arabia" poche ore dopo l'accaduto, quando i fori dei proiettili avrebbero dimostrato quanti colpi erano stati sparati alla
macchina?

Ma ritorniamo nel salotto della famiglia di Alì, ieri mattina. Il vecchio Abdul Aziz piangeva e così sua figlia, Sundus, sorella del cameraman.
"Gli americani sono venuti a liberarci ed hanno ucciso il nostro Ali. L'ultima volta che l'abbiamo visto aveva detto che stava bene, ma poi, arrivato alla porta, è tornato indietro, ha chiesto al padre di abbracciarlo e lo ha baciato tre volte. Ci ha telefonato pochi minuti prima che uscisse per lavorare sulla sua ultima storia. Ha detto che sarebbe andato
tutto bene".

Ancora tre famiglie, brave persone irachene, istruite, che credono nella stessa libertà e nella stessa democrazia nelle quali crediamo noi occidentali e che adesso sono piene di rabbia nei confronti dell'occupazione americana. "Avevo solo un fratello e gli americani me lo hanno portato via. Dove troverò un altro fratello?" diceva piangendo. Ali al-Amairi era sposato, ma non aveva bambini. Il suo collega era sposato da soli 4 mesi. Sua moglie era incinta. L'autista della Volvo lascia la moglie e quattro figli. Ognuno di loro mi ha offerto del tè e rassicurazioni sul loro amore per la pace, ma ognuno di loro adesso odia l'occupazione ed i soldati americani.

No, non credo che questo giustifichi la barbarie di Falluja, ma capisco la rabbia implacabile che provano queste famiglie irachene. Gli americani, dopo tutto, hanno ucciso tre giornalisti occidentali il 9 aprile dell'anno scorso, un altro operatore tv pochi mesi dopo vicino al carcere di Abu Ghoreib ed ancora un altro operatore dell'ABC a Falluja la settimana scorsa. E i due Alì, il mese scorso.
"Siamo dispiaciuti per la morte accidentale dei dipendenti dell'"Arabia", ha dichiarato l'esercito americano la settimana scorsa. Tutto qui. Cosa posso dire di più? Forse, come scrissi all'indomani di altre morti innocenti in Bosnia, 12 anni fa, dovrei concludere ogni mio articolo con queste parole: State Attenti!

Note: traduzione di Patrizia Messinese a cura di Peacelink

titolo originale: Families Rage The murder of a journalist in Iraq
artico oapparso il 3 aprile 2004 sul' Independent

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