Ruanda: l'informazione che non ci fu sui massacri del 1994

Parla lo scrittore e giornalista senegalese Boubacar Boris Diop, autore di un romanzo sul genocidio tutsi in Ruanda: «A che serve essere un intellettuale africano se per tre mesi possono nasconderti un genocidio sul tuo continente?»
E punta il dito sulla «cattiva» informazione di marca francese, diffusa in Africa durante lo sterminio di oltre un milione di tutsi e hutu moderati.
6 aprile 2004
Geraldina Colotti
Fonte: Il Manifesto
http://www.ilmanifesto.it

«Responsabili del massacro sono le potenze coloniali»
GERALDINA COLOTTI
«A che serve essere un intellettuale africano se per tre mesi possono nasconderti un genocidio sul tuo continente?» si chiede il giornalista scrittore Boubacar Boris Diop. E punta il dito sulla «cattiva» informazione di marca francese, diffusa in Africa durante lo sterminio di oltre un milione di tutsi e hutu moderati. «Da aprile a luglio del `94 - racconta - le notizie dei massacri compiuti dall'hutu power finiscono nelle pagine di cronaca, dosate dalle agenzie occidentali. Ma quando il Fronte patriottico ruandese mette fine allo sterminio, fluiscono le immagini dei profughi hutu in fuga lungo i confini. Sono gli autori del genocidio, ma un'informazione martellante intossica la verità. Sembrano loro le vittime...». A lungo direttore del quotidiano senegalese indipendente Le Matin, Diop è in Italia per un giro di conferenze sul genocidio tutsi, tema del suo romanzo Murambi, il libro delle ossa (e/o). «Tutto quel sangue fratricida sparso in un fazzoletto di terra interroga l'uomo nel profondo - dice lo scrittore. Ma la violenza politica in Ruanda non si deve al ritorno di una barbarie ancestrale. Ad armare la mano che brandiva il machete è stata la Francia. A manipolare i conflitti e provocare la crisi nella regione dei Grandi Laghi sono state le potenze coloniali. È la storia a dirlo». La storia di un'Africa spartita «con la squadra». Nel 1885, il congresso di Berlino regala il Ruanda-Urundi alla Germania; nel 1917 subentrano i belgi fino al 1962, anno dell'indipendenza. La storia di un'élite favorita dai belgi (quella tutsi) che un giorno scalpita, e obbliga i colonialisti a cambiare cavallo. «Quando i tutsi frequentano le università occidentali e incontrano i movimenti africani indipendentisti, la situazione cambia - dice Diop -, ed ecco che viene fondato il partito hutu, il cui capo era il segretario particolare dell'arcivescovo di Kigali. Sono i colonizzatori a manipolare gli hutu che avevano emarginato, a organizzare le elezioni per mandarli al potere». E' il 1957. Nel `59 prende avvio una «rivoluzione sociale» appoggiata dalla chiesa e dai belgi. Cominciano i massacri contro i tutsi, che si ripeteranno nel `63, nel `73, nel `90, nel `92, nel `93, fino a raggiungere l'apice nel `94.

Ma perché gli hutu, le vittime di un tempo, dopo l'indipendenza istituzionalizzano le differenze etniche che avevano subìto? Perché arrivano al genocidio? Anche il Ruanda mostra quanto il nazionalismo africano non abbia intaccato l'impianto coloniale. «Qui - afferma Diop - vale l'analisi di Fanon: l'indigeno assume i modelli dell'oppressore. Nel preparare il genocidio, Radio Mille Collines e l'hutu power si servono di terminologie razziste mutuate dal periodo coloniale. Ma il fallimento delle indipendenze non giustifica per l'Africa una nuova tutela. Oltretutto il Ruanda è stato indipendente solo di facciata. Se il Belgio ha tradotto e diffuso Mein Kampf nelle campagne ruandesi, la Francia ha le mani sporche del genocidio dei tutsi».

Ma la Francia dice che Kagame il 6 aprile '94 ha ucciso il suo predecessore Habyarimana, provocando l'ira degli hutu. «E' una menzogna - tuona lo scrittore. Kagame perde un milione dei suoi e gli si dice: prova che sei innocente. Non la comunità internazionale, ma l'Fpr ha posto fine ai massacri, cominciati peraltro prima del 6 aprile. Eppure, gli esecutori obbedivano a Parigi. Varie inchieste lo provano. Con una telefonata, Mitterrand avrebbe salvato migliaia di vite. Invece sosteneva che fosse in corso un genocidio "di tipo africano", incomprensibile nel civile Occidente. Come se Hitler fosse nato in Burundi». Anche l'Fpr ha però compiuto massacri per ritorsione. «Ma oggi in Ruanda la vita politica non è improntata alla violenza: le carte d'identità etniche sono state abolite, si lavora alla riconciliazione attraverso i gacaca (si veda il box a pagina precedente). I profughi tornano. Certo, l'Fpr domina la vita politica, ma quando un paese è devastato si resta a lungo in uno stato di eccezione, solo i ruandesi possono deciderne la durata». Diop ha simpatia per Kagame che «scampato ai massacri del `59, nell'88 fonda in Uganda il Fpr e poi torna per liberare il suo paese». D'accordo, Kagame negli anni `70 fa parte di un gruppetto in odore di socialismo all'università di Dar es Salaam. Con lui c'è l'ugandese Museveni. Ma entrambi, negli anni `80 e `90 danno segnali liberisti agli anglo-americani, portatori di guerre e «aggiustamenti strutturali». «Kagame e Museveni - risponde Diop - hanno appoggiato la guerra in Iraq. Il Ruanda ha legami con gli Usa ma - privo di ricchezze - non è certo una priorità dell'America, che non ha impedito il genocidio né voleva riconoscerlo». Comunque, la tragedia ruandese pone il problema di una forza di interposizione pacifica nei conflitti del mondo unipolare, un mondo in cui l'intervento «umanitario» è diventato arma di dominio.

È possibile una soluzione autonoma dei conflitti dimenticati? Sarebbe forse più efficace una Onu africana? Diop: «Quando l'Africa propone una forza autonoma, gli europei dicono: bene, ma non avete soldi. Ve li diamo noi. Quando l'Africa rifiuterà quei soldi, sarà libera. Per questo partecipo al movimento altermondialista. Ho fondato un centro di documentazione sul genocidio tutsi. E' aperto a tutti. Ma non voglio finanziamenti esterni».

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