Un flop globale

la propaganda anglo-americana sulle "giuste" motivazioni della guerra all'Irak si sta ritorcendo contro i promotori di una farsa mediatica sempre piu' scoperta
10 febbraio 2004
Mariuccia Ciotta

Il feuilleton sulle introvabili armi di distruzione di massa è precipitato nello show di Bush alla Nbc, dove il presidente è ricorso a battute e slogan - «sono un presidente di guerra con la guerra in mente» - che rivelano la crisi dell'intero impianto narrativo concertato con il premier britannico. «L'obiettivo era drammatizzare come fanno i mercanti che cercano di accrescere ed esagerare l'importanza della loro merce» ha dichiarato Hans Blix, ex capo degli ispettori dell'Onu, alludendo a quei 45' ultimatum alla terra e allo stile tabloid «sexed up» della Casa bianca e di Downing Street. Non è la Bbc a dirlo, eppure l'affermazione di Blix è presa senza scandalo così come quella del capo della Cia Tenet che smentisce Bush. Rivelazioni marginali per i supporter della guerra preventiva perché prima o poi, dicono, Saddam/Bin Laden avrebbero colpito. Le due Torri insegnano. Diamo un po' di ritmo al sonnolento intelligence. Fine della storia. Ma. C'è qualcosa che i due «attori» e i loro addetti alla sceneggiatura bellica non hanno previsto. I sondaggi infatti precipitano all'inferno Bush («vincerò vincerò») e Blair. Perché i tanti drammaturghi alla Alastair Campbell hanno fallito? L'«importante esercizio di comunicazione» per rendere meno scialbe le informazioni dei servizi ha funzionato infatti come un kolossal polpettone nel primo week-end. Buoni gli incassi sabato-domenica poi flop. Cambiare aggettivi, verbi e punti esclamativi nello script non basta per sedurre il grande pubblico esperto nel decodificare la fiction globale sulla guerra necessaria.

Il thriller Bush/Blair non ha tenuto conto della sapienza collettiva, della memoria letterario-visiva planetaria (etica bellezza amore pietà). C'è differenza tra visuale e immagine, direbbe Godard. Il primo è propaganda, la seconda è dilemma interpretativo, esercizio critico. Trattati come clienti di merci contraffatte, i cittadini hanno assistito alla trasformazione del dramma in farsa. Ma le farse non prevedono il sangue. Che c'è da ridere a sentire il ministro della difesa britannica Geoff Hoon definire «informazione irrilevante» il malinteso tra armi convenzionali e armi chimico-nucleari? Ride Bush d'imbarazzo alla domanda di Tim Russert, il giornalista della Nbc, quando gli chiede se sa dov'è Bin Laden, sicuro che salterà fuori prima delle elezioni, in differita.

È questo, si chiede lo spettatore-elettore, il modello di civiltà, il nuovo ordine mondiale da esportare? L'asse del Male va bene, ha il suo fascino, ma se il prezzo da pagare è la perdita di sé come occidente, la corruzione della democrazia, l'inversione delle parti tra ingannati e bugiardi, vittime e assassini, no, dicono i sondaggi. E mentre Bush scende sotto il 48%, Blair in caduta libera si accinge a venirgli in soccorso. Il laburista si recherà a Washington per appoggiare il repubblicano contro il trionfante John Kerry. È l'ultimo, clamoroso errore di sceneggiatura concepito da mediocri comunicatori dell'horror globale. Una riga rossa cancellerà Tony Blair e George W. Bush dalla storia con la s minuscola e maiuscola.

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