Informazione: sentenza di morte

17 ottobre 2005
Rita Pennarola
Fonte: La voce della Campania

Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario. Lo era ai tempi di George Orwell, ma molto di più lo è diventato nell’Italia della censura preventiva per mano di sentenza civile. Lo sanno bene i volontari di Peacelink, ma anche i promotori dell’associazione di Pescara Metro Olografix, che a inizio settembre hanno chiamato a raccolta quel che resta delle testate di giornalismo documentato e indipendente nel nostro Paese per confrontarsi sul tema Cyber-Freedom: Resistenza culturale contro la censura.

Ci siamo guardati in faccia da uno scranno all’altro dell’aula consiliare nella sede del municipio di Pescara, che a inizio settembre ha ospitato la due giorni. Quelli che come noi non sono più giovanissimi (a cominciare da Riccardo Orioles) portano i segni delle battaglie combattute (e perse) nel corso degli anni non contro corrotti e corruttori, ma contro una “giustizia civile” che è sempre e comunque dalla loro parte: i più forti. I più giovani ci guardano. Cercano di capire e di reagire. Un cronista catanese che aveva dato vita ad un sito d’inchiesta, ma occupato come operaio per mancanza di altre opportunità, è stato licenziato in seguito alla pubblicazione di un suo articolo sui traffici di scorie tossiche in Sicilia.

Si racconta la storia di Claudio Riolo, docente all’università di Palermo, che nel 1994 pubblicò su Narcomafie un intervento in cui criticava la scelta dell’attuale presidente della Provincia Francesco Musotto di patrocinare col suo studio legale uno fra gli imputati per la strage di Capaci, proprio quando la Provincia si costituiva in giudizio parte civile contro esecutori e mandanti. Risultato: Riolo è stato condannato dal tribunale civile di Palermo, in primo e secondo grado, a risarcire Musotto con 118 milioni di vecchie lire (ne erano stati chiesti 700). E oggi paga ogni mese un quinto del suo stipendio del professore per “reintegrare “l’onore di Musotto” e ristorarlo dei “danni patiti” a causa dell’articolo.

Ma sono anche tante altre le esperienze antimafia zittite, umiliate, annichilite. Voci e siti azzerati dall’oggi al domani, le risorse economiche ridotte al lumicino, una vita di stenti. Storie di una violenza strisciante che, giorno dopo giorno, Berlusconi o non Berlusconi, ha trasformato l’Italia nel Paese delle Veline. Quelle sculettanti di Striscia, che rappresentano ormai uno fra i pochissimi interessi degli italiani, ma ancor più quelle emesse dagli uffici stampa dei Palazzi, unica fonte d’informazione possibile in un Paese definitivamente “normalizzato”.

«Siamo animali in via di estinzione», esordisce Carlo Gubitosa, tra i fondatori di Peacelink. Appartiene a quella generazione di trentenni che non ha intenzione di rassegnarsi. Giornalista, laureato in ingegneria all’università di Milano, superesperto di tecnologie informatiche e trasmissioni sul web, Gubitosa è stato in Italia uno dei pionieri della circolazione di messaggi e posta elettronica, quando non esistevano ancora i provider ufficiali e si tentava di imporre un ferreo controllo anche nella comunicazione on line. Intanto si è abituato a condurre una vita spartana. Nel suo presente ci sono traversate Milano - Riccione (dove ora abita) sulla strada statale a bordo di un vespone, ed un paio di stanze in cui vivere con la sua compagna e lavorare al computer. Il suo ultimo libro s’intitola Elogio della pirateria - Dal Corsaro Nero agli hacker dieci storie di ribellioni creative, in cui racconta dieci storie di "eretici postmoderni" che si oppongono al dio-profitto: dai pirati dell'etere agli hacker americani da cui è nato l'open source, dai pirati della salute contro i brevetti sui farmaci ai writer urbani. «Dieci pratiche - spiega - per salvare la nostra cultura da una precoce morte celebrale». In precedenza aveva scritto altri libri dal titolo eloqunte, come Telematica per la pace, L'informazione alternativa e Genova nome per nome.

In che cosa credono? Sulla fede politica dei cyber-rivoluzionari la dice lunga un episodio raccontato da Gubitosa durnte il convegno: «Per molti di noi la speranza aveva il nome di Eugenio Melandri. Sapevamo che se fosse stato eletto al Parlamento europeo avrebbe offerto un valido contributo anche per la libera circolazione dell’informazione in Italia. Fausto Bertinotti assicurò che se fosse stato eletto a Strasburgo avrebbe ceduto il posto a Melandri. Dopo le elezioni lo convocò. E gli disse che non se ne faceva più nulla».

Di particolare intensità la testimonianza di un’esperienza cattolica come Adista, l’agenzia di stampa rappresentata a Pescara dal numero due Luca Cocci. Che racconta il sistema complessivo della stampa cattolica in Italia, con decine di quotidiani e ben 120 settimanali diocesani, senza contare radio e tv, di cui alcune sul satellite ed una Radio Maria che lo scorso anno è stata l’unica emittente a ricevere un contributo nella Finanziaria: un milione di euro. «Questo imponente sistema di media - spiega Cocci - è stato messo su a inizio anni 90 per iniziativa del cardinale Camillo Ruini, attraverso il suo uomo di fiducia Dino Boffo posto a guida dell’Avvenire e di Sat 2000. In questo modo, al sistema costante di censura, si è sostituita la regola del “pensiero unico” nell’informazione di stampo cattolico».

Nessuna meraviglia. Il caso Voce della Campania ha dimostrato a Pescara - e siamo qui a testimoniarlo - che il fenomeno non riguarda solo la stampa cattolica. A livello di opinioni si può ancora dire qualche cosa, ma guai a documentarlo. Scatta la triangolazione citazione civile, condanna («è tutto provato quello che avete scritto - recita la sentenza - perciò vi condanniamo solo a 30 mila euro rispetto ai 100 mila richiesti») e ricorso di fallimento. Così imparano ad impicciarsi dei fatti degli altri. E soprattutto smettono di farlo sapere ai cittadini. Siamo o non siamo in il Paese delle Liberà, in cui ognuno è libero di fare ciò che vuole?

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