Latina

Messico: in Chiapas proseguono le violazioni dei diritti delle comunità indigene

A sette anni dalla strage di Acteal rimangono insabbiate le responsabilità dello stato; le grandi opere del governo nei Montes Azules creano sfollati ambientali

21 dicembre 2004
David Lifodi

Alla vigilia del settimo anniversario della strage di Acteal, il Chiapas continua ad essere al centro di provocazioni sempre più frequenti e suona quantomeno sinistra l'uccisione di oggi pomeriggio di due dirigenti indigeni del comune di Mitontic a poche ore di distanza l'uno dall'altro.
Il 22 Dicembre 1997, 45 persone appartenenti alla comunità "Las Abejas" (municipio di Chenalhò) furono oggetto di un violento attacco da parte del gruppo paramilitare "Mascara Roja", che aveva probabilmente già preordinato l'attacco. Nonostante le denunce della società civile e le prove di cui il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomè de las Casas affermava l'esistenza per dimostrare le responsabilità dirette delle maggiori autorità dello stato (presidenza Zedillo), l'impunità ha continuato a farla da padrona.
Acteal fu una delle pagine più nere non solo per le comunità indigene, ma ha continuato negli anni a rappresentare una prova significativa della scarsa volontà del governo Fox di occuparsi seriamente del Chiapas, il cui conflitto, aveva dichiarato in occasione della sua elezione, sarebbe stato risolto in 15 minuti. In realtà, non solo le dichiarazioni del presidente Fox sono rimaste tali solo sulla carta, ma durante la primavera-estate di quest'anno si è denunciato più volte il rischio che potesse verificarsi una nuova Acteal.
In particolare, "La Jornada" del 21 Luglio 2004 riportava una dichiarazione del vescovo emerito Ruiz alla Commissione per gli Affari Indigeni alla Camera dei Deputati che sosteneva come in Chiapas ci fossero condizioni favorevoli al ripetersi di massacri simili a quelli di Acteal, soprattutto in seguito alle ripetute minacce dei gruppi paramilitari verso le comunità indigene in resistenza.
Del resto, solo pochi mesi prima, il 10 Aprile, un gruppo di appartenenti al Prd (con l'appoggio dei poliziotti municipali di Zinancantan) aveva attaccato in modo preordinato un corteo pacifico di simpatizzanti dell'Ezln con spari, sassate e petardi che il segretario del governo del Chiapas Rubèn Velàsquez Lòpez aveva definito come "una zuffa abituale, solo un problema minore per l’accesso all’acqua" tanto da spingere Luis Hernandez Navarro su "La Jornada" del 13 Aprile a scrivere polemicamente: "In Chiapas non succede nulla… però le autorità si preoccupano di smentire religiosamente gli articoli di Hermann Bellinghausen nei quali si trova il resoconto dei conflitti esistenti nella zona".
La testimonianza più recente di come gli indigeni siano costretti a vivere sempre sotto le minacce di governo e paramilitari proviene proprio da Hermann Bellinghausen, che su "La Jornada" del 3 dicembre scorso denuncia il rischio di sgombero delle comunità per cedere il posto ad una grande opera, un ponte verso i Montes Azules che permetterà "il passaggio di veicoli di grande tonnellaggio sulle verdi acque del fiume Lacantùn…e, attraverso una strada anch'essa in costruzione, unirà diverse comunità rivierasche, tutte filogovernative, all'interno dell'area protetta". Il progetto, che prevede inoltre la costruzione di un secondo ponte sul fiume Lacanjà, dall'altro lato dei Montes Azules, produrrà di certo un gran numero di sfollati ambientali, nonostante la paradossale giustificazione del governo per cacciare gli indigeni consista nell'accusa di rovinare la biosfera. In realtà lo stato è intenzionato a costruire in tutta la zona, riporta ancora "La Jornada", dei centri dedicati all'accoglienza del turismo internazionali, dopo aver già trasformato in centro ecoturistico il santuario naturale Las Guacamayas e la laguna Lacanjà.
Se queste sono le premesse, il settimo anniversario di Acteal trascorrerà come i precedenti, segnato non soltanto dalla mancata ammissione di responsabilità da parte dello stato (sono stati arrestati soltanto gli esecutori materiali del delitto, non i mandanti), ma da un clima di impunità diffusa di cui le autorità, essendone perfettamente a conoscenza, hanno finito per rendersi complici.

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