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Argentina: La storia dell'illusione perduta

Un'intervista con Rolo Diez, già noto in Italia per dei romanzi che ne fanno uno dei più importanti scrittori latinoamericani contemporanei. Le parole della storia recente dell'Argentina
7 settembre 2004
Marina Forti
Fonte: Il Manifesto

Ora Rolo Diez racconta sulla «storia dell'Argentina dal punto di vista delle lotte popolari» in un libro che mescola saggio storico, testimonianza e narrazione: perché è la storia della lotta armata (sconfitta) e della resistenza alla dittatura militare. E di una «guerra sporca», di repressione feroce, dei suoi desaparecidos

E'l'ultimo giorno del 1999, e la notizia approda con un dispaccio nell'ufficio dell'agenzia France Presse di Buenos Aires. «Il Negro si accende una sigaretta e continua a leggere»: un giudice spagnolo ha emesso un ordine internazionale di cattura contro quarantotto militari e poliziotti argentini per i crimini commessi durante la «guerra sporca», durante i regimi militari al potere in Argentina tra il 1976 e l'83. Il Negro quella sera brinda, insieme alla sua compagna: non al nuovo anno e secolo, ma «per una realtà che si impegna a recuperare un passato che non è finito». Il «passato che non è finito» è la storia recente dell'Argentina, che lo scrittore Rolo Diez ripercorre in «Vencer o Morir». Lotta armata e terrorismo di stato in Argentina (2004, il Saggiatore, 446 pagine, 19 euro). Un libro in cui si mescolano diversi generi di scrittura: il saggio e la testimonianza, capitoli di ricostruzione storica e inserti narrativi in cui ritroviamo «il Negro»: giovane militante della sinistra rivoluzionaria negli anni `60, clandestino nella resistenza alla dittatura militare, esiliato. Il fatto è che la storia qui indagata è anche la storia personale dell'autore. E viene da pensare che «il Negro» abbia qualcosa di lui: di sicuro con Rolo Diez condivide l'esperienza della militanza politica e dell'esilio (vedi le note biografiche in questa pagina).

Rolo Diez ha presentato questo suo ultimo libro la settimana scorsa a Piacenza, nell'ambito della rassegna Carovane: è là che lo abbiamo incontrato. Diez per la verità è già noto in Italia per dei romanzi che ne fanno uno dei maggiori scrittori latinoamericani contemporanei - storie d'avventura in cui si mescolano ispettori onesti e poliziotti corrotti, narcotrafficanti e prostitute che vogliono uscire dal giro, delinquenti comuni e militanti di sinistra. Storie, azzardo, in cui mette una vera di realismo con effetti surreali... «Surreali?», ribatte: «Nient'affatto. Se la follia esiste, scriverne è puro realismo indagatore. Mi piace cercare ciò che non è visibile ma sta dietro. Mi piace soprattutto l'humor, la satira - cercare le sfumature di assurdo in una situazione formale, il ridicolo. Credo che sveli i molti vizi delle relazioni sociali, le ipocrisie, il falso rispetto, la venerazione delle istituzioni, il seguire le mode... La scena è spesso la dittatura militare argentina, sì, ma anche l'esilio - per esempio in Papel picado, che significa «coriandoli», ma non è tradotto in italiano. O il Messico: ci vivo da ventiquattro anni e la realtà messicana è una fonte ricchissima di materiale letterario. Poi c'è l'infanzia. Gambito de dama, che è un gioco sulla scacchiera, è il mondo visto da un ragazzino di 13 anni in un paesetto della provincia di Buonos Aires. Quel paesetto torna in molti romanzi: è da dove viene il personaggio di Vladimir Ilic, per esempio. Semplice, è il paesetto dove ho vissuto i miei primi 15 anni, e poiché non ci sono mai tornato conserva una qualità mitica di paradiso perduto».

In Argentina lei è tornato solo nel 1993.

Solo allora l'ambasciata argentina mi ha ridato il passaporto. Ci sono andato diverse volte da allora, ma dal Messico è un viaggio lungo.

Che effetto le ha fatto? Dev'essere lontana per i giovani argentini quella storia di lotte rivoluzionarie negli anni '60.

I cambiamenti sono profondi, è vero. C'è un ricambio generazionale, è normale. C'è stato un grande cambiamento ideologico con il «menemismo»: il presidente Memen che giocava a golf con Bush padre e ci voleva convincere che l'Argentina è un paese alleato di Washington. Il governo ha puntato a far sì che gli argentini dimentichino, che non si parli dei militari e della ferocia della repressione che avevano scatenato. C'è stata una campagna di occultamento, di silenzio. Ma l'operazione non è riuscita e ora vedi moltiplicarsi articoli, libri, dibattiti. Così, non è vero che ai giovani argentini sia estranea quella storia. Certo, sono cresciuti in un altro mondo, non c'è più l'Unione sovietica e il mondo bipolare: non che ci identificassimo nell'Urss, ma ora siamo nella fase della vittoria totale del capitalismo. E però la lotta per spazi di democrazia resta, e per un po' di giustizia sociale, e una democrazia partecipativa.

In apertura di «Vencer o morir» lei cita una frase: «C'era una volta un paese chiamato Argentina, dove molta gente spariva e dove, anni dopo, anche il denaro spariva. E una cosa è legata all'altra».

La dittatura ha soffocato le lotte popolari, smantellato le organizzazioni sindacali, cambiato le leggi, cancellato lo stato sociale. Hanno inventato la flessibilità del lavoro, che significa togliere tutte le conquiste sociali e del lavoro per cui avevamo lottato. Il trionfo del capitalismo è una realtà. Non dico che ogni idea di opposizione sia finita - oggi ci sono gli altermondisti, o come li chiamate qui, noglobal? I vecchi li guardano senza molta fiducia. A chi era cresciuto pensando che la lotta richiede organizzazione politica sembrano frivoli, fanno cortei colorati, sembra che stiano giocando. Loro d'altra parte guardano i vecchi come mummie di un altro tempo

Con «Vencer o morir» ripercorre la storia recente dell'Argentina.

Sì, una storia del ventesimo secolo dal punto di vista delle lotte popolari con particolare attenzione ai deceni `60 e `70 - quelli in cui sono comparse le organizzazioni della lotta armata, il confronto con le forze statali e i militari. Dico i militari perché questa è stata la costante della storia argentina fin dagli anni '30: tutti i governi civili sono stati interrotti a forza di golpe, salvo i primi governi peronisti. La lotta armata è cominciata durante una dittatura, tra il 1966 e il `73, con i generali Ongania e i suoi successori. E' seguito il terzo governo peronista, con Isabelita, ma è durato tre anni: poi l'ultimo golpe militare con Videla, Massera e Agosti e gli altri generali. Mi concentro su questa storia, anche se la narrazione arriva al 2000 e oltre, per chiudere il secolo.

Qual'è la riflessione su questa storia? Prima parlava di autocritica, di «errori».

Non sto dicendo che sia stato un errore la scelta in sé della lotta armata. In Argentina, e in tutta l'America latina, la lotta armata nasceva come continuazione delle lotte popolari, e del confronto con il capitalismo mondiale. Conviene ricordare che epoca era: la rivoluzione cubana aveva vinto, l'Africa si stava decolonizzando, gli Stati uniti erano impantanati in Vietnam dove poi sono stati sconfitti, c'era una spinta libertaria in tutto il mondo. E c'era il bipolarismo. C'era uno slancio ideale e politico forte - ora la nostra prospettiva è resistere a Bush, punto. In Argentina emersero in quei due decenni una ventina di organizzazioni armate che poi si sono raggruppate in due poli, la guerriglia peronista con i Montoneros e quella della sinistra rivoluzionaria del Prt-Erp, il Partito rivoluzionario del popolo-Esercito rivoluzionario del popolo. Poi non è rimasto più nulla: con l'avvento di Videla siamo stati schiacciati, eliminati fisicamente. Chi è sopravvissuto è uscito dal paese. I Montoneros tentarono il ritorno nel 1978, mandavano gruppetti dal Messico, la chiamarono «controffensiva»: li hanno uccisi tutti. Sì, quella storia è finita in una sconfitta.

Lo scontro è stato durissimo. La parola «guerra sporca», nata con gli americani in Vietnam, in Argentina ha preso il nome di squadroni della morte (come la «triple A», Alleanza anticomunista argentina). Dopo il golpe, la repressione è diventata feroce. Anche altrove nel continente latinoamericano i militari imprigionavano, turturavano e uccidevano, ma in Argentina hanno inventato varianti crudeli come i «voli della morte», o i bambini rapiti. Migliaia di persone sono semplicemente scomparse: «desaparecidos» è una parola argentina. Qui sono nate anche le Madres de la Plaza de Mayo, le madri che ogni settimana sono andate a chiedere conto degli scomparsi, fazzoletto bianco in testa e in mano cartelli con foto e liste di nomi: a loro Diez rende un profondo omaggio.

La verità, e la giustizia, sono stati anche una posta in gioco dopo, quando la dittatura è caduta trascinata dalla fallimentare impresa delle Malvine.

Il caso dell'Argentina è un particolare anche in questo. I governi della democrazia recuperata hanno cercato di chiudere la questione del passato. Quello di Raul Alfonsìn era un governo con scarso potere che subìva la pressione dei militari. Alfonsìn aveva una certa onestà democratica ma non aveva decisione. Ha compiuto un fatto storico rinviando a giudizio i 9 capi delle giunte militari: era un fatto inedito in Argentina e in tutta l'America latina. Ma per debolezza gli ha regalato la legge del Olvido e quella del Punto final, cioè l'impunità. Quello di Menem è stato un governo mafioso, legato al potere militare e al potere economico degli Usa. Ha continuato la politica dei militari e saccheggiato il paese con stile frivolo. De la Rua è stato un altro personaggio mediocre, destra radicale, stesse politiche di Menem ma con una faccia più seria. Così in Argentina, modello dell'applicazione delle politiche neoliberali, l'economia è crollata ed è scoppiata la rivolta sociale - e questa ha spazzato via de la Rua.

Ora in Argentina c'è il presidente Kirchner, in Brasile Lula, in Venezuela Chavez. Sta cambiando il vento?

Qualcosa sta cambiando, non c'è dubbio. Sono i tre maggiori paesi del continente latinoamericano - si è aperto uno spazio di resistenza istituzionale. Ci sono paesi che non accettano più di sottomettersi agli Stati uniti e ai centri del potere finanziario mondiale. Kirchner, nel caso nostro, emerge come un democratico onesto, ha un'esperienza di lotte popolari. Si è scontrato con il vertice militare, ha riaperto la questione dei crimini della dittatura, ha una guerra permanente con la mafia della polizia - quello che i poteri forti del paese hanno tentato di fare a Chavez lo stanno facendo anche a Kirchner. Ma lui ha un forte appoggio popolare. E ha permesso a me, per la prima volta nella mia vita, di diventare oficialista: sto dalla parte del presidente...

Note: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/05-Settembre-2004/art83.html

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