Latina

«Rifondare» la Bolivia è difficile e la costituente s'è impantanata

Entro giugno doveva essere pronta la nuova costituzione promessa da Evo Morales. Invece la meta appare ancora lontana
29 giugno 2007
Serena Corsi
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Il 6 agosto 2007 la Bolivia avrebbe dovuto avere la sua nuova costituzione, uno dei capisaldi - insieme alla nazionalizzazione degli idrocarburi - della «rifondazione» annunciata dal presidente Evo Morales. Invece l'assemblea costituente , dopo dieci mesi turbinosi di lavori (molti dei quali spesi per decidere se il testo dovesse essere approvato a maggioranza dei due terzi, come chiede l'opposizione perché il MAS non li ha, o a maggioranza assoluta, che il Mas ha) è ancora impantanata nei meandri delle singole commissioni.
Il 20 giugno scadeva il termine - già più volte rinviato- per presentare le relazioni finali, e per la fine del mese dovevano cominciare a essere messi nero su bianco i primi articoli del nuovo testo. Ma ad oggi, dei 717 articoli proposti solo 138 hanno trovato il consenso necessario: da discutere ne restano «solo» 579, il che potrebbe richiedere anni.
Come si è venuto a creare questo pantano legislativo? La destra, minoritaria nel paese ma forte dell'appoggio delle poderose oligarchie terriere soprattuto dell'est, tiene in scacco la maggioranza sul nodo che riguarda l'autonomia amministrativa rivendicata dalle province più ricche della «mezzaluna» orientale (i dipartimenti di Beni, Pardo, Santa Cruz e Tarija).
La classe dirigente criolla della Mezzaluna vede nella politica del governo Morales una deriva socialista, rispetto alla quale l'autonomia amministrativa garantirebbe una difesa sostanziale dei propri interessi , legati a doppio filo al latifondo (e al gas).
Da una parte il Mas, il partito di Morales, cerca di evitare il rischio di una possibile guerra civile nel caso l'autonomia (che in quest dipartimenti ha avuto la maggioranza nel referendum dell'estate scorsa) venisse se non ignorata limitata, e riformula quindi la proposta come un percorso a tappe. Dall'altra, cerca di far suo il richiamo all'autodeterminazione ma rovesciandola in chiave indigena: più che autonomia macro, per ora, tante micro autonomie delle comunità indigene «come forma di risarcimento per 500 anni di vessazioni passate - dice il vicepresidente Alvaro Garcia Linera -, ma anche come esempio di democrazia diretta per il futuro».
Paradossalmente, le forze autonomiste della Mezzaluna a quest'idea hanno risposto facendo appello alle forze armate perché vigilino sull'unità del paese, che così andrebbe incontro a una frammentazione irrecuperabile e alla perdita dell'identità nazionale. Un'enfasi patria piuttosto ipocrita di chi - prima di tutto i settori autonomisti di Santa Cruz - da un anno minaccia di passare alle vie di fatto e dice che dal 2 luglio, anniversario del referendum del 2006, consegnerà al governo uno statuto di autonomia sottoscritto unilateralmente.
Le comunità indigene , dal canto loro, finalmente intravvedono una speranza di partecipazione a un processo democratico da cui sono state sempre escluse e, per bilanciare le mobilitazioni degli autonomisti orientali, hanno indetto una marcia in difesa dello Stato plurinazionale, delle risorse naturali e per la rappresentanza diretta delle comunità nella struttura statale a venire.
Epicentro di tutte queste pressioni opposte è Sucre, capitale amministrativa e sede della costituente, che quotidianamente vede manifestazioni di protesta o di appoggio al governo.
Quel che è certo è che l'assemblea ha sempre di più l'aspetto di un insieme di pulsioni e di interessi che, quando non si escludono a vicenda, tendono quantomeno ad ignorarsi, ciascuno impegnato a rappresentare le istanze di un elettorato le cui aspirazioni, spesso, hanno più a che fare con la geografia che con la politica. Questo spiega perché la destra abbia avuto gioco facile a rallentare i lavori delle commissioni, rendendo la marcia della costituente un battibecco estenuante che rischia alla fine di scontentare tutti.
Simbolicamente c'è una sola commissione che ha presentato nei tempi previsti la sua relazione finale, ed è la commissione sulla coca. Sul diritto a coltivare «la foglia sacra», sotto la spinta dei cocaleros del presidente Morales, si sono trovati tutti d'accordo.

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