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Un film-denuncia degli omicidi impuniti di donne a Ciudad Juárez, Messico

Bordertown: le croci rosa del deserto

Luren Adrian (Jennifer Lopez), giornalista del “Chicago Sentinel” suo malgrado si trova a Ciudad Juárez per un’inchiesta sugli omicidi impuniti di donne. Qui trova Eva (Maya Zapata), una giovane indigena che è riuscita miracolosamente a scappare dai suoi due aguzzini.
24 maggio 2007
Monica Mazzoleni (Coordinamento America Latina Amnesty International)
Fonte: Segnali di Fumo - 24 maggio 2007

Croci rosa Così inizia “Bordertown”: thriller avvincente per il quale Amnesty International ha conferito all’attrice Jennifer Lopez il prestigioso riconoscimento “Artista per Amnesty 2007”.
“Sono profondamente onorata di ricevere questo riconoscimento” ha detto Lopez “dalla prima volta che ho sentito di queste atrocità nel 1998, quando Gregory Nava è venuto da me con questo progetto, volevo disperatamente raccontare questa storia. Ho cominciato a lavorare per poter produrre il film in modo di portare l’attenzione del mondo su questa tragedia e per fare pressione sul governo messicano per portare davanti alla giustizia i responsabili di quei terribili crimini”.

Ciudad Juárez, Bordertown: città di confine del nord del Messico con El Paso, Texas, dove dal 1993 ad oggi più di 400 giovani donne sono state uccise. Molte di loro prima di essere assassinate sono state stuprate, terribilmente seviziate e torturate, anche per più giorni. Risultano inoltre ufficialmente sparite altre 70 donne. Ma la Commissione Nazionale dei diritti dell’uomo crede che le sparizioni siano molte di più: 4.000.

I corpi delle ragazze, dell’età media tra i 15 e 25 anni, vengono spesso ritrovati dopo settimane o mesi: abbandonati nel deserto, sfigurati, bruciati, a volte mutilati e in forte stato di decomposizione a causa del gran caldo.

Le vittime hanno tutte le stesse caratteristiche: sono giovani ragazze, esili, carine, capelli lunghi e soprattutto povere. Sono per lo più ragazze che lavorano nelle maquillas: spesso ragazze sole, che non hanno alcun potere nella società e le cui morti non hanno un costo politico per le autorità locali.

A Juárez l’accordo nordamericano di libero scambio (NAFTA) ha permesso il proliferare delle maquillas: fabbriche straniere di assemblaggio che sfruttano la manodopera a basso costo, per la maggior parte femminile. Un migliaio di maquillas ha stravolto e abbruttito il tessuto urbano e sociale della città.
Le condizioni di lavoro che sopportano le operaie sono pessime: paghe bassissime, 5 dollari al giorno, per lunghi turni di lavoro, anche notturni; nessuna tutela per la maternità, e la salute. Le ragazze non possono permettersi un affitto nel centro della città e vivono nella periferia, spesso in veri e propri slum. Così, per tornare a casa dal lavoro, sono costrette a percorrere strade buie, isolate e a prendere autobus per lunghi tragitti. A volte non tornano più a casa.

Ciudad Juarez conta 1.200.000 abitanti, la maggior parte arriva dagli stati del sud del Messico in cerca di una vita migliore. Ma il 40% di loro soffre estrema povertà.

Nel film il direttore del giornale “El sol De Juárez” Alfonzo Diaz (Antonio Banderas) spiega come siano diverse le teorie riguardo gli omicidi di donne.
In effetti si intrecciano circostanze di ordine sociale, psicologio e istituzionale che rendono complicato ed a volte incerto il quadro generale.
Le donne di Juárez possono essere vittime di maniaci serial killer, del traffico di organi, di quello dei snuff movies (video di stupri, torture e omicidi reali) dei narcotrafficanti, dei satanisti, e perfino di imitatori, assassini per divertimento.

Una violenza estrema e diffusa sulle donne, ragazze, a volte anche bambine, cresciuta nel fertile terreno di una cultura fortemente machista per la quale la donna non ha alcun potere ed è considerata proprietà, qualcosa da possedere e sfruttare, piuttosto che essere umano con diritti e doveri.

Ma la questione cruciale è che gli omicidi continuano perchè non c’è volontà da parte delle autorità a fermarli e a sottoporre alla giustizia i criminali responsabili. “Il fallimento della autorità competenti nell’avviare indagini sui crimini, sia per indifferenza, mancanza di volontà, negligenza e incapacità è stato palese negli ultimi 10 anni”. Così denuncia il rapporto di Amnesty International “Dieci anni di rapimenti e uccisioni di donne a Ciudad Juárez e Chichuchua” reso pubblico nel 2003. Mentre una commissione dell’Onu dichiara che in Messico la gente non ha fiducia della giustizia perchè la giustizia non esiste: i livello di impunità nel paese raggiunge quasi il 100%.

A volte per questi omicidi si è parlato di mistero data la difficoltà nello scovare i colpevoli. In realtà dietro alla parola mistero si nascondono omertà, connivenze e impunità. Connivenze a livello di polizia, magistratura, potere economico e politico; dai più bassi livelli a quelli più alti fino ad arrivare alle massime autorità.
E chi cerca di fare luce sulla verità viene minacciato e anche ucciso. Nel 2006 sono stati ben nove i giornalisti uccisi in Messico.

Lo stesso regista di Bordertown, Gregory Nava, e altri del cast di Bordertown hanno ricevuto minacce di morte. Inoltre hanno incontrato moltissime difficoltà a girare il film a Juárez, per cui alla fine hanno desistito e deciso di girare la maggior parte delle scene in New Messico.

Questo clima intimidatorio forse spiega il perchè nel film non si parli di quanto le mafie del narcotraffico influiscano sulla vita della città. Il Messico da paese di transito di droga pesante è diventato un paese di consumo. Il riciclaggio di denaro sporco è pari a 3,4% del PIL del Messico. Inoltre si è valutato che se il narcotraffico fosse debellato l’economia degli USA scenderebbe del 22%, mentre quella messicana del 63%. Questo spiega i forti interessi coinvolti a livello politico ed economico, e le coperture di cui godono i criminali.

Intanto le organizzazioni non governative dei famigliari e amici delle vittime, nonostante le continue minacce, continuano a cercare nel deserto i corpi delle loro donne, a chiedere informazioni sulle indagini e a chiedere ai politici che si faccia giustizia. Insistono, a costo della vita, a dar voce alle loro donne.

Jennifer Lopez ha ricevuto uno speciale ringraziamento anche da Norma Andrade, fondatrice insieme ad altre donne, di “Nuestras Hijas de Regreso a Casa” (Perchè le nostre figlie tornino a casa), una tra delle associazioni di famigliari delle vittime.
“Jennifer mi ha incontrato con altre madri e ci ha mostrato il film, nessuno di noi lo aveva visto prima” spiega “è stato come se stessi vedendo ancora mia figlia. Lilia, come la ragazza del film, aveva 17 anni, lavorava in una fabbrica del NAFTA e fu rapita mentre tornava a casa. Fu rapita Le uccisa, senza alcuna ragione, se non che questi uomini sanno che loro possono farlo e nessuno li fermerà. Per questo gli omicidi continuano ancora oggi”.

Jennifer Lopez e il film ha ricevuto anche critiche negative. Ma un film forse non può spiegare una situazione così tragica e complessa nella sua globalità e intensità. Sta di fatto che Bordertown è un ottima occasione per portare l’attenzione dei media e del grande pubblico su questa tragedia e denunciarla con forza.

Una tragedia che continua: il 29 marzo è stato ritrovato a Ciudad Juárez il corpo bruciato di una donna. La donna, irriconoscibile, pare giovane e magra. Sembra che nell’omicidio possano essere coinvolti membri della polizia preventiva. Secondo “Nuestras Hijas de Regreso a Casa” questa sarebbe la dodicesima vittima di quest’anno.

!Ni una mas!

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