Latina

La terra, la sanità, gli anni del genocidio nelle parole della società civile guatemalteca

Guatemala: storia di un viaggio di conoscenza e turismo responsabile nel Petén

Campesinos, indigeni maya ed ex-guerriglieri raccontano il Guatemala di ieri e di oggi
13 febbraio 2007
David Lifodi

La conoscenza della pastorale della terra, delle comunità dei retornados, dei promodores de salud e della lotta per la sopravvivenza e la dignità della popolazione: è questa la realtà in cui per due settimane si è immersa l'associazione senese Amici del Guatemala, che ha organizzato un viaggio di turismo responsabile ed ha visitato i progetti che da anni sostiene a Dolores (nel Dipartimento del Petén), oltre a partecipare a visite e incontri con la società civile guatemalteca.
Dopo 36 anni di guerra civile permangono ancora delle gravi conseguenze a livello psichico e sociale tra le persone che hanno subìto direttamente violenze e torture o sono state testimoni delle persecuzioni inflitte a loro familiari.
In questo contesto lavora il gruppo "Salud Mental", che opera allo scopo di favorire una conciliazione e una pacificazione in un paese che non ha ancora dimenticato la strategia della cosiddetta "terra bruciata", che soprattutto tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 aveva tolto alle comunità quella pace ed armonia che i promotori della salute mentale stanno cercando faticosamente di far riacquistare alla popolazione.
Il progetto di lavoro "Salud Mental" nacque in seguito alla firma degli accordi di pace tra governo e guerriglia (firmati il 29 Dicembre 1996) per aiutare le persone che avevano vissuto la guerra e si erano inevitabilmente portate dietro dei problemi psicologici nel loro vissuto personale. Stragi e torture non si potevano cancellare nelle loro menti, nei loro occhi e nei loro cuori semplicemente perché alla guerra sporca contro la popolazione maya, i militanti dei diritti umani, i campesinos, i sindacalisti e i catechisti (che hanno pagato un tributo altissimo per la loro opera di diffusione della Pastorale della Terra) era almeno ufficialmente seguita la pace con tanto di imprimatur dell'allora presidente Arzù: nelle comunità la gente per anni ha continuato ad avere paura e a non nutrire fiducia nello Stato, tanto da avere ancora timore a raccontare e a denunciare ciò che aveva subìto.
Tuttora la popolazione continua a ritenere indispensabile il lavoro dei volontari del gruppo "Salud Mental", oltre a chiedere verità e giustizia per i massacri, per cui l'opera di ascolto e accoglienza verso le comunità si è andata ampliando fino a strutturarsi secondo modalità ben precise.
In ogni comunità esiste un'equipe che tiene dei legami con la popolazione tramite l'attivazione dei "talleres", dei seminari appoggiati dalla parrocchia di Dolores che hanno inoltre la peculiarità di svolgersi soltanto nel Dipartimento del Petén (composto da 24 villaggi), ma non nel resto del paese.
Oltre all'attività di ascolto e assistenza alla popolazione, i volontari conducono un lavoro di formazione e coscientizzazione all'interno delle comunità, in un contesto in cui si lavora anche a livello di medicina alternativa per aiutare la popolazione a raggiungere un rilassamento mentale dopo aver vissuto anni ed anni nel terrore. Qualsiasi tipo di riunione, durante il periodo che i guatemaltechi definiscono "conflicto armado", era considerato sovversivo, poiché lo scopo dei governi militari (tra i più sanguinari quello del dittatore Rios Montt) era quello di disgregare completamente il paese tramite l'utilizzo dell'esercito e dei gruppi paramilitari, ai quali il Rapporto Rehmi (Proyecto Interdiocesano de Recuperación de la Memoria Histórica, pubblicato il 24 Aprile 1998 grazie alla volontà di Monsignor Gerardi, assassinato impunemente due giorni dopo) ha attributo la maggior parte della responsabilità delle stragi dei civili, pur sottolineando come anche le forze guerrigliere si resero responsabili di azioni crudeli contro la popolazione.
In nome della Dottrina della Sicurezza Nazionale varata dagli Stati Uniti, in 36 anni di guerra civile furono uccise circa 200mila persone, ma gli anni più duri per il popolo guatemalteco furono quelli dal 1978 al 1983, quando sull'onda della vittoria sandinista in Nicaragua anche i guerriglieri delle Far (Forze Armate Rivoluzionarie) sperarono di condurre il CentroAmerica sulla strada tracciata da Cuba. La repressione a quel punto fu ancora più dura: anche i villaggi più sperduti furono militarizzati (e 464 rasi al suolo), era vietato sia l'ingresso che l'uscita, mentre gli Stati Uniti cercavano di affossare la Teologia della Liberazione (ritenuta un potente fattore di destabilizzazione per gli interessi statunitensi in America Centrale) tramite ingenti finanziamenti alle chiese evangeliche, presenti tuttora in numero massiccio in tutto il Guatemala, allo scopo di dividere le comunità e stroncare sul nascere il coraggioso lavoro svolto dalla Pastorale della Terra.
In questa situazione non è facile per i volontari di "Salud Mental" condurre il loro lavoro di coscientizzazione, anche perché a 10 anni dalla firma degli accordi di pace in Guatemala non è cambiata la vita della popolazione, a partire dall'esclusione sociale della maggior parte della gente, e si teme che gli anni del genocidio possano tornare da un momento all'altro, come è minacciato da enormi murales elettorali del Partido Popular presenti in tutto il paese in cui si dichiara esplicitamente che "Urge mano dura", come se questo martoriato stato centroamericano dovesse pagare un ulteriore tributo alla repressione condotta per anni nella più completa impunità (compresa l'indifferenza dei mezzi di informazione) dal Fronte Repubblicano Guatemalteco di Rios Montt.
"Guardare al passato di sofferenze", spiegano i promotori di Salud Mental, "serve a creare nuovi spazi di fiducia nel presente per continuare il cammino", nonostante alcuni degli stessi volontari quando iniziarono la loro attività di sostegno psicologico alla popolazione avessero ricevuto minacce da ex militari, in particolar modo dai patrulleros delle Pac (le Patrullas de Autodefensa Civil resisi responsabili dei più orrendi crimini).
Tra la popolazione che ha sofferto maggiormente durante gli anni della guerra civile possono essere senza alcun dubbio annoverati i "retornados", cioè coloro che hanno vissuto e subìto il genocidio degli anni '80 fuggendo in esilio (principalmente in Messico) e decidendo di tornare dopo la firma degli accordi di pace.
Il racconto drammatico di una di loro, Doña Teresa (coordinatrice del Programma di Salud Mental), è servito per ripercorrere la storia dell'olocausto guatemalteco, del resto comune a tutti quei paesi sudamericani che tra gli anni '60 e la fine gli '80 vissero sotto le peggiori dittature.
Doña Teresa è indigena e campesina, afferma che il problema principale in Guatemala è quello della terra, (per il 75% nelle mani del 2% della popolazione) e che è stata proprio la questione agraria a scatenare la guerra. Ogni volta che l'esercito arrivava nei villaggi i campesinos erano costretti a fuggire (quando riuscivano a salvarsi dalla morte) per cercare un altro appezzamento di terreno da coltivare per il loro sostentamento, oltre che dover fare i conti con i terratenientes locali. "Campesinos e indigeni hanno sempre rappresentato un problema per il paese", spiega Doña Teresa, "fin dalla caduta del governo Arbenz (che aveva iniziato un processo di riforma agraria) per mano della Cia nel 1954". I vari governi militari rifiutavano ai campesinos il riconoscimento dei loro diritti, inizialmente discriminandoli, poi organizzando delle eliminazioni sistematiche temendo i tentativi di una nuova riforma agraria e il contagio della mobilitazione campesina che nel frattempo era cominciata in Nicaragua e El Salvador. La politica della delazione fu utilizzata per dividere le comunità. "La fuga verso la selva", prosegue commossa Doña Teresa, "fu obbligatoria e la vita diventò estremamente precaria". Coloro che fuggivano dai villaggi erano costretti a mangiare i frutti della foresta, le radici, il mais, mentre la politica genocida dell'esercito si spingeva fino ad avvelenare i fiumi per impedire che i fuggitivi potessero dissetarsi.
La vita difficile dei continui spostamenti per fuggire dall'esercito rendeva la vita dei bambini di campesinos, sindacalisti, attivisti, catechisti impossibile, e molti purtroppo non riuscirono a sopravvivere, nonostante le cure di Doña Teresa, a quel tempo "promodora de salud" (infermiera), poiché soffrivano di malnutrizione e non avevano una alimentazione adeguata.
E' stato in questa situazione che Doña Teresa e molti altri hanno deciso di rifugiarsi in Messico, sia per tessere legami con gli altri esiliati e ricevere appoggio da parte dei messicani (in particolare quello di Samuel Ruiz, per anni vescovo del Chiapas), sia per sensibilizzare l'opinione pubblica su quello che stava accadendo, mentre i campesinos che rifiutavano di lasciare il paese o che comunque finivano nelle mani dell'esercito erano obbligati a entrare nelle Pac per combattere contro la guerriglia oppure erano costretti a vivere nelle cosiddette "aldee modello", dei villaggi organizzati secondo la vita e i parametri militari. Inoltre, nonostante la fuga obbligata in Messico, per molto tempo l'esercito guatemalteco si rese protagonista di numerose scorribande extraterritoriali per continuare a perseguitare i fuggitivi, tanto da costringerli, nel 1984, a spostarsi più nell'interno del paese di 50 km per sfuggire alla persecuzione dei militari. Nel 1988 il governo guatemalteco minaccia i retornados: o ritornano nel loro paese oppure devono rassegnarsi a perdere il diritto alle loro terre. La logica del governo presupponeva che ritornare significasse sottostare alle leggi dittatoriali dello stato come se loro fossero scappati in quanto fuorilegge: in realtà, precisa Doña Teresa, "noi inizialmente non abbiamo accettato poiché eravamo scappati per via delle persecuzioni pur non avendo fatto niente, ma alla fine le assemblee (composte perlopiù da rifugiati maya e in cui lei era l'unica rappresentante femminile) degli stati messicani in cui si trovavano gli esiliati (Quintana Roo, Chiapas, Campeche) hanno scelto di ritornare".
Doña Teresa parla di un triplo sfruttamento ai danni del popolo guatemalteco: il primo risale al periodo della conquista degli spagnoli (la rapina delle risorse naturali e a febbre dell'oro), il secondo agli anni del genocidio degli anni '80, il terzo alle attuali politiche di libero commercio che gli Stati Uniti cercano di imporre a tutta l'America Latina e al Guatemala in particolare tramite la ratifica del Cafta. Nonostante gli accordi di pace, conclude, "c'è ancora molto lavoro da fare, poiché le condizioni che hanno portato il paese alla guerra persistono e la società guatemalteca è rimasta da allora disarticolata (come del resto volevano i militari), tuttavia la pace pur non risolvendo tutti i problemi ha creato degli spazi di cui approfittare", e la speranza di un cambiamento verso un'altra rotta potrebbe avvenire per via elettorale. Il riferimento è al Movimiento Amplio de Izquierda, ancora in fase embrionale, ma che forse contiene nelle sue radici i germi per un nuovo Guatemala comprendendo la dimensione politica, sociale e indigena.
Il problema del reinserimento nella vita civile del paese è stato uno tra i principali problemi che hanno dovuto affrontare non solo i retornados, ma anche quegli ex-guerriglieri che hanno deciso di abbandonare la lotta armata, come emerge dal racconto di uno di loro appartenente alla Cooperativa Integral Agricola Nuevo Horizonte, che si trova nel Petén. Dopo aver tentato di cambiare totalmente la scena politica del paese tramite la lotta rivoluzionaria, gli ex-guerriglieri delle Far di Nuevo Horizonte hanno scelto la strada dell'inserimento nel tessuto sociale del paese, pur continuando a denunciare l'esclusione sociale e la miseria che continuano ad affliggere il Guatemala. "Il tentativo di reinserimento", spiegano gli ex-guerriglieri, "non è stato facile, soprattutto perché ai nostri sforzi di accettare gli accordi di pace non è corrisposta la stessa volontà da parte dei militari, e per questo motivo non si può affermare che sia stata raggiunta una pacificazione completa", come testimoniato anche dall'aumento del budget previsto dalle spese militari deciso per il biennio 2005-2006 dall'attuale governo Berger."C'è appunto un nuovo orizzonte da raggiungere", sostiene la Cooperativa degli ex guerriglieri, (composta da circa 107 famiglie per un totale di 450 abitanti), che ha dato vita ad una vera e propria cittadella autonoma strutturata in commissioni presiedute da una giunta direttiva in cui le donne svolgono una funzione di primo piano, tratto fondamentale in una società maschilista come quella guatemalteca. I progetti per l'allevamento del bestiame, di piscicoltura e di turismo servono a Nuevo Horizonte per il sostentamento della piccola comunità, che inoltre si avvale degli aiuti internazionali provenienti dalle organizzazioni non governative, ma non dal governo guatemalteco, da loro definito "il più corrotto dell'America Latina". Nata il 25 Luglio 1998, la cooperativa ha scelto di accogliere tutte quelle persone che hanno chiesto ospitalità a causa delle persecuzioni del regime militare allo scopo di aprire quegli spazi politici relativi alla partecipazione sociale, ai diritti indigeni e alla Pastorale della Terra e della Salute che si erano chiusi dopo il rovesciamento del governo Arbenz nel 1954.
In relazione alla Pastorale della Salute i Promodores de salud denunciano la precaria situazione della salute in tutto il paese, ma principalmente nel Petén, sia per l'esistenza di poche medicine, sia per le scarse possibilità di acquisto dei farmaci da parte delle popolazione. A questa situazione si è tentato di rimediare soprattutto tramite l'opera dei medici cubani, arrivati in Guatemala in seguito all'uragano Mitch del 1998 e ancora presenti nel paese, anche se la questione sanitaria continua a rappresentare uno dei problemi principali in tutto lo stato. Di fronte ad un governo che ha destinato il triplo dei suoi fondi alle spese militari piuttosto che a quelle sanitarie e che sembra orientato alla completa privatizzazione della sanità in Guatemala, a Dolores grazie alla sezione spagnola di Architetti Senza Frontiere è stato costruito un centro nutrizionale per bambini denutriti, mentre nel Petén sono state inaugurate alcune unità minime di salute (il caso più recente è stato quello nell'aldea San Marcos) per venire incontro a tutte quelle persone che altrimenti resterebbero escluse dai servizi sociali e sanitari a causa dell'operato neoliberista dello stato guatemalteco, che pubblicizza enormemente le cliniche private come se la salute fosse un vero e proprio commercio e non un diritto di tutti i cittadini. La creazione delle unità minime di salute fa parte della pastorale sociale attuata dalla parrocchia di Dolores principalmente per prevenire le malattie parassitarie e la mortalità infantile, ma non è l'unico campo in cui è lavora il Vicariato del Petén, impegnato anche a promuovere la Pastorale della Terra.
La Pastorale della Terra, spiegano i responsabili, lavora in due ambiti fondamentali, quello giuridico e quello agricolo. Da una parte viene condotto un lavoro di accompagnamento, consulenza e appoggio ai campesinos, principalmente tramite il Progetto del Catasto del Petén, trasformatosi in un esempio per tutto il Guatemala (la Pastorale della Terra è riuscita ad ottenere la firma di 500 contratti che assegnano la proprietà dei terreni ai campesinos), dall'altro il Vicariato continua ad appoggiare tramite documentate denunce (culminate nel 2000 con la pubblicazione "Il grido della selva") sul disboscamento, l'inquinamento e il traffico di legname allo scopo di salvaguardare l'ambiente in tutta la regione.
In un contesto così critico, le esperienze comunitarie e i progetti dell'Associazione Amici del Guatemala possono rappresentare un aiuto concreto per un popolo che sta faticosamente cercando una via d’uscita dopo gli anni bui del genocidio e del conflitto armato.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte e l'autore.

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