Latina

Ecuador, il tempo stringe per Correa. In novanta giorni si giocherà tutto

Il programma ambizioso del nuovo governo si scontrerà inevitabilmente con la destra economica e politica (e con l'ex presidente Gutierrez), che si prepara a resistere e reagire. Le speranze sono grandi, i timori anche
18 gennaio 2007
Francesco Martone (Senatore di Rifondazione comunista)
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

«Basta con la democrazia di plastilina, oggi non inauguriamo l'epoca del cambiamento, ma l'inizio del cambiamento di un'epoca, quella che passa attraverso l'abbandono del neo-liberismo, per il socialismo del XXI° secolo». Così ha detto nel discorso di insediamento di lunedì scorso il neo-eletto presidente dell'Ecuador Rafael Correa di fronte ad una platea entusiasta che ha gremito l'emiciclo del Congresso di Quito.
Le parole scorrono fluide, appassionate, nell'attacco - senza precedenti nella storia del paese - contro le istituzioni finanziarie internazionali, il peso insostenibile del debito estero, le élite corrotte.
Sotto i murales imponenti del maestro Osvaldo Guayasamin, memoria artistica della lotta secolare per il riscatto del continente latino-americano e dei suoi popoli, Rafael Correa parla il linguaggio della giustizia sociale, intreccia citazioni di Simon Bolivar e del grande eroe nazionale Eloy Alfaro, la Populorum Progressio inframmezzata ad una lectio magistralis sui danni provocati dal neo-liberismo nelle ultime decadi. Promette un governo dei cittadini, lotta alla corruzione e recupero della sovranià nazionale. Si schiera, con Hugo Chavez ed Evo Morales, per la costruzione di una «nazione» di popoli latino-americani, sotto lo sguardo di Michelle Bachelet, Ignacio Lula da Silva, Daniel Ortega, Alan Garcia. Alla fine anche il colombiano Alvaro Uribe ha deciso di partecipare, in forse fino all'ultimo momento a causa del conflitto ancora non risolto sul tema delle fumigazioni trans-frontaliere. Un tema che a molti appare qualcosa di più rispetto ad una seppur grave emergenza ambientale e riguarda la posizione che l'Ecuador dovrà assumere rispetto al conflitto colombiano e quindi anche il futuro della base di Manta, da dove partono i voli-spia della Cia impegnati nel Plan Colombia. Correa ha già deciso di non rinnovare il contratto alla sua scadenza nel 2008, e di trasformare Manta in un aeroporto internazionale, con lo sguardo puntato alla Cina.
Molte sono le sfide e le incognite che il neo-presidente ed il suo governo, composto per il 40% di donne, si troveranno ad affrontare fin dai primi giorni di mandato. La più impegnativa è senz'altro quella di costruire un percorso partecipato all'assemblea costituente, la parola d'ordine della campagna elettorale e dell'impegno di governo, nel tentativo di rinnovamento della politica e della vita sociale. Il futuro è però pieno di insidie. Avendo deciso di non candidare suoi esponenti al Congresso, Correa si trova in una situazione di delicato equilibrio, con un sostegno conseguito solo qualche giorno prima del suo insediamento grazie al voltafaccia (l'ennesimo) di Lucio Gutierrez, eletto presidente nel 2004, cacciato a furor di popolo nel 2005 e riemerso come un gatto dalle mille vite. «La stragrande maggioranza degli indigeni ha votato per lui», conferma Sara Baez, di Tierranueva, che ha studiato particolareggiatamente il voto. Con una maggioranza favorevole alla costituente estremamente esigua e volatile, è Gutierrez il vero «kingmaker» che può fare e disfare gli scenari futuri. Gutierrez, che lavora già al dopo-Correa, ha un rapporto tesissimo con il presidente, che non ha gli lesinato accuse.
Quelli di Alianza Pais sono consapevoli del rischio. Sanno di camminare senza rete e devono fare presto per evitare che la destra si coalizzi, sposti le alleanze in parlamento e inizi ad immaginare un processo di impeachment contro Correa.
«I militari fino ad oggi non hanno detto nulla - confida preoccupato Augusto Barrera - e potrebberro scendere in campo qualora la situazione diventasse ingestibile in caso di un conflitto aspro presidente-parlamento». Già tra i promotori del partito Pachakutik-Nuevo Pais, ora fortemente ridimensionato in parlamento e nella società, Barrera è l'animatore di un movimento, Alternativa Democratica, che sostiene criticamente Correa. «Noi siamo un movimento cittadino», spiega Alberto Acosta, ora ministro dell'energia oltre che eminenza grigia del presidente, una lunga esperienza nei movimenti sociali, nazionali ed internazionali. «Però dobbiamo fare presto, abbiamo davanti a noi 90 giorni per convocare la costituente, dobbiamo farlo in maniera rappresentativa». Acosta, che siede in un posto-chiave, pensa in grande. Parla di sovranità energetica, di diversificazione delle fonti, azzarda un piano per una moratoria all'esplorazione petrolifera in foreste intatte, abitate da popolazioni indigene mai contattate dall'uomo. Certo è che il tempo delle vacche grasse per le trans-nazionali petrolifere sta per finire, e anche il tempo dell'accettazione passiva dei diktat del Fondo monetario internazionale e degli squilibri nei rapporti commerciali. Correa non firmerà il Tlc, l'Accordo di libero scambio con gli Stati uniti, e lavorerà ad uno sganciamento progressivo dall'Fmi. «Paghiamo quello che resta da pagare, e poi bye-bye» - ride il nuovo ministro dell'economia Ricardo Patiño, una lunga militanza nel movimento Jubileo 2000 per la cancellazione del debito -. Il nostro obiettivo è quello di non firmare più alcuna lettera d'intenti con il Fondo», a differenza di Gutierrez.
L'Ecuador s'affaccia su un futuro di grandi speranze ma anche di grandi paure. «Se non ce la facciamo stavolta - chiosa Sara Baez- sarà la fine. Con il movimento indigeno a pezzi, i migliori quadri dei movimenti sociali al governo, un fallimento rischia di far precipitare il paese nello scenario peggiore».

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