Latina

Fox contestato in aula, niente discorso alla nazione

Messico Sinistra contro la frode elettorale: impedito l'«informe a la nacion», il presidente costretto a lasciare un testo scritto
3 settembre 2006
Gianni Proiettis
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Vicente Fox, presidente uscente della Repubblica messicana - il suo mandato scade a dicembre - non è riuscito a entrare nel Congresso, in seduta bicamerale e sotto assedio militare, per pronunciare il suo sesto e ultimo informe a la nación. La sinistra al completo, che rappresenta quasi un terzo della nuova Camera, glie lo ha impedito, occupando d'autorità la tribuna pochi istanti prima che Fox arrivasse sulla porta dell'edificio, e obbligandolo a consegnare il suo rapporto per iscritto e a ritirarsi. Si spezza così, per la prima volta, uno dei rituali più sacri del presidenzialismo messicano, con una liturgia ossequiosa e dettagliata.
Non che la presentazione dell' Informenon fosse già consumata. E' all'inizio degli anni '80, sotto la presidenza di Miguel de la Madrid, iniziatore del neoliberalismo in Messico, che cominciarono a manifestarsi insofferenze e attacchi a un rito considerato servile e autocelebrativo. Con le presidente di Carlos Salinas e Ernesto Zedillo, le contestazioni all'interno della Camera - proteste collettive di interi gruppi o happeningdi singoli deputati - erano cresciute di tono. Ma il veto di venerdì scorso è una novità assoluta, avviene in un clima post-elettorale avvelenato da quella che la sinistra ritiene una frode frode - che pretende di insediare a forza il candidato della destra, Felipe Calderón - ed esprime un rifiuto esacerbato all'autocompiacimento e alla retorica presidenziale.
Perché Fox, in effetti, lascia un'economia devastata, una nazione polarizzata e impoverita, una sovranità che sembra un ricordo del passato e un'intollerabile imposizione di continuità. Celebrare tutto questo con un discorso trionfalistico di fronte al potere legislativo sarebbe stato, per i deputati che hanno occupato l'aula, davvero troppo.
Tanto più che, per garantire sicurezza allo svolgimento della cerimonia e alla persona del presidente, migliaia di poliziotti e militari hanno tenuto da vari giorni in stato d'assedio la zona del Congresso, impedendo la circolazione. Barriere metalliche, blindati muniti di idranti antisommossa, controlli ossessivi dei passanti nei giorni scorsi sono diventati scene di routine, dimostrando il nervosismo di un potere che ha paura della resa dei conti.
Alla vigilia del discorso di Fox, le previsioni su quello che sarebbe successo erano le più varie: che il presidente sarebbe arrivato alla tribuna grazie a una squadra di pretoriani esperti in arti marziali, che si sarebbe scatenata una rissa senza precedenti fra i gruppi parlamentari, che Lopez Obrador e le sue orde avrebbero invaso il Congresso. Poi, venerdì sera, di fronte a tutti i nuovi deputati e senatori e a più di mille rappresentanti delle istituzioni, la sessione si è aperta con una certa trepidazione. Secondo il protocollo, i rappresentanti dei vari partiti hanno preso la parola prima dell'arrivo del presidente. Quasi tutti i partiti minori - ma anche lo storico partito-stato Pri, uscito dimezzato dalle ultime elezioni - hanno condannato la militarizzazione del Congresso e criticato fortemente il sessennio del governo Fox. Poi è stata la volta del rappresentante del Prd, il partito che sostiene, in coalizione con il Pt e Convergencia, la candidatura di Lopez Obrador e rivendica, con un crescente movimento di protesta, la sua vittoria nelle elezioni del 2 luglio.
Il senatore perredistaCarlos Navarrete ha denunciato l'illegalità dello «stato d'assedio» imposto al Congresso dal presidente Fox, invocando l'articolo della Costituzione che esige l'assenso dello stesso Congresso per adottare misure d'eccezione. Navarrete ha chiesto il ritiro del triplice accerchiamento militare intorno alla sede del potere legislativo e i parlamentari del Prd hanno occupato, con deciso tempismo, la tribuna. La sincronia con l'arrivo di Fox, scortato da un comitato d'onore, è stata perfetta. Di fronte a una tribuna occupata, da cui spuntavano molti cartelli di Fox traidor, il presidente è rimasto qualche minuto sulla porta, parlottando a bassa voce con un rappresentante del Pan, poi ha optato per consegnare una copia scritta del rapporto - facoltà che gli concede la Costituzione - e ha fatto dietrofront verso il convoglio in attesa. La sessione del Congresso è stata chiusa, senza che il rappresentante del Pan potesse prendere la parola, e aggiornata a martedì. Pochi minuti dopo, comunque, Fox ha letto il suo messaggio di 25 minuti alla televisione, che lo ha trasmesso a reti unificate. Mancano pochi giorni alla sentenza del supremo tribunale elettorale che definirà l'esito delle elezioni presidenziali del 2 luglio.
Con grande senso di responsabilità, Andrés Manuel Lopez Obrador, di cui si temeva un'incursione alla testa di una folla inferocita, si è limitato a un discorso nel Zocalo, la piazza centrale di Città del Messico occupata da settimane, rifiutando le provocazioni e chiamando i messicani a partecipare alla Convención Nacional Democrática indetta per il 16 settembre. Sarà lì, secondo il programma, che si «rifonderanno le istituzioni».

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