Latina

Messico: elezioni all'insegna dell'impunità e dei conflitti sociali sedati con la forza

21 giugno 2006
Monica Mazzoleni (Amnesty International Coordinamento Centro America e Paesi Andini)


Maggio, il mese delle rose: in Messico, a San Salvador Ateneo, una protesta di venditori di fiori ambulanti si trasforma in tragedia. I venditori protestano perché non vogliono essere spostati in una zona meno trafficata per non perdere i guadagni della loro attività. Li sostengono gli attivisti del "Frente de Pueblos Unidos ed Defensa de la Tierra" (FPDT), un'associazione locale di agricoltori. Le forze di polizia municipale e federale intervengono per ristabilire l'ordine. Ne nasce uno scontro violento: un ragazzo di quattordici anni viene ucciso, si contano più di 200 arresti, centinaia di feriti e almeno 23 donne stuprate dalla polizia mentre erano in detenzione.

"E' evidente che si è fatto un uso sproporzionato della forza" ha dichiarato Liliana Velázquez Ramirez, presidente della sezione messicana di Amnesty International, che chiede che i responsabili siano assicurati alla giustizia.

Carlos Fazio, giornalista de "La Jornada", in un articolo del 20 maggio, accusa la Polizia Federale Preventiva (PFP) di aver pianificato l'operazione e il presidente Fox di averla approvata. Lo scopo, secondo il giornalista, è "rafforzare il "controllo" sulla popolazione in mano a gruppi di dissidenti politici, sociali. Come gli attivisti del FPDT, che vengono identificati come "delinquenti", "sovversivi" e assimilati al "crimine organizzato".

Vecchie paure ereditate dalla "guerra sucia", la "guerra sporca" degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta che trova ancora impuniti i colpevoli di gravi abusi dei diritti umani? Dopo quattro anni di lavoro il procuratore speciale per le passate violazioni dei diritti umani ha eseguito solo sette mandati di arresto nei confronti di pubblici ufficiali dell'epoca. Inoltre la Corte Suprema ha stabilito che il genocidio commesso prima del 2001 è soggetto a prescrizione. Decisione che ha portato all'archiviazione del procedimento a carico di nove persone per l'omicidio di decine di studenti (secondo le stime più attendibili tra 30 e 40 studenti), durante la protesta del 1971 nota come Corpus Cristi.

Un mese dopo, 14 giugno, un'altra piazza, la piazza centrale di Città di Oaxaca, nello Stato omonimo. Da 23 giorni è occupata da insegnanti che manifestano per chiedere un miglioramento dei loro contratti di lavoro. Interviene la polizia per disperderli con gas lacrimogeni e manganelli, causando molti feriti, alcuni dei quali sono bambini. Si parla di un morto, ma la notizia continua a essere smentita. Anche in questo caso si è fatto un uso eccessivo della forza.

Sia per le violenze di San Salvador Atenco che per quelle della Città di Oaxaca risulta che alcuni poliziotti coinvolti nei fatti siano stati sospesi. Per ora nulla più.

"Il governo è presente solo quando viene a cercare voti. Dopo le elezioni le promesse rimangono disattese. Inoltre, questi ultimi anni sono stati caratterizzati da una forte pressione. La politica liberale sostenuta dal governo viene imposta con la forza, con l'intervento della polizia". Così denunciava tre mesi fa Soledad, indigena attivista di Oaxaca che viaggiava per l'Europa per denunciare quello che accadeva nel suo paese e chiedere solidarietà.
"Manca la libertà di espressione e anche di movimento" spiegava "Ai campesinos che si dirigono in città o in altre comunità a volte viene impedito il transito con posti di blocco della polizia: così, per non rischiare la vita, sono costretti a tornare indietro e a rinunciare alle loro attività".

Giustizia verrà fatta? Nel 2004 a Guadalajara, nello Stato di Jalisco, una manifestazione pacifica venne repressa con la forza, diversi manifestanti furono denunciati, incarcerati e torturati. Ad oggi risulta che 12 persone sono state dichiarate colpevoli di aver preso parte alla manifestazione, e la maggior parte di esse sono state condannate su prove estorte sotto tortura. Le autorità statali si sono rifiutate di indagare sulle denunce di tortura o di irregolarità nella presentazione delle prove a carico e nella condotta della polizia.

E' utile ricordare che nel 2005 il Messico ha ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura.

Il sistema giudiziario messicano garantisce l’impunità e spesso asseconda i poteri forti. Chi è impegnato nella difesa dei diritti umani rischia di essere accusato in base a prove false, create su misura per metterlo fuori gioco.

È il caso di Felipe Arreaga Sánchez, campesino denunciato nel 2004 di omicidio e incarcerato per dieci mesi nonostante l'evidenza di prove false, per rappresaglia contro la sua attività di difesa dei boschi nella Sierra di Petatlan (Stato del Guerrero). È stato liberato grazie alle proteste e agli appelli di organizzazioni locali ed internazionali. Ancora oggi è minacciato di morte e i militari continuano a fermarlo per controlli.

Quando è stato liberato, Felipe Arreaga ha detto "Proteggere i boschi è un compito fondamentale che noi delle comunità abbiamo dovuto prendere nelle nostre mani, data l'incapacità del governo di assumerselo. Il minimo che pretendiamo dal governo è che garantisca la nostra sicurezza e la nostra incolumità per portarlo a termine senza che questo rappresenti una minaccia per le nostre vite".

Invece il sindacalista Martín Barrios, dello Stato di Puebla, ha rischiato dieci anni di galera perché un imprenditore lo aveva accusato di averlo ricattato. L'imprenditore sosteneva che Martín Barrios gli aveva chiesto denaro in cambio della fine di una protesta di operai, gli stessi che Martín Barrios sosteneva e che erano in sciopero per chiedere migliori condizioni di lavoro. Il tormento di Barrios è durato pochi giorni, anche grazie alla mobilitazione di Ong locali ed internazionali che ne hanno chiesto l'immediata scarcerazione.
Martín Barrios nel 2003 era uscito indenne da un'aggressione da parte di ignoti. Le indagini sul tentato omicidio non hanno portato a nulla.
Albertano Peñalosa, anche lui difensore dell'ambiente nello Stato del Guerrero, ha perso due figli in un attentato di cui era l'obiettivo. Ancora chiede giustizia.

E chi denuncia l'impunità e la corruzione rischia di pagare con la vita.

Secondo dati della Commissione nazionale per i diritti umani, durante l'attuale amministrazione del presidente Vincente Fox sono stati 23 i giornalisti assassinati e 208 quelli che hanno subito aggressioni. Per questo, a febbraio, il governo federale ha istituito una procura speciale incaricata di coordinare le indagini sui delitti commessi contro i giornalisti nazionali o stranieri in territorio messicano a causa della loro professione.

Il giornalista Sergio Gonzàles Rodríguez è sopravvissuto a due attentati. La sua colpa è quella di aver scritto il libro-inchiesta, "Ossa nel deserto", in cui affronta in modo sistematico la tragedia delle centinaia di omicidi impuniti di donne a Ciudad Juárez. In pagine fitte di testimonianze e documentazione, mette in luce l'esistenza di una profonda connivenza tra narcotraffico, politica, magistratura, polizia e forze armate, che garantisce incolumità ai responsabili degli omicidi.

In Messico le donne e le ragazze, soprattutto quelle appartenenti alle classi più povere della società, continuano a subire discriminazioni e violenze in casa e in comunità.

E tra i poveri: i migranti. Nel 2005, alla frontiera settentrionale, almeno 440 migranti senza documenti sono morti mentre tentavano di attraversare il confine con gli Stati Uniti, che hanno deciso di costruire un muro che immancabilmente farà aumentare la tensione e il numero delle vittime.

In Messico, i 2 luglio, si voterà per le elezioni presidenziali. In Chiapas, chi distribuisce informazioni riguardo la "Otra Campaña" (l'altra campagna proposta dall'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) rischia minacce di morte e arresti arbitrari.

I tre candidati dei principali partiti politici sono Felipe Calderón (Partido del Acción Nacional, PAN), Roberto Madrazo (Partido Revolucionario Institucional,PRI) e Andres Manuel López Obrador (Partido de la Revolución Democrática, PRD). La loro campagna elettorale è iniziata lo scorso dicembre. All'ordine del giorno, le questioni dell'ordine pubblico e dell'alto livello di delinquenza in Messico. La promozione del dialogo con la società civile e la questione dei diritti umani rimangono purtroppo ancora in secondo piano.

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