Latina

Parla l'«ambasciatrice» dei Mapuche cileni

Cile: mapuche,una lirica per gli ultimi senza terra

Privati della terra e di ogni diritto dai governi succedutisi nel Cile post coloniale, i Mapuche rivendicano con forza la loro cultura
26 maggio 2006
Geraldina Colotti
Fonte: Il Manifesto


«Lautaro.../ ritornerà.../ con la luna/ dei primi germogli/ Questi frutti maturi/ popoleranno la terra/ spazzando via/ l'invasore». Al Salone del Libro di Torino, Rayen Kvyeh, poeta, drammaturga e attivista del Movimento di resistenza mapuche in Cile, recita i versi che l'hanno resa celebre a livello internazionale. Le chiediamo di leggere per noi in mapudungun, la «lingua della terra». La voce ha un suono dolce,malo sguardo trasmette la determinazione del suo antichissimo popolo, sovrano nella propria nazione dal 1641 al 1881.Unadonnapiccola e tenace, Rayen Kvyeh. Dice di essere «molto anziana» ma gli anni sembrano averla scalfita appena. «Imapuche - racconta al manifesto - si oppongono alla dominazione coloniale dai tempi degli incas. Terremo duro anche adesso che le multinazionali vogliono distruggere le nostre terre e la polizia ci rende la vita impossibile». Imapuche del Cile sono oltre un milione, il 10% dell'intera popolazione. Hanno resistito all'occupazione spagnola e poi all'esercito del neo-stato cileno, che li ha sconfitti solo nel 1881, dopola cosiddetta guerra di pacificazione. «Fu uno sterminio - precisa Rayen Kvyeh - donne e bambini vennero trucidati dai militari, lo stato cileno voleva farla finita con noi». E da allora, il territorio mapuche è stato separato tra Cile e Argentina (lì, la popolazione nativa è di oltre 300.000 persone). Agli inizi del'900, il governo cileno ha assegnato a coloni venuti da fuori le terre dei mapuche, riducendo l'antico popolo a minoranza etnica invisa e repressa. Tra il 1973 e il 1989, la dittatura di Pinochet ha mascherato da politica assistenziale un processo di assimilazione condotto con la complicità di alcuni dirigenti mapuche, dando mano libera ai progetti delle impresemultinazionali sul territorio. Annullando la riforma agraria decisa dall'Unità popolare di Salvador Allende, ha obbligato quasi la metà della popolazione a trasferirsi nelle periferie povere di Temuco, Concepcion e soprattutto Santiago. Ma l'85% vive ancora sulle Ande e a sud del fiume Bio-bio, in una regione chiamata Araucania dai conquistadores. Territori ancora oggi definiti Frontera, simbolo di una memoria tutt'altro che azzerata.

Gente della terra
«Mapuche significa gente della terra - continua Rayen - lamadre terra ci dà la vita. Il mio popolo prima viveva su una superficie di 10 milioni di ettari, ma per il governo oggi ce ne spettano solo 500.000, assegnati attraverso contratti di proprietà che per noinon significano nulla, poiché abbiamo un diritto naturale sulle terre: sono nostre da centinaia di anni, e vogliamo recuperarle». Per quei diritti naturali e culturali, e per far fronte alla distruzione diunambiente devastato dai pesticidi e dalle monoculture, imapuche organizzanomarce di protesta contro le imprese forestali, e respingono come possono le continue provocazioni di un esercito che in Cile spende in armi il4%del Pil e accetta l'involucro democratico solo in cambio di un cospicuo ritorno in termini di affari e privilegi. «La nostra - dice Rayen - è una lotta per la vita. Sulle Ande, i bambini si ammalano e muoiono perché respirano pesticidi, sulla costa - dove la costruzione del porto condurrà a nuovi espropri - perché ilmare è inquinato. Le piantagioni di pini e eucalipti, che servono a fabbricare cellulosa per l'esportazione, nonsono adatte alla nostra terra, richiedono troppa acqua, provocano desertificazione, distruggono l'ecosistema. Già si estendono su oltre due milioni di ettari, controllati dai grandi potentati economici, e nell'anno in corso prenderanno altro spazio». Nata in provincia di Malleko, Rayen Kvyeh ha studiato diritto del lavoro e teatro. E proprio i suoi testi teatrali, scritti e diretti in scena da lei al Trigal di Concepción, le hanno valso il carcere a più riprese durante la dittatura cilena, e poi l'esilio in Germania.Da lì, si sposta nell'allora Nicaragua sandinista. «Un'esperienza fondamentale sia sul piano politico che su quello umano»- spiega. «Vivevo in un'antica comunità misquita sandinista. Cercavo di comprendere come conciliare l'autodeterminazione di un popolo originario con il processo rivoluzionario in corso in Nicaragua». Un percorso fallito, perché molte comunità indie hanno avversato l'esperimentosandinista. «La questione è complicata » - riprende Rayen. «Il Nicaragua èunpaese poco popolato,mamolto diversificato al suo interno, come mostra la sua stessa architettura. La costa del Pacifico spesso non conosce la cultura della costa atlantica. Questo è stato alla base del mancato incontro tra i misquitos e la rivoluzione, e dei problemi che si sono verificati nell'82».


Allora, quella mistura di incomprensioni e chiusure autoctone, portò al dislocamento di una parte deimisquitos del nord-est, molti dei quali fuggirono in Honduras. Nell'84, i sandinisti riesaminarono la questione, consentendo il ritorno e poi l'autonomia dei misquitos, sancita dalla costituzione.Rayen ricorda ancora: «Omar Cavezas, uno dei comandanti della rivoluzione,mi spiegò che avevano sbagliato per ignoranza. Non conoscevano né l'idioma né la cultura deimisquitos, che non parlano castigliano.Dovevano servirsi diuntraduttore. Ma nel frattempo l'imperialismoaveva già fatto il suo lavoro, creando alleanze fra Contras emisquitos...». Forte di quell'esperienza, Rayen decide allora di tornare nelle Ande. Dirige alcune riviste di cultura nativa, fonda la Casa d'Arte, Scienza e Pensiero Mapuche. Siamo agli inizi degli anni '90. Le speranze che la comunità ha riposto nei governi post-dittatura, si rivelano vane. La costituzione nonconterrà nessun accenno all'autodeterminazione mapuche, come invece sembrava pattuito. Nel '97, le comunità decidono di procedere al recupero delle terre e di premere sul governo per ottenere l'autodeterminazione perduta 125 anni fa. Rayen fa parte del coordinamento organizzativo del movimento di resistenza e della rete ambientalista: «Ma il mio apporto è anche scrivere», dice ora quasi schermendosi. Accarezza il kultrun, il tamburo sacro che ha portato con sé e che ritma le cerimonie tradizionali di festa o di lutto. E riprende: «Quante veglie funebri abbiamo dovuto celebrare. Nel 2002, un carabinero ha ucciso un ragazzo di 17 anni, Alex Lemum. Ogni anno, la nostra gente scende dalle montagne per ricordarlo. E quattro prigionieri politici del nostro movimento hanno appena sospeso uno sciopero della fame durato sessanta giorni. Siamo noi a venire uccisi, eppure ci chiamano terroristi». Dal 1997, per l'inasprimento delle leggi speciali, attive durante la dittatura, 400 persone hanno subito condanne con l'accusa di occupazione abusiva o incendio. E, dopo l'11 settembre, il movimento di resistenza - dapprima considerato «illegale» - è stato dichiarato «terrorista». «I nostri compagni - afferma Rayen - rimangono in carcere per un tempo lunghissimo in attesa del processo e sono condannati a pene pesanti in base a denunce anonime che gli avvocati non possono contestare». E' accaduto così a quattro attivisti mapuche, che scontanounapena di 10 anni nella prigione di massima sicurezza di Angol. «Sono accusati di 'incendio a fine terroristico' e di aver manifestato contro la costruzione della diga idroelettrica di Ralco, che sta devastando i nostri territori» - spiega Rayen. «Chiedono la revisione del processo, l'abolizione delle leggi speciali e l'autodeterminazione delle comunità.Mail governoha proposto solo la semilibertà.E loro hanno continuato lo sciopero della fame. Allora li hanno trasferiti al carcere di Temuco, nella città dove risiedono tutte le nostre organizzazioni, incatenati al letto e nutriti a forza, e alloggiati in una cella di fronte alle cucine. Nel corso della grande manifestazione di sostegno, che si è tenuta davanti al carcere, 34 persone sono state picchiate e due di loro saranno processate».

Lo sciopero della fame si estende
Ma imapuche resistono, e la solidarietà si fa sentire, all'interno e all'esterno del paese. Lo sciopero della fame si estende. Gli attivisti occupano il consolato cileno per 11 giorni.Blocchi stradali impediscono il traffico sull'arteria principale che collega il Cile all'Argentina: anche i mapuche argentini sono scesi in campo. Amnesty International, le Nazioni unite, la Commissione internazionale contro la tortura, premono sul governo. Martedì 16 Michelle Bachelet interviene alla Conferenza indigena e afferma che intende abolire le leggi d'emergenza. Alla Camera inizia la discussione sul progetto di legge proposto dai mapuche. «Ci hanno assicurato che i prigionieri politici saranno liberati entro il 9 giugno», afferma Rayen». E per questo, i prigionieri, allo stremo, hanno sospeso lo sciopero della fame. «Ma siamo pronti a ripartire se le promesse verrenno un'altra volta disattese » - riprende l'attivista. «In Europasi dà molto credito aMichelle Bachelet, ma il Cile non si sta trasformando in nazione multietnica, né riduce il divario fra i latifondisti e chi non ha niente. Il razzismo e l'indifferenza verso i mapuche permangono». Su chi potranno contare allora imapuche? «Sulla solidarietà di molti artisti, intellettuali, giovani. Poco su quella dei lavoratori, che faticano a riprendere l'opposizione al neoliberismo. Dopo quella brutale dittatura, la ricomposizione del movimento operaio è assai lenta. La società cilena non conosce la cultura mapuche, né la sua storia, che non s'impara a scuola. Anche per questonon c'èuna solidarietà massiccia alle nostre rivendicazioni, che non sono obiettivi corporativi, mauna questione di civiltà per tutti». Eppure, mai come in questo periodo, la questione indigena è stata così presente nei nuovi movimenti a livello mondiale. «Sì - dice Rayen - il nostro funzionamentocomunitario, il rispetto per la natura che ci dà vita, incontrano altre idealità e forme di resistenza al neoliberismo. Noi siamo naturalmente comunisti perché la nostra organizzazione sociale è comunitaria da sempre. Non abbiamo dovuto apprendere dal partito la necessità della condivisione.Manon pretendiamodimapucizzare i cilenio la società occidentale».

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