Latina

Bolivia: la coraggiosa mossa di Evo Morales fa di lui un obiettivo degli Stati Uniti come Hugo Chavez

14 maggio 2006
Stephen Lendman
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: Znet



Per avere un’idea della direzione che sta prendendo la politica degli Stati Uniti, basta semplicemente leggere la prima pagina del New York Times o del Wall Steet Journal- per quanto questo possa essere difficoltoso.Personalmente preferisco saltare la lettura del Times ma leggo quotidianamente il Wall Street Journal a causa del gran numero di lettori che possiede- si tratta di persone di elevatissimo livello del campo degli affari e della politica che desiderano essere guidati da informazioni reali per il loro lavoro. Pertanto, malgrado il Wall Street Journal sia la voce degli affari e dell’imperialismo americano, saperlo leggere con attenzione contribuisce a dare informazioni e indizi molto utili sul futuro della politica degli Stati Uniti.
Il Wall Street Journal segnala Evo Morales come attuale bersaglio degli Stati Uniti.
La copia del 2 Maggio è un esempio piuttosto lampante la pubblicazione in prima pagina di un articolo dal titolo “La Bolivia sequestra i giacimenti di gas naturali sotto il segno del nazionalismo energetico”. Già questo è un forte segnale di una corsa agli armamenti sostenuta anche nella copia successiva.

Il Wall Street Journal inizia la sua accesa retorica dichiarando che Evo Morales “è stato incoraggiato dalle mosse di Hugo Chavez contro le compagnie petrolifere private” ed il Primo Maggio (simbolicamente proprio nel giorno in cui si festeggiano i lavoratori in tutto il mondo e quest’anno anche negli Stati Uniti per la prima volta in modo più concreto) ha nazionalizzato il più grande giacimento di gas naturale del Paese, quello di San Alberto, ed ha ordinato all’esercito di “prendere il controllo di questo e di altri giacimenti del Paese”. Il Journal prosegue specificando l’ordine da parte di Morales alle compagnie petrolifere straniere di rinunciare al controllo dei giacimenti e di accettare “condizioni di gestione più severe oppure di lasciare il Paese.”
Secondo la legge boliviana è lo Stato ad essere proprietario delle proprie risorse.
Fino ad ora è stato permesso agli investitori stranieri di operare nei giacimenti e prendere la maggioranza delle quote di produzione per poi venderla per il loro guadagno. Lo scorso anno, comunque, la Bolivia ha incrementato le quote statali ad un reale 50% della produzione aumentando le tasse e di diritti di licenza.
Ieri il governo ha fatto un ulteriore passo avanti dichiarando che lo Stato è proprietario del gas al momento della sua estrazione e che le compagnie che operano nei due giacimenti maggiori dovrebbero avere solo il 18% della produzione.

Traduzione del messaggio reale del Wall Street Journal e di ciò che non hanno spiegato
E’ necessaria una piccola traduzione. Ciò che il Wall Street Journal non ha spiegato- e mai spiegherà- è che le “condizioni di gestione più severe” sono semplicemente quei diritti di cui la Bolivia (e tutte le altre nazioni) gode in quanto nazione indipendente. Si tratta del diritto di poter avere la maggioranza dei vantaggi dalle sue risorse naturali, gli investitori stranieri possono usufruirne solo perché è il Paese stesso a permetterlo. Invece appare chiaro dal Wall Street Journal che gli investitori sono sempre più avidi e vogliono investire alle loro condizioni.
C’è però dell’altro a non essere stato detto o che è stato spiegato in maniera poco soddisfacente e cioè che “nazionalizzazione” non vuol dire esproprio.
Evo Morales ha anche chiarito che gli investitori stranieri non perderanno i diritti sui loro investimenti. Ciò che perderanno, una volta che il piano di Morales verrà attuato ( ha dato loro circa 6 mesi di tempo per l’attuazione), è la quota ingiusta dei loro profitti e dei vantaggi di cui non avevano diritto fin dall’inizio. Secondo il piano Morales, verrà redatto un nuovo contratto tra il governo e gli investitori stranieri che garantisca ai boliviani la maggior parte dei profitti provenienti dalle loro risorse mentre, allo stesso tempo, agli investitori stranieri andrà la quota adeguata che spetta loro ma non di più. Ciò vuol dire anche che sarà lo stesso governo ora a decidere i termini delle ripartizioni e degli obblighi fiscali, pertanto non ci sarà più la Big Oil, dietro la lunga ombra degli Stati Uniti, a dettarli come accadeva in passato e come accade, ovviamente, ancora oggi.

Il Wall Street Journal è diventato ancora più caustico delle sue invettive passate e recenti contro Hugo Chavez. Sostiene infatti che gli alti prezzi dell’energia hanno fatto scoppiare una nuova ondata di nazionalismo che si estende da Caracas a Mosca. Ovviamente, però, non è stata fatta menzione del primo Paese in assoluto dove il nazionalismo ed il protezionismo sono una religione di Stato: gli Stati Uniti. Qui dove io vivo infatti, agli investitori esterni (specialmente a quelli provenienti da nazioni in via di sviluppo) non è permesso investire a meno che non si seguano le ferree regole che abbiamo stabilito,quindi, prendere o lasciare.
Pertanto secondo le leggi imperialistiche degli Stati Uniti (gli unici che possono farle, nessun altro si permetta!), ciò che porta vantaggi a noi non è accettabile o, peggio, non è permesso agli altri perché lo abbiamo detto noi.
Il Wall Street Journal prosegue dicendo che Morales sta imitando le misure contro Big Oil per parte di “Mister Chavez” (datosi che si tratta del Presidente dovrebbe essere chiamato in questo modo)* e che Morales e Chavez stanno entrambi “giocando con il fuoco nei confronti delle compagnie petrolifere staniere”. Inoltre il Journal non ha potuto resistere alla tentazione di ingigantire lo spettro di Fidel Castro dopo che Chavez e Morales hanno firmato un accordo di libero commercio lo scorso fine settimana con l’uomo che l’impero statunitense odia di più.
Ma c’è dell'altro in questa storia, come sottolinea il Wall Street Journal nel suo lungo articolo.
Anche il candidato alla presidenza del Perù, Ollanta Humala, nell’imminente ballottaggio alle elezioni contro Alan Garcia, scelto direttamente dagli Stati Uniti, ha dichiarato di essere a favore della nazionalizzazione delle risorse petrolifere e minerarie del paese.
Evo Morales ha chiarito che intende nazionalizzare le altre risorse naturali della Bolivia iniziando dalle foreste e dalle miniere.
Inoltre, ad aumentare la diffusione dell’incubo latinoamericano, lo scorso mese in Ecuador è passata una legge che taglia gli utili straordinari dei produttori di petrolio stranieri (inclusi quelli della statunitense Occidental Petroleum) che garantisce al governo (cioè alle persone) il 50% dei profitti delle compagnie petrolifere quando il mercato internazionale di petrolio aumenta i prezzi stabiliti nei contratti esistenti.

Cosa significano questi sviluppi per gli Stati Uniti e come intendono rispondere.

Questo di certo è un problema per gli Stati Uniti in America Latina e in tutto il settore petrolifero così come lo è in Iraq, Iran, Nigeria e chissà dove può rappresentarlo. Quindi dobbiamo prenderne atto e cercare di capire cosa potrà accadere in futuro. Gli Stati Uniti stanno spendendo centinaia di miliardi di dollari cercando di tenersi per sé il tesoro petrolifero che hanno rubato invadendo l’Iraq. Hanno anche fatto intendere di avere mire sulle stesse risorse petrolifere del vicino Iran e di voler attaccare quest’ultimo con le armi nucleari. E, come se tutto ciò non bastasse, c’è il dilemma del Venezuela che hanno tentato di risolvere senza successo per ben tre volte.
Il Venezuela possiede dei giacimenti di idrocarburi ancora maggiori dell’ Iraq e dell’ Iran (si tratta con molta probabilità dei più grandi del mondo, maggiori perfino di quelli arabi) ed ora è guidato da un uomo molto coraggioso che non intende sottomettere il suo paese (e le sue risorse) al suo vicino imperiale del nord che continua a richiederle.
E ora il divino virus del desiderio di essere indipendenti si diffonderà in Bolivia, in Perù, se Hamala vincesse il ballottaggio, con molta probabilità in Equador e forse nei grandi gruppi di opposizione fuori dai governi di altri Paesi come la Nigeria e il Nepal.
Queste nazioni, o meglio, i loro gruppi di opposizione, chiedono giustizia ed equità per il loro popolo, stanno iniziando ad alzare la testa per avere i diritti che gli spettano.
E se li ottengono, è un “male” per gli Stati Uniti e per gli interessi delle grandi compagnie che si arricchiscono a dismisura sfruttando le risorse dei paesi meno sviluppati e la loro forza lavoro meno cara.
Hugo Chavez ed Evo Morales lo sanno, lo hanno denunciato e hanno agito coraggiosamente contro questi abusi prolungati in difesa del loro popolo. Ma ciò è intollerabile per gli Stati Uniti che faranno tutto in loro potere per evitare la perdita dei loro privilegi.
Quindi, cosa dobbiamo aspettarci in futuro? Io non ho dubbi a proposito, e l’ho scritto diverse volte. Quando un Paese va contro gli interessi degli Stati Uniti, non dormirà sonni tranquilli.
Ci sono ora buone prospettive che il quarto tentativo di fermare Hugo Chavez possa comprendere anche uccisioni e addirittura assalti armati da parte degli Stati Uniti stessi.
La scorsa domenica ho pubblicato un commento/recensione sul nuovo libro di Noam Chomsky “Failed States” . In una sua e-mail del 29 Aprile scorso lo stesso Chomsky ha aggiornato le sue opinioni, già espressa nel libro, ed ha fornito una valutazione molto schietta di quello che potrà essere in prospettiva, sostiene infatti che lui stesso “non sarebbe affatto sorpreso di vedere i movimenti secessionisti (ispirati dagli Stati Uniti) nelle aree petrolifere in Iran, Bolivia, Venezuela, tutti nelle zone accessibili alle forze militari americane e così lontane dai loro governi da permettere agli Stati Uniti di “difenderle” e bombardare il resto del paese se necessario”.
Io condivido questa opinione anche se non sono al corrente di quali piani terribili abbia in mente il governo americano.
Cercherò solo di far intendere a tutti la mia convinzione che per fermare il Presidente Chavez ( e ora forse anche Morales) è stato architettato qualcosa di molto grosso che verrà poi celato una volta che la scintilla scoppierà.
E l’articolo di oggi del Wall Street Journal non fa altro che rafforzare la mia convinzione.



Note: Stephen Lendman vive a Chicago e può essere contattato al sito: lendmanstephen@sbcglobal.net .
E’ possibile visitare anche il suo blog all’indirizzo:
sjlendman.blogspot.com.

Tradotto da Ilaria Galli per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte, l’autore ed il traduttore.

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