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Tempi nuovi per l’America Latina

Intervista a Noam Chomsky realizzata da Bruno Simone per conto del settimanale Brasil de Fato
Fonte: Lavori in corso - Numero 27 aprile 2006 - Periodico in rete a cura della Associazione Culturale Punto Rosso - Idee e contributi per l’ALTERNATIVA

D. Con le elezioni di Evo Morales in Bolivia, la regione sembra veramente fuori controllo dal punto di vista americano.
R. Non c’è dubbio che Washington sia molto disturbata dalla situazione. Ormai da qualche tempo la regione ha cominciato ad andare fuori controllo. Questa è una regione che è stata sempre sotto la dominazione statunitense, almeno dalla fine della Seconda guerra mondiale. Il Venezuela è stato essenzialmente conquistato dagli Stati Uniti verso il 1920, ossia all’inizio dell’età del petrolio, quando si scoprirono le enormi risorse di questo paese. Gli Stati Uniti cacciarono gli Inglesi e da quel momento hanno avuto il controllo sul paese. A parte il Venezuela e il Canale di Panama, il controllo degli Stati Uniti non si è mai esteso in Sud America, almeno fino alla fine della seconda guerra mondiale. Con la fine della guerra l’Europa è stata espulsa dalla regione e il continente è caduto sotto la dominazione di Washington che in qualche modo ne ha sempre avuto da allora il controllo, appoggiando anche colpi di stato militari.
Negli ultimi dieci anni, il sistema di dominazione ha cominciato a incrinarsi, e il continente ha cominciato a muoversi con una certa indipendenza. Washington certamente non intende tollerare questa situazione, ma non può realmente fare molto a riguardo.
Le elezioni brasiliane sono state motivo di forte preoccupazione, alleviata poi in qualche modo dal fatto che Lula non ha seguito politiche realmente di sinistra, anzi ha seguito politiche non molto differenti da quelle dei suoi predecessori. Ma Lula rappresenta comunque un elemento di indipendenza che non piace agli Stati Uniti.
In Argentina, Kirchner ha essenzialmente detto al FMI di levarsi dai piedi e Washington non ha potuto fare nulla a riguardo. Questo è stato un duro colpo per la Casa Bianca, dato che il FMI è quasi un'estensione del suo ministero del tesoro e dato il FMI è fondamentalmente il guardaspalle della comunità dei creditori, come nei vecchi film di gangster. Questo è fondamentalmente il ruolo del FMI ed è esattamente così è stato chiamato dal suo direttore esecutivo: guardaspalle della comunità dei creditori. Ma Kirchner non è stato al gioco e il FMI non ha potuto fare molto al riguardo. L’Argentina, così come il Brasile, potrebbero liberarsi dal controllo del FMI.
In ogni modo l’unico reale colpo alla dominazione statunitense è stato Chavez. L’America latina per la prima volta nella sua storia sta cominciando a integrarsi. I modelli coloniali degli Spagnoli prima e poi successivamente degli Inglesi, Francesi e così via hanno creato un sistema dove i paesi latino americani erano orientati verso le potenze occidentali che li controllavano e non gli uni verso gli altri. Ora sta iniziando l’integrazione. L’America latina ha risorse davvero enormi insieme ad una situazione di oppressione, violenza e grandissime diseguaglianze, ma questo sistema comincia ad essere rovesciato.
E’ una situazione difficile. Una unione delle nazioni è nata, ma per il momento è ancora sulla carta, anche se comincia ad avere una forma ed è assistita da altre forze esterne, in particolare dalla Cina. La Cina è particolarmente affamata di risorse e non è come l’Europa. Quest’ultima può essere intimidita dagli USA. Gli USA dicono cosa fare e l’Europa sostanzialmente obbedisce, a volte con esempi estremi come quelli adottati dal governo Berlusconi. Anche il più indipendente dei paesi europei teme sempre di offendere “the master”, ma la Cina non può essere intimidita. Questa è una delle ragioni per le quali gli USA sono tanto ossessionati dalla Cina, che non costituisce una minaccia militare, che ma semplicemente rifiuta di farsi intimidire. Ad esempio, quando gli USA cercano di isolare l’Iran, le multinazionali europee cominciano a ritirarsi e a ritirare gli investimenti, come ad esempio la British Petroleum. La Cina invece rimane e investe. Questa stessa cosa sta accadendo in America Latina. Il commercio tra Cina e America Latina sta crescendo.

D. Soprattutto con il Venezuela.
R. Il Venezuela sta inviando petrolio e la Cina sta cominciando ad investire in Venezuela. Il Venezuela è sempre stata una delle fonti maggiori di energia USA fin dal 1970. Da allora le cose sono cambiate, ma comunque il Venezuela è sempre stato il principale fornitore e ha le risorse più grandi nella regione. La Bolivia ha enormi risorse di gas naturale che fino ad ora non sono state sfruttate dagli USA, che comunque contano di farlo al più presto, e negli altri paesi ci sono anche tantissime altre risorse. Gli accordi con la Cina stanno lentamente decollando, così come le relazioni commerciali con l’Europa e stanno nascendo anche relazioni Sud-Sud.

D. E questo è un fatto piuttosto nuovo
R. Certamente. Brasile, Sud Africa e India, tra gli altri, stanno formando un’alleanza indipendente del Sud. E tutto questo sta sfuggendo al controllo di Washington.
Gli USA hanno dato per scontato, sin dalla fine della seconda guerra mondiale, un controllo quasi totale sul pianeta, fatta eccezione per alcuni settori dell’Europa dell’Est. Ma la minaccia del Venezuela per gli Stati uniti è ancora più grande e riguarda anche le relazioni tra Cuba e Venezuela. Gli Stati uniti da decadi cercano di distruggere Cuba. Fino dal 1820 gli Usa hanno considerato Cuba come un’area da conquistare. Non furono in grado di farlo perché al tempo gli Inglesi erano troppo forti e la loro flotta era un deterrente, ma la posizione dei padri fondatori, come John Quincy Adams, era che Cuba sarebbe caduta nelle loro mani come un frutto maturo per effetto della legge della gravità politica, che significa che appena fossimo stati più forti degli Inglesi saremmo stati in grado di metterli da parte e prenderci Cuba. E questo infatti accadde nel 1898.
I Cubani stavano per liberarsi dalla Spagna quando gli USA invasero l’isola e ne impedirono la liberazione. Quella che l’occidente chiama la liberazione di Cuba fu in realtà l’impedimento alla sua liberazione. Gli USA ne presero il controllo trasformandola di fatto in una colonia e vi rimasero fino al 1959 quando comparve Castro. Tutto ciò scatenò una reazione violentissima da parte di Washington. Abbiamo ormai un’ampia documentazione e sappiamo bene cosa è accaduto. Gli USA durante la presidenza Kennedy lanciarono una grande operazione terroristica e imposero uno strettissimo embargo. Tutto ciò prosegue ancora oggi e ne conosciamo le ragioni, perché è stato possibile leggere i documenti interni desecretati del periodo Kennedy-Johnson.
Il problema con Castro era la sua sfida vittoriosa ai danni degli USA e una sfida vittoriosa non può essere tollerata, come qualunque mafia ci insegna. Se qualche negoziante non paga i soldi del pizzo deve essere punito. Non tanto per i soldi, ma perché non si può permettere una sfida vittoriosa. Questo è il motivo della guerra terroristica contro Cuba, dell’embargo e di tutto il resto. L’amministrazione Kennedy era anche abbastanza preoccupata dal fatto che il modello cubano potesse avere successo e che altri stati nella regione potessero avere voglia di seguirlo. Il “virus” avrebbe potuto “infettare” altri paesi.
Ma torniamo a noi. Ora Cuba e il Venezuela stanno stipulando solidi accordi, cosa che scandalizza Washington e la stampa. Se analizziamo questi accordi ci accorgiamo che sono molto ben studiate. Entrambi i paesi usano i rispettivi punti forti: il Venezuela manda petrolio e Cuba invia personale altamente qualificato, alta tecnologia medica, professori, dottori, ecc. E’ un esempio che si sta dif-fondendo in tutta la regione. Il Venezuela sta varando ora alcuni programmi sotto il nome di “operazione miracolo”: medici cubani con finanziamento venezuelano stanno andando in posti come la Giamaica, dove ci sono persone che possono essere curate come ad esempio persone affette da tipi di cecità curabili chirurgicamente, portano queste persone a Cuba, le curano e le rimandano in Giamaica. Tutto questo terrorizza gli Usa.

D. Sembra la prima volta che qualcuno utilizza il petrolio come un mezzo di integrazione, invece che come un qualche cosa che crea conflitti e guerre.
R. Il petrolio è stato generalmente usato per solo due ragioni: per legarsi all’Occidente, ai paesi ricchi, e per arricchire i gruppi di potere locali. Questo è il modello nel Medio oriente e del Venezuela. Ecco perché il Venezuela, che è potenzialmente un paese molto ricco, ha sempre avuto un settore di ricchi sempre molto piccolo e di origini occidentali, che vivono molto bene, e una enorme massa di persone molto povere. A Caracas il centro sembra molto bello, come anche a Bogotà, ma se esci e ti avvicini alle colline trovi una miseria incredibile.
Questo è il modello del petrolio: arricchisce le elite locali e fluisce attraverso le multinazionali verso l’Occidente, dove contribuisce allo sviluppo industriale. Nel passato ci sono stati tentativi di cambiamento. Ad esempio, Nasser in Egitto fu paragonato a un nuovo Hitler, principalmente perché il suo nazionalismo era orientato a usare le risorse della regione nella regione stessa, non per arricchire l’occidente e le piccole elite locali. Questa è la ragione per cui fu eliminato. Fu questo fra l’altro che segnò la nascita dell’alleanza tra Usa e Israele.

D. E’ questo che sta ora accadendo in Venezuela?
R. Per la prima volta nella storia il paese usa le sue risorse energetiche per lo sviluppo. Possiamo discutere se avrà successo o meno, ma le risorse vengono utilizzate in ricostruzione, salute, ecc. Esiste anche un qualche livello di partecipazione nel controllo dell’industria petrolifera da parte dei lavoratori. Ancora una volta si può discutere sul successo o meno di queste politiche, ma il fine del programma è piuttosto chiaro e questo sconvolge Washington: l’idea che le risorse di un paese debbano essere usate per la gente di quel paese fa davvero paura.
Questo vale per tutte le forze politiche da sempre, anche per coloro che sono considerati liberali o “umanisti”. Ad esempio, prendiamo Gorge Cannon, considerato un eroe liberale. Era uno dei principali politici alla fine degli anni ’40, e la sua posizione sull’America latina era: dobbiamo appoggiare “governi militari” perché dobbiamo proteggere le nostre risorse e se per farlo c’è bisogno di ricorrere a misure militari e fortemente repressive, allora ben vengano. Durante la guerra fredda do-vevamo proteggerle dai comunisti, dove per comunisti si intendeva chiunque si metteva sulla nostra strada.

D. E’ possibile che la popolarità Chavez in America latina e le sue politiche di integrazione attraverso accordi petroliferi possano in qualche modo aiutare gli altri presidenti di centro-sinistra della regione a mantenere una politica più di sinistra e più popolare?
R. E’ difficile fare previsioni, ma certamente Chavez sta esercitando una pressione in questa direzione. Possiamo essere sicuri che gli Usa cercheranno di fermarlo in ogni modo.
Se diamo uno sguardo alle spese nord americane in America latina ci accorgiamo che siamo di fronte a un cambiamento. Al culmine della guerra fredda, l’aiuto economico era notevolmente superiore a quello militare. Ora l’aiuto militare ha avuto una forte crescita e finisce principalmente in Colombia e nei paesi che ne sostengono gli sforzi. Dunque gli aiuti militari sono cresciuti molto, così come anche la presenza dei militari americani.
Anche l’addestramento dei militari latinoamericani è cambiato. L’addestramento veniva effettuato dal Dipartimento di Stato e teoricamente c’era una supervisione del Congresso che imponeva condizioni basate sui diritti umani. Queste misure non erano applicate in maniera perfetta, anzi piuttosto sommariamente, ma sortivano comunque qualche effetto. Dopo c’è stato un cambiamento: la preparazione dei militari latinoamericani è ora sotto la responsabilità del Pentagono, e non esistono restrizioni o supervisioni. Se si vogliono insegnare metodi di tortura non ci sono problemi, nessuno lo saprà mai. Il passaggio della responsabilità al Pentagono significa che la clausola sui diritti umani scompare e si è liberi di fare ciò che si vuole.

D. E’ così che gli Stati Uniti vogliono fare la guerra contro il “terrore”?
R. Tempo fa si parlava di difesa emisferica, poi Kennedy cambiò le finalità: dalla difesa emisferica alla sicurezza interna. Questo significava praticamente combattere contro le stesse popolazioni, terrorismo di stato e via dicendo. Ora le finalità sono di nuovo cambiate. Si parla di guerra alla droga, ma in realtà ci si concentra sui gruppi radicali, le formazioni sociali, gli attivisti, i sindacalisti. Questi sono i bersagli. E’ tutto molto esplicito e sotto il controllo del Pentagono, non supervisionato da nessun’altra istituzione. Questi sono cambiamenti reali e sono correlati alla grande e crescente preoccupazione Usa per i movimenti indipendentisti e integrazionisti della regione, dove la Colombia gioca un ruolo fondamentale.

D. Possiamo dire che la Colombia, come Israele, può essere un fattore di instabilità regionale, che ha l’obiettivo di mantenere sotto pressione l’area e i paesi confinanti?
R. Credo che agli Stati uniti piacerebbe fare qualcosa del genere, ma semplicemente non possono. Il solo controllo della Colombia è già un problema abbastanza grande. Gli Stati uniti ancora non sono riusciti a prendere il controllo della Colombia. La guerra alla droga è solo una blanda copertura della lotta contro la guerriglia. Quello che si chiama training anti-narcotico è fondamentalmente un training anti-guerriglia. Il Piano-Colombia è sempre stato un programma anti-guerriglia.
Grandi parti del territorio colombiano sono fuori dal controllo dello stato e nelle mani di guerriglie contadine. Per capire quanto poco questi interventi nord americani abbiano a che vedere con la lotta alla droga basta vedere come gran parte della produzione di droga avvenga in aree sotto il controllo paramilitare. Le operazioni del “Piano Colombia” avvengono invece contro poveri contadini nel sud del paese, nelle regioni del Putumaio e del Cauca tra le altre. Viene chiamata fumigazione, ma è fondamentalmente una guerra chimica. Io l’ho vista. Agenti chimici spruzzati da mercenari nordamericani di multinazionali come il dyncorp distruggono coltivazioni di ogni tipo su grandi aree, distruggendo la biodiversità. La Colombia è uno dei posti con maggior biodiversità al mondo a livello di vita animale e vegetale. Tutto questo viene completamente spazzato via. I contadini hanno seri problemi di salute, i bambini muoiono, gli adulti hanno profonde cicatrici sulle braccia.
Questa popolazione rurale è costretta a fuggire e ingrandisce la già enorme popolazione di “desplazados”. La Colombia è uno dei paesi al mondo con il maggior numero di “desplazados”, seconda solo ad Afghanistan e Sudan. Un paio di milioni di persone sono costrette a vivere nei sobborghi urbani più degradati. Una volta allontanata la popolazione, arrivano le compagnie petrolifere e minerarie che cominciano a sfruttare le montagne e il sottosuolo, oppure arrivano la Monsanto e altre compagnie dell’agrobusiness che avviano coltivazioni intensive per l’esportazione, molte volte modificate geneticamente. Un tipico modello coloniale, dove i ricchi locali diventano più ricchi e le compagnie straniere accumulano enormi capitali. I contadini, se sopravvivono, devono andarsene.

D. Spesso Lei ha affermato che la regione Andina sarebbe stata il prossimo obiettivo dell’amministrazione Bush, una volta fuori dall’Iraq. Pensa ancora così?
R. Prima dell’invasione dell’Iraq credevo che questa sarebbe durata non più di tre giorni. Una delle ragioni dell’invasione è stata che il paese era completamente senza difese, dopo i pesanti bombardamenti e un fortissimo embargo: un paese che “stava insieme con lo scotch”.
Ma in qualche modo l’invasione si è trasformata in un’incredibile catastrofe, una delle peggiori catastrofi militari della storia. E’ incredibile, sono immobilizzati, non se ne possono andare senza instaurare uno stato satellite sul modello centro americano o dei satelliti est-europei, con una democrazia formale che faccia sì che le cose vadano nel modo giusto. Non possono andarsene e lasciare il petrolio del Medio oriente nelle mani di una serie di governi sciiti che controllano Iran, Iraq e Arabia saudita. Sono in grandi difficoltà. Sì, ho pensato che il prossimo passo fosse la regione Andina, ma al momento questo è impossibile, sono immobilizzati. Per questo penso che ci sia un’opportunità di crescita per l’integrazione della regione.

Note: - (da “Brasil de Fato” online, n. 159 del 16 - 22 di marzo - www.brasildefato.com.br - traduzione di Antonio Lupo)
- www.puntorosso.it

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