Latina

Messico: intervista al Subcomandante Marcos sulla politica di intervento zapatista in America Latina

Costruire un ponte di lotta attraverso i confini
17 marzo 2006
Aura Bogado ( giornalista di Free Speech Radio.)
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: Un’esclusiva CounterPunch

Ho condotto questa intervista con il Subcomandante Marcos al Centro per la Documentazione di Son Jarocho a Veracruz. Abbiamo parlato dell’Altra Campagna zapatista, dei cambiamenti in America Latina, della lotta delle donne zapatiste e dei Latino Americani negli Stati Uniti. Attualmente Marcos è impegnato in un tour di sei mesi attraverso il Messico per organizzare e promuovere l’Altra Campagna zapatista. Questa intervista è un estratto dal libro della Open Media di prossima uscita, L’Altra Campagna, del Subcomandante Marcos con un’introduzione dell’intellettuale ufficiale messicano Luis Hernández Navarro che sarà pubblicato dalla City Lights Books nell’aprile del 2006. Tutte le percentuali sui diritti d’autore del libro sosterranno il progetto indigeno dei mezzi di comunicazione in Chiapas, Messico.

Perché l’Altra Campagna adesso. per il 2005-2006?

Marcos: Mah, perché noi zapatisti oltre a far trascorrere un processo di preparazione – come per la scalata nel 1994, a cui ci preparammo per 10 anni per realizzarla –dovevamo essere convolti in un processo di preparazine per l’Altra Campagna.L’Altra Campagna veramente nacque nel 2001, quando i tre partiti politici messicani, il PRI, il PAN E il PRD – bocciarono l’iniziativa del COCOPA per i diritti culturali degli Indigeni. A quel punto capimmo che le risorse della politica tradizionale erano esaurite – dovevamo trovare un’altra strada. Le opzioni erano: la guerra, ritornare a combattere; oppure stare calmi, aspettare e vedere cosa sarebbe successo; oppure fare quello che stiamo facendo adesso.Quando decidemmo che dovevamo preparaci a questa possibilità, prevedemmo che sarebbe stato molto probabile che le persone che ci avevano sostenuto fino a quel momento per i diritti culturali degli Indigeni ci avrebbero sostenuti anche nel momento in cui ci saremmo distanziati dai partiti politici, specialmente dalla cosiddetta “sinistra costituzionale”: il PRD. Ma allo stesso tempo dovevamo prepararci contro l’attacco di un preciso obiettivo, l’attacco da parte dei militari o della polizia – che con ogni pretesto avrebbe tentato di decapitare l’EZLN per lasciarlo senza nessuna guida.
Per noi l’iniziativa della Sesta Dichiarazione è della stessa ampiezza, se non maggiore, della nostra Dichiarazione di Guerra del 1994. Dovevamo essere preparati a perdere tutta la nostra leadership. Poiché, secondo il nostro metodo, nello stesso tempo in cui organizziamo qualcosa dobbiamo mettere i nostri dirigenti di fronte all’esempio pratico. Dobbiamo essere pronti a perdere non solo Marcos ma l’intera cerchia dirigenziale accreditata, quelli che usciranno allo scoperto per fare il lavoro politico: i Comandanti, come la Comandante Esther, il Comandante Tacho, il Comandante David, il Comandante Zebedeo, la Comandante Susana ...l’aiuto Comandante Ramona stava anche lei per esporsi ma sfortunatamente… (morì)…Per quelli di noi che sono pubblicamente conosciuti era stato pianificato che venissero allo scoperto, quindi dovevamo prepararci per questo, e dovevamo pianificare il primo tour esplicativo, che è toccato a me e che stiamo facendo adesso.
Proprio adesso siamo a Veracruz ,nel sud, e nell’eventualità che accada qualcosa la catena del comando è stata chiara; niente di quello che abbiamo ottenuto fin qui sarà perso, o al limite saremo in grado di difenderlo per quanto possibile. Non poteva succedere prima né dopo, poiché se ci fossimo preparati non c’era necessità di aspettare più a lungo per farlo.
Abbiamo scelto nello specifico il periodo elettorale, in modo che sarebbe stato chiaro che volevamo fare qualcos’altro cosicché la gente poteva realmente vedere, paragonare e contrapporre la nostra proposta politica che molti avevano già abbracciato tramite altre organizzazioni e gruppi, con la politica al vertice. Sempre, sin dalla nostra nascita, abbiamo insistito su un diverso modo di fare politica.
Adesso abbiamo l’opportunità di farlo senza armi ma senza smettere di essere Zapatisti, ed è questo il motivo per cui continuiamo ad indossare le maschere.

Per le persone in America Latina c’è speranza nei politici, come per Lula in Brasile, Kirchner in Argentina, o Chavez in Venezuela? Come vede questo cambiamento nella cosiddetta sinistra nell’America Latina?

Marcos: Dobbiamo sempre guardare verso il fondo e non solo nel nostro Paese ma in America Latina particolarmente. Quando Evo Morales presentò questo invito in occasione del suo insediamento come presidente, dicemmo che non dovevamo voltare il nostro sguardo verso l’alto, né in Bolivia né in America Latina, e in questo senso non giudichiamo il governo, il cui giudizio spetta alla gente del posto. Guardiamo con interesse alla mobilitazione indigena boliviana e a quella ecuadoriana. Infatti sono menzionate nella Sesta Dichiarazione.
La lotta dei giovani argentini, fondamentalmente, di questo intero movimento di picchettaggio, e della gioventù argentina in generale con cui fortemente ci identifichiamo. Anche con il movimento per recuperare il ricordo del dolore da cui scaturì la lunga notte di terrore in Argentina, in Uruguay e in Cile. E in questo senso noi preferiamo guardare al fondo, scambiare esperienze e comprendere la loro stessa valutazione di ciò che è accaduto.
Noi pensiamo fondamentalmente che la futura storia dell’America Latina, non solo del Messico ma di tutta L’America Latina, sarà costruita dalla base , e il resto di ciò che sta avvenendo, in ogni caso, sono passi. Forse passi falsi, forse passi fermi, questo si vedrà. Ma fondamentalmente saranno le persone dal fondo che avranno la responsabilità di esso, organizzandosi in un altro modo. Le vecchie chiavi o i vecchi parametri dovrebbero servire da riferimenti, certamente, di ciò che è stato fatto, ma non come qualcosa che dovrebbe essere riciclata per qualcosa di nuovo.

Cosa possono fare gli uomini, per es., per incrementare la rappresentazione delle donne in tutto il mondo, dalle famiglie ai centri culturali e oltre?

Marcos: Da questo punto di vista, per noi e per tutte le organizzazioni del movimento, c’è ancora molto da fare, poiché c’è ancora una reale, grande distanza tra l’intenzione di essere veramente migliori e rispettare veramente gli Altri --- in questo caso le donne --- e ciò che è la nostra pratica applicata.
E non mi riferisco solo alla scusa del “ è così che sono stato educato e non posso farci nulla…” che è la solita scusa degli uomini e anche delle donne che obbediscono a questo tipo di mentalità e la sostengono, in un modo o nell’altro, con altre donne.

Qualcos’altro che abbiamo visto in questo processo riguarda il momento in cui noi (insorti) siamo arrivati nelle comunità e loro ci hanno integrato come loro membri, abbiamo visto cambiamenti significativi e non pianificati. Il primo cambiamento è avvenuto internamente alla relazione tra le donne. Il fatto che un gruppo di donne indigene, la cui prospettiva fondamentale era la casa, sposarsi abbastanza presto, avere molti figli e dedicarsi alla casa --- potesse adesso andare sulle montagne e imparare ad usare le armi, assumere il comando di truppe militari, significò per le comunità e per le donne indigene delle comunità, una fortissima rivoluzione. Fu allora che cominciarono a proporre che loro dovevano partecipare alle assemblee, alle decisioni organizzative, e a proporre che sarebbe stato giusto che ricoprissero posti di responsabilità. Non doveva essere come prima.
Ma in realtà, le pioniere di questa trasformazione della donna indigena zapatista, è delle donne insorte. Diventare un guerrigliero sulle montagne è già difficile per un uomo, e per le donne lo è il doppio se non il triplo e non sto dicendo che loro sono più fragili o cose simili: è che in aggiunta alle avverse condizioni della montagna, loro dovevano esser capaci di tollerare le ostilità del sistema patriarcale del nostro stesso machismo, delle nostre reciproche relazioni.

Un’altra difficoltà che le donne affrontarono, fu il ripudio da parte delle loro comunità, che vedeva come poco dignitoso che la donna andasse via e si occupasse di altro. Dopo aver concluso il loro addestramento, un gruppo di donne insorte sono le uniche superiori e quando fanno ritorno giù alle comunità, sono le uniche a mostrare il modo, a condurre e spiegare la lotta. All’inizio ciò determinò una rivolta, una ribellione tra le donne cominciano a prendersi i propri spazi. Tra le prime battaglie una proibisce la vendita della donne all’interno del matrimonio, una usanza indigena, e dà, di fatto ( anche se non ancora sulla carta) alle donne il diritto di scegliere il partner.

Inoltre pensiamo che fin quando c’è una dipendenza economica delle donne dagli uomini sarà molto difficile che qualcosa si sviluppi. Perché alla fine le donne posso ribellarsi, capaci e tutto quanto ma se dipendono economicamente dagli uomini hanno poche possibilità. Così in questo senso, nelle Comunità Autonome Ribelli, nei Consigli del Buon Governo le stesse donne che sono già autorità con responsabilità a livello municipale o del Consiglio del Buon Governo, esistono spazi aperti, progetti e un’organizzazione economica per le donne in modo tale che possano costruire la loro indipendenza economica e ciò dà sostanza all’indipendenza di altre donne.

Ciò nonostante abbiamo ancora lacune nell’ambito della violenza domestica degli uomini sulle donne. Abbiamo guadagnato in alcuni settori, come per es., l’evasione scolastica delle ragazze che adesso frequentano la scuola. Queste ragazze non frequentavano perché erano ragazze e perché non c’erano scuole; adesso le scuole ci sono e loro le frequentano, indifferentemente se sono uomini o donne. E le donne hanno già i più alti ruoli nelle autorità civili--- poiché all’interno dell’autorità militare e nell’organizzazione politica devono ancora essere incluse --- ma in materia di società civile noi insorti non esercitiamo autorità, noi solo consigliamo. Così in realtà le donne nelle comunità adesso ricoprono ruoli nelle autorità civili e nei settori dell’autonomia municipale, cosa impensabile per una donna fare prima. (Hanno raggiunto queste posizioni) attraverso la loro stessa lotta non attraverso l’autorità dell’EZLN.

Ha dei messaggi per le persone negli Stati Uniti in particolare per gli originari latino americani e originari messicani?

Marcos: Ciò che abbiamo visto mentre proseguiamo il tour e facciamo i nostri discorsi- abbiamo attraversato il Chiapas, Quintana Roo, Yucatan, Campeche, Tabasco, e stiamo iniziando a Veracruz -in ogni posto abbiamo notato questo dolore nella povera gente e che è parte di essi stessi. Sanno che non è un prodotto del destino o di un rovescio di fortuna, né dell’interesse turistico come predica il governo messicano. Invece, è parte di questo processo di sofferenza che ci è stato imposto. Loro sentono, e noi con loro, che è parte di coloro che sono lontani e fuori, è parte di quegli uomini e quelle donne di origine latino americana o messicana o di quei messicani espatriati- che sono ancora lì.

Questo è il motivo per cui, fin dall’inizio, quando fu proposta la Sesta Dichiarazione, fu detto che i messicani che si trovano dall’altra parte non devono essere considerati internazionali o intercontinentali; invece sono parte integrante dell’Altra Campagna. Vogliamo dire: adesso che stiamo per arrivare prima a Ciudad Juarez e poi a Tijuana, raggiungeteci al confine, e riunitevi: è programmata una riunione esclusivamente per gli espatriati, una a Juarez, l’altra a Tijuana, per sentire le vostre lotte.

Come dire, l’approccio della Sesta è chiedere: chi siete? Chi siamo? Cosa volete fare? Sappiamo che ci sono molti simpatizzanti della Sesta Dichiarazione e dell’Altra Campagna e vogliamo far leva su loro, adesso attraverso il nostro canale di comunicazione, che c’è nel loro posto, proprio accanto a quelli fra noi che sono fuori.

Ciò che ha provocato dolore fuori dai confini, il che significa morte, marginalizzazione, segregazione razziale di un tipo o un altro --- dobbiamo costruire e rompere quel confine attraverso un ponte di lotta, di dignità. L’Altra Campagna può costituire questo spazio. Nessuno parlerà per loro, nessuno parlerà per i messicani o i chicani che si trovano di là; invece, essi costruiranno il loro proprio spazio, lo difenderanno, parleranno per loro stessi, spiegheranno il motivo per cui si trovano di là, le difficoltà che affrontano e di ciò che saranno capaci di costruire con la ribellione e la resistenza dall’altra parte --- e lo vedremo a Juarez e Tijuana.

Note: traduzione di Oriana Cassaro per www.peacelink.it

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