Latina

Brasile: per Betto Lula è insostituibile

L`ex consigliere difende il presidente e spiega che, nonostante gli errori commessi, a lui non c`è alternativa
19 settembre 2005
Silvia Zingaropoli
Fonte: Musibrasil
http://musibrasil.net

Intervenuto il 29 agosto a `Carovane`, incontro annuale con la cultura dei paesi del sud del mondo che si svolge a Piacenza, Frei Betto spiega a `Musibrasil` i motivi della sua uscita di scena, smentendo le affermazioni pubblicate dal quotidiano `Repubblica` che lo ha definito in fase di rottura con l’esecutivo. Con grande lucidità e franchezza il filosofo e scrittore effettua un’accurata analisi dei traguardi raggiunti e degli errori commessi dal governo Lula che, a suo dire, continua ad essere l’unica speranza di redenzione per il popolo brasiliano. E parla anche degli attuali difficili rapporti con i vertici ecclesiastici in seguito alle sue dichiarazioni al vetriolo rilasciate all’indomani dell’elezione di papa Ratzinger.
da sinistra: Frei Betto, Inácio Lula,l'arcivescovo di San Paolo Claudio Hummes


Cosa pensa dello scandalo che ha investito negli ultimi mesi il governo Lula?

«In Brasile stiamo vivendo un momento molto difficile.
E questo per colpa di alcuni esponenti del Partido dos trabalhadores che hanno pensato bene di corrompere dei parlamentari dell’opposizione. Il presidente Lula ha preso le distanze da questa storia, dichiarando di essere stato tradito dai suoi stessi uomini. Ha quindi rimosso tre importanti ministri e cambiato la direzione del partito per assumerne il pieno controllo. La destra, in vista delle elezioni presidenziali del prossimo anno, ovviamente approfitta di queste circostanze per ridimensionare il potere del Pt, che rimane comunque il favorito. Ciò che più mi dispiace è che un ristretto gruppo del partito sia riuscito, in soli due anni e mezzo, a demoralizzare la sinistra brasiliana. Cosa che la destra non era riuscita a fare in decenni. Nemmeno sotto la dittatura militare, quando molte persone venivano assassinate, esiliate, altre ancora arrestate e torturate come me. Siamo sempre usciti a testa alta. Mai come questa volta sono riusciti a demoralizzarci».

Qualcuno mormora che sia stato un complotto…

«Un complotto? No assolutamente. È stata semplice corruzione».

Crede che Lula potrà ancora vincere nel 2006?

«Non possiamo averne la certezza. In seguito alla crisi, Lula ha perso dieci punti di popolarità presso l’opinione pubblica: da 42 è sceso a 32 punti, il risultato più basso degli ultimi anni. Comunque sia, nonostante le difficoltà, il presidente può ancora vincere le elezioni: manca un anno e mezzo e molte cose possono accadere. Si può ancora recuperare, soprattutto perché gli altri due candidati sono di destra: uno è il candidato di Cardoso, Josè Serra, e il popolo alle scorse elezioni ha scelto Lula perché non sopportava più Cardoso. L’altro è il candidato del fondamentalismo evangelico, Garotinho di Rio de Janeiro. Credo che Lula possa ancora vincere, ma questa volta non sarà una vittoria facile».

Quindi secondo lei Lula può vincere le elezioni perché non esistono alternative valide…

«Esattamente, non ci sono avversari di peso».

Conferma l’affermazione a lei attribuita secondo cui, nel caso di sconfitta di Lula, si correrebbe il rischio della lotta armata?

«Non ho detto esattamente questo: come dicevamo, in questo momento il Pt è molto demoralizzato. Ma abbiamo il dovere di salvarlo, perché costituisce per i poveri l’unica finestra sulla speranza e sulle proprie aspirazioni all’interno dell’ordine democratico. Se scompare il Pt, come vorrebbe una parte della destra e una parte dell’estrema sinistra, anche le speranze del popolo andrebbero perdute».

Dopo 25 anni di amicizia e collaborazione con il presidente Lula, è cambiato qualcosa nel vostro rapporto?

«Assolutamente no, siamo ancora molto amici, niente è cambiato. Ci siamo incontrati a Parigi nel corso del suo ultimo viaggio in Europa e abbiamo anche cenato insieme. È tutto come prima».

D’accordo, questo da un punto di vista personale. Ma dal punto di vista politico?

«Anche dal punto di vista politico non è cambiato nulla, soprattutto perché tengo a sottolineare che io non sono un militante del suo partito. In realtà non milito per nessun partito: dunque, da amico, ho piena libertà di esprimere ciò che penso. Il quotidiano La Repubblica ha erroneamente affermato che oggi sono “nemico” di Lula, ma non è assolutamente vero. Non sono mai stato contro Lula e appoggio completamente il suo governo: le mie critiche sono rivolte alla politica economica adottata».

Ed è per questo motivo che ha deciso di dimettersi dal progetto Fame Zero?

«In realtà mi sono dimesso per due motivi: sia per la politica economica del Pt, sia perché desideravo riprendere il mio lavoro letterario. Il Progetto procede molto bene e attualmente sta apportando i suoi benefici a 7,3 milioni di famiglie.
da sinistra: Frei Betto, Inácio Lula, Claudio Hummes (arcivescovo di San Paolo)
Per la fine del 2006 si conta di arrivare a coprirne 11,4 milioni. Dunque il cammino di Fame Zero procede per il meglio. Il problema è che, per fare ulteriori passi in avanti, è ormai necessaria la riforma agraria. Purtroppo l’equipe economica del governo non fa molto in questo senso, e ostacola l’attuazione delle politiche sociali».

Quali sono gli effetti economici prodotti da queste circostanze?

«In primo luogo questa situazione produce un’imposta sul reddito eccessivamente alta, che arriva al 19,25 per cento. Inoltre dà luogo a un’eccedenza primaria troppo elevata: il 4,25 del prodotto interno lordo, che in realtà sfiora quota 5. Una grande parte del denaro va ai creditori esteri, a detrimento degli investimenti pubblici e privati interni al Paese».

Quindi smentisce le affermazioni secondo cui lei si sarebbe dimesso non sapendo più come difendere le scelte del governo Lula…

«Non l’ho mai detto, ho lavorato con molto piacere con il governo. Dalla mia esperienza nell’inferno del carcere sono riuscito a trarre una cosa positiva: finché ero rinchiuso lì dentro, paradossalmente ero libero di criticare il potere senza correre il rischio di venire arrestato. Collaborando con il governo invece, non potevo permettermi di dire quello che pensavo. E non perché rischiassi il carcere, ma per etica professionale! (ride)».

Secondo lei Lula ha perso qualcosa dei suoi ideali di origine?

«No, credo che Lula abbia dato vita all’unico governo possibile. Purtroppo per diventare presidente è stato costretto a stringere molte alleanze, secondo me troppe alleanze: il che significa, alcune concessioni. Inizialmente una parte della sinistra brasiliana credeva che il presidente fosse in procinto di fare una rivoluzione. Ma Lula non ha fatto nessuna rivoluzione, ha semplicemente vinto un’elezione. Non è arrivato al potere, è arrivato al governo: ed è per questo che è dovuto scendere a qualche compromesso, rilasciando alcune concessioni al sistema economico e al Fondo monetario internazionale. È facile criticare dall’esterno. In realtà Cardoso aveva lasciato il Paese in una difficilissima situazione economica e bisogna riconoscere che oggi la macroeconomia brasiliana va via via stabilizzandosi grazie all’operato dell’attuale governo. Non c’è inflazione e ogni giorno vengono creati nuovi posti di lavoro: purtroppo sono i tassi d’interesse elevati a frenare gli investimenti interni».

Quali sono stati, secondo lei, i principali errori di Lula nel corso del suo governo?

«Secondo me il principale errore è stato sin dall’inizio quello di non contare sull’appoggio dei movimenti popolari che hanno fatto la storia di Lula, e che lo hanno eletto. Di fatto è stato l’unico presidente ad avere la possibilità di governare su due gambe: quella del parlamento e quella dei movimenti sociali. Ma lui ha preferito, come i suoi predecessori, camminare solamente con la gamba del parlamento: il suo principale errore è stato proprio quello di non aver dato fiducia ai movimenti sociali. Ed il suo governo è rimasto ostaggio del Parlamento».

I movimenti sociali gli volteranno le spalle alle prossime elezioni?

«Il fatto che i movimenti sociali critichino le scelte del governo del Pt non significa che gli volteranno le spalle. Rimane comunque la loro unica speranza. Del resto sanno che il Brasile è meglio con Lula che senza Lula».

Cambiando decisamente argomento: ha avuto risposta da parte dei vertici ecclesiastici in seguito alle sue dure dichiarazioni a proposito dell’elezione di Papa Ratzinger?

«No, nessuna risposta».

Secondo lei ci saranno ripercussioni sulla Teologia della liberazione in seguito a questa elezione?

«Nella prima metà del pontificato di Giovanni Paolo II la Teologia della liberazione è stata repressa perché osava parlare di temi politici ed economici come debito estero, neoliberismo e colonialismo. Nel corso della seconda metà questi temi sono entrati a far parte dei documenti e dei discorsi papali. È per questo che credo che, negli ultimi anni, la Teologia della liberazione sia arrivata anche a Roma: di fatto il papa che sosteneva l’invasione in Iraq nel ’91 con Bush padre è lo stesso che ha condannato l’invasione in Iraq nel 2003 con Bush figlio. Giovanni Paolo II ha mobilitato più di 5mila giovani a Genova contro il G8. La mia impressione è che, mentre in America latina siamo molto vicini a Dio, qui in Italia siete molto vicini al papa... Tutto sommato credo che in questo momento non vi sia nessun segnale di repressione nei confronti della Teologia della liberazione, nonostante le posizioni di papa Ratzinger».

Comunque sia, in questo momento il cammino intrapreso anni fa con il Concilio vaticano II sembra essere fermo…

«Non totalmente: nelle Comunità ecclesiastiche di base si procede sullo stesso cammino. Nel caso del Brasile, si va avanti anche grazie al sostegno di vari vescovi. La Conferenza episcopale brasiliana è molto progressista: non voglio dire che sia totalmente d’accordo con i presupposti della Teologia della liberazione, però non la reprime. Inoltre la Conferenza ha assunto posizioni molto critiche rispetto ai temi sociali, ed è in aperto contrasto con la politica di Bush ed il modello di globalizzazione».

In questo momento com’è la situazione delle Comunità ecclesiastiche di base?

«Si è appena tenuto il decimo incontro nazionale, a cui hanno preso parte più di 3mila persone. Le Cebs sono ancora molto vive continuando a lavorare e lottare: sono importanti scuole di leadership popolare. Un importante punto di riferimento per la fede del popolo. Al tempo della dittatura in Brasile, le Cebs erano quasi tutelate, essendo l’unica forma di organizzazione popolare che poteva mostrarsi alla luce del sole: questo perché erano organizzate dalla Chiesa, ed i militari non potevano reprimerle. Al termine della dittatura, nell’85, il popolo cominciò ad organizzare i sindacati, il Movimento dei sem terra e tutta una serie di organizzazioni popolari. Le Cebs cessarono di essere al centro dell’attenzione, ma non scomparvero: furono i media che passarono ad interessarsi ad altri argomenti. Anche al momento delle varie rivoluzioni in America latina, come nel caso del Nicaragua, la Teologia della Liberazione e le Cebs attirarono l’attenzione su di sé: perché legittimavamo la ribellione, dando molte preoccupazioni alla Casa bianca e alla politica americana. Ora che non sono più un contesto rivoluzionario non costituiscono più motivo di nervosismo per gli Stati uniti. I fattori congiunturali sono cambiati».

La Conferenza episcopale ha rilasciato dichiarazioni a proposito della crisi del governo Lula?

«Sì, ha rilasciato una dichiarazione in cui difende in primo luogo la stabilità democratica del Brasile. In secondo luogo esige la punizione dei responsabili della corruzione. Ed infine esige più coinvolgimento da parte del governo nelle questioni sociali, in particolar modo per quanto riguarda la questione della riforma agraria. È una dichiarazione critica e, allo stesso tempo, favorevole al governo del Pt. Il presidente Lula ha inviato una lettera alla Conferenza affermando la gravità della crisi e riconoscendo gli errori commessi: in pratica ha chiesto scusa per la faccenda della corruzione, così come ha fatto in televisione a nome del governo».

Lei ha affermato di aver lasciato il suo incarico, tra gli altri motivi, per dedicarsi al suo lavoro letterario. Quali sono i suoi progetti letterari?

«Non ne parlo mai per scaramanzia. Altrimenti mi cominciano a chiedere di cosa parla, quando finirà… quello che posso dire è che è appena uscito nelle librerie un libro di racconti che si chiama “Treze contos diabòlicos e um angélico”».

Ha altri progetti che non siano letterari?

«Al momento mi concentro sulla mia attività letteraria. Continuo comunque il mio lavoro al fianco dei movimenti popolari, appoggiandoli e facendo conferenze per il Brasile».

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