Latina

Nicaragua: quale e' il suo futuro immediato?


Travolto negli ultimi mesi da una crisi istituzionale senza precedenti, il Nicaragua sta affrontando come gran parte del mondo una crisi energetica che rende ancor più difficile la sopravvivenza per quelle fasce di popolazione (che si avvicinano drammaticamente al 70%) che sono costrette a vivere con due dollari al giorno o meno.
11 luglio 2005
Giorgio Trucchi


Quando nei giorni scorsi una funzionaria dell'Istituto di Statistica e Censimento ha letto i dati governativi rispetto all'occupazione del paese, anche la giornalista che la stava intervistando ha avuto un attimo di esitazione e di perplessità e la stessa funzionaria, con un sorriso trattenuto, ha subito aggiunto alcune spiegazioni.
Secondo questi dati, in Nicaragua la Popolazione Economicamente Attiva (PEA) occupata sarebbe il 94%, con solo il 6% di disoccupazione.
Di fronte a tale bestialità, la funzionaria ha alla fine aggiunto che si considerava come PEA l'insieme della gente che lavora con un contratto fisso e quella che vive nella sottoccupazione (e cioè l'immensa maggioranza che sbarca il lunario vendendo ai semafori, riciclando nella spazzatura, facendo lavori saltuari, arrangiandosi come può).
I dati reali conosciuti a livello internazionale attribuiscono al Nicaragua la posizione di paese più povero dell'America Latina solo dopo Haiti, con un flusso di importazioni quasi doppio alle esportazioni, una disoccupazione e sottoccupazione che supera il 60% e con un'economia che si sostiene solo grazie agli aiuti internazionali e ai soldi che i nicaraguensi, che sono dovuti emigrare per non morire di fame, mandano alle loro famiglie (tale quantità di valuta straniera è drammaticamente equivalente a quanto lo Stato spende in tutto l'anno con il Bilancio Generale della Repubblica).
Nonostante ciò, il governo continua a dire che quest'anno il Nicaragua ha avuto un aumento della crescita economica del 5%, tra le migliori del Centroamerica.
Crescita per chi? E' sicuramente la domanda che si chiedono i milioni di nicaraguensi che sopportano la fame ogni giorno o che sono costretti a vivere con cento dollari o meno al mese.
Sicuramente per i banchieri, che per anni non hanno mai pagato tasse sui voluminosi guadagni e che hanno ridotto in bancarotta gli sprovveduti che hanno accettato gratuitamente una carta di credito, per poi finire con i debiti fino al collo e che si sono visti pignorare il poco che avevano per poter restituire il credito ricevuto a tassi che in qualsiasi altro paese sarebbero da usura.
Crescita per gli imprenditori legati alle grandi famiglie arricchitesi ulteriormente grazie ai governi che sono passati dal 1990 ad oggi e che hanno potuto approfittare della fitta rete di corruzione che ha saccheggiato le casse statali e che ha concesso ogni tipo di sgravio fiscale e protezione commerciale pur di mantenerseli come alleati.
Crescita anche per i politici, diventati casta autoprotetta con salari che farebbero arrossire anche i propri colleghi europei.
In mezzo a tutta questa drammatica farsa, la gente comune sopravvive a stento e non riesce, tranne alcune eccezioni, a risollevare la testa mentre ogni giorno il contenuto del proprio borsellino riesce sempre meno a sopportare i violenti colpi degli aumenti.

Francisco Lainéz, economista ed ex ministro durante l'epoca della presidenza di Violeta Chamorro e per un periodo durante il governo di Arnoldo Alemàn, ha scritto un articolo su El Nuevo Diario sul futuro immediato per il Nicaragua alla luce della crisi energetica che sta vivendo il mondo intero

"Ascoltavo, domenica scorsa, un'intervista nel canale televisivo CNN ad una persona con lunga esperienza sul tema del petrolio, commentando la domanda del suo interlocutore sul futuro del prezzo del petrolio stesso. Nella sua visione, il prezzo del barile in base alla situazione geopolitica mondiale, raggiungerà nei prossimi due anni i 70 dollari, e 100 dollari durante i prossimi cinque. Lo scorso aprile, economisti del FMI suggerirono che il mondo doveva abituarsi ad una "crisi permanente dell'industria petrolifera". Il Presidente della Banca Centrale Europea qualificava come un rischio "indesiderabile" per lo sviluppo economico mondiale il rialzo nei prezzi del petrolio.
Il suo commento non mi ha sorpreso, dato che le economie europee barcollano.
La disoccupazione nella zona dell'euro si sta avvicinando alle due cifre e l'attività industriale si è arenata. L'altro anello debole dell'economia mondiale, il Giappone, barcolla dalla metà del 2004 e nonostante una leggera ripresa, non ha dato segni chiari di recupero. Gli alti prezzi non hanno aiutato questi giganti.
Gran parte del recente rialzo nei prezzi è avvenuto a conseguenza del rapido aumento nella domanda, specialmente da parte degli Stati Uniti e della Cina che stanno crescendo vigorosamente.
La lotta delle banche centrali contro l'inflazione ha impedito che gli alti prezzi del petrolio si traducessero in una spirale di prezzi e salari.
L'apparente consolidamento della tendenza sostenuta al rialzo dei prezzi del petrolio, ha iniziato ad essere la principale preoccupazione per l'economia mondiale.
Gli alti prezzi esacerbano la vera debolezza dell'economia mondiale e cioè la natura squilibrata dello sviluppo globale.
Dietro alla crescita generale esiste una chiara dicotomia tra economie vigorose (Stati Uniti e Cina) e quelle deboli (Giappone ed Europa continentale).
L'alta disoccupazione ha generato crisi politiche e sociali ed i governi non trovano ancora la via d'uscita.

Nel Terzo Mondo, il rialzo del prezzo del petrolio sta mettendo a nudo la magia della globalizzazione, che in pratica gli ha imposto l'apertura delle proprie porte da pari a pari, la competitività commerciale dipendente ogni giorno di più da alte tecnologie e dalla manodopera a basso costo.
Nella pratica la così detta competitività è una pura farsa. I paesi in via di sviluppo non erano preparati per poter sopportare la concorrenza e non lo saranno nemmeno nei prossimi 100 anni. La competitività non è tema che si risolve con un abracadabra, ma è un processo lungo che implica educazione, molti sforzi e sacrifici.

Il discorso delle "porte aperte" è una fallacia, uno specchietto per le allodole.
Le potenze che stanno sovvenzionando i propri agricoltori hanno chiuso le loro porte ai paesi eminentemente agricoli che vivono dell'agricoltura e alla possibilità di diversificare le proprie scarse economie.
Esistono marcate disuguaglianze tra paesi leader del mondo e i paesi in via di sviluppo.
Nei primi, l'entrata procapite reale e le condizioni di vita rivelano quantità superiori ai 25 mila dollari annuali, contro i 300 o 400 dollari dei secondi.
Le disuguaglianze economiche e sociali tra paesi è tema di interessi e sforzi di ognuno e che non escludono il primo mondo.
In questo momento esiste uno scontro tra il governo francese e quello inglese all'interno dell'Unione Europea per poter ottenere l'assegnazione di maggiori sussidi agli agricoltori francesi all'interno del Bilancio della Unione Europea e gli inglesi si sono opposti con veemenza.
Si è anche vista la discrepanza di interessi nell'invasione all'Iraq e queste sono realtà del mondo. Non bisogna sognare un'uguaglianza tra tutti i paesi del mondo, la disuguaglianza è la cosa più razionale tra le società.
In una certa forma, nel primo mondo domina il pensiero spenceriano, di "sopravvivenza per chi è meglio dotato". Prima di tutto il mio paese, il mio popolo; il problema dei poveri è un problema loro.
La globalizzazione si denuda in una concorrenza del più forte, che viene facilitata da imprevisti come la manipolazione dell'offerta del petrolio, che alla fine finisce in un circolo capitalista che concentra la ricchezza, che schiaffeggia i paesi poveri con lussuose pubblicazioni a circolazione internazionale, poche persone nel mondo continuano ad accumulare annualmente migliaia di milioni di dollari, ed alcune multinazionali sparse per il mondo impongono la loro volontà a governi del terzo mondo.
Lo scenario dell'economia mondiale si suppone che preoccupi molto le economie stagnanti o di povera crescita annuale, economie malaticce che gli alti prezzi del petrolio vengono quasi a dare un colpo di grazia, ostacolando prospettive di cambiamento e miglioramenti nelle condizioni di vita di paesi poveri...

Qual'è stata la visione delle autorità, dei politici e degli impresari nicaraguensi sul momento economico mondiale e sull'incidenza dell'aumento del petrolio nell'arretrata economia del paese?
L'unica cosa che si conosce sono state le notizie giornalistiche e le opinioni di funzionari di bassa categoria che si defilano con una banalità: "avrà un impatto inflazionistico".
In Nicaragua, disgraziatamente, i governi a partire dal 1990 si sono messi in testa di mendicare all'estero e lo stiamo vedendo nelle informazioni e dichiarazioni di tutti i giorni: "non si può fare niente se non vengono dollari da fuori. La dipendenza dell'esterno è il motore dell'attività del paese".
La burocrazia di alto livello sa solo chiedere e chiedere più soldi, per spendere e spendere ogni anno di più. Non riescono a pensare di provare a fare molto con poco, è gente che agisce come se il Nicaragua vivesse nell'abbondanza.
Non esiste nozione di quello che è l'economia di un paese, come funziona nella sua crescita, e se il paese è sottosviluppato, sono ingenti gli sforzi da fare.
Sembra che l'aumento del petrolio lo osserveranno dall'alto, con le braccia incrociate, con un primitivo criterio di "laissez fair", "laissez passer".
Nel paese esiste abbastanza chiasso politico, lasciando che l'economia navighi alla deriva.
In questo momento, per esempio, tutto dipende dalle esigenze del FMI e dei cooperanti stranieri, per non fermare un flusso di dollari già approvato che dipende dal rispetto di mete artificiali della macroeconomia.
FMI e cooperanti sembrano aver ben chiare le proprie esigenze e dopo essere trascorso il primo semestre del 2005, tra un tira e molla e l'altro, mi domando: e i risultati del 2005? Un'incognita.
La cosa più preoccupante sul futuro dell'economia nicaraguense è che non ci si può aspettare nulla dall'attuale governo in ciò che rimane del suo periodo presidenziale.
Se aumenta il prezzo del barile di petrolio...che aumenti; se aumentano le medicine...che aumentino; se aumenta il costo degli alimenti basici come fagioli, mais e riso.... che aumentino; se aumenta il gas per cucinare....che aumenti; se aumentano il cemento e gli altri materiali per la costruzione....che aumentino, evviva......

Chi è preoccupato per le prospettive dell'economia mondiale e le conseguenze che deriveranno per l'economia nicaraguense? Silenzio assoluto.
I candidati alla presidenza del 2006 non hanno detto una sola parola su questa problematica di gran trascendenza, l'unica preoccupazione è vincere le elezioni, e dopo aver vinto continueranno con la stessa storia... che non ci sono soldi, non si può fare niente e si dedicheranno alle cose di facciata.
La gente ignora, se nel remoto caso si riuscisse ad arrivare ad una soluzione politica momentanea, che l'economia e i temi sociali saranno una staccionata quasi insuperabile.
Se per circostanze geopolitiche venisse limitata o sospesa la cooperazione straniera, dalla quale si dipende quasi in un 100 per cento, la grandezza della catastrofe sarebbe inimmaginabile e imprevedibile.
L'eredità dell'attuale governo sarà un paese più impoverito, con molti problemi, una specie di caldaia del diavolo".

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