Latina

Venezuela e Cuba lanciano un'alternativa all'Alca

L'America Latina esige l'emancipazione finanziaria dagli Stati Uniti

In Centroamerica cresce l'opposizione al Cafta
24 giugno 2005
David Lifodi
Fonte: Le Monde Diplomatique: "Linee di frattura in America Latina"
Il Manifesto: "La soluzione del Cafta"

Argentina, Brasile, Uruguay, Venezuela: ruotano intorno a questi governi le speranze del continente latinoamericano per fronteggiare l'offensiva politico-economica americana e delle multinazionali che ogni giorno tentano di annettersi una parte sempre maggiore del continente. Negli ultimi tempi Washington non solo ha dovuto ingoiare il probabile fallimento dell'Alca (già ribattezzata dai sudamericani "Total locura capitalista"), ma anche la nascita di un'alternativa all'area di libero scambio dell'America Latina, denominata Alba (Alternativa Bolivariana per le Americhe), lanciata recentemente da Chavez con lo scopo iniziale di approfondire la collaborazione economica tra Caracas e L'Avana. Inoltre in Centroamerica crescono le contestazioni verso il Cafta (Central American Free Trade Agreement), una nuova area di libero scambio che gli Stati Uniti vorrebbero creare e che danneggerebbe profondamente la già debole economia di Costarica, Honduras, El Salvador, Guatemala e Nicaragua.
Il successo elettorale di coalizioni di centro sinistra in Argentina, Brasile, Uruguay, Venezuela non solo ha avuto una rilevanza a livello politico, ma è servita soprattutto per rilanciare quella che Il Manifesto ha definito come la "progressiva emancipazione finanziaria dagli Usa", consistente principalmente nel rilancio del Mercosur che solo adesso ha ripreso vigore dopo una fase di stallo.
Cominciata nel 1994 con la firma del Nafta (l'accordo di libero scambio che riunisce Messico, Canada e Stati Uniti), l'offensiva finanziaria americana nei confronti del suo cortile di casa ha dovuto subire numerosi imprevisti: le ultime notizie provenienti dall'America Latina parlano di una campagna di raccolta firme ben avviata in Ecuador e Perù per chiedere ai rispettivi governi di istituire l'obbligo di convocare dei referendum sui trattati di libero scambio, e sempre a Quito il traballante esecutivo Palacio ha dichiarato tramite il suo ministro dell'economia Correa che "i paesi non devono commerciare in condizione di schiavitù". Addirittura l'Ecuador si è spinto fino a prendere le distanze dal Plan Colombia e sembra intenzionato a revocare agli Stati Uniti la concessione della base militare di Manta.
Aldilà delle dichiarazioni provocatorie che la Casa Bianca ha rivolto verso gli stati latinoamericani ("in Bolivia, in Ecuador e in Perù la diffidenza e la mancanza di fiducia nelle istituzioni provocano l'emergere di demagoghi antiamericani, antiglobalizzazione e contrari al libero mercato"), a livello economico attualmente Washington può fare affidamento esclusivamente soltanto sul colombiano Uribe (anche se l'evoluzione del Plan Colombia, il cosiddetto Plan Patriota, non è riuscito piegare né i guerriglieri né i movimenti colombiani) e sul Messico di Fox (il Plan Puebla-Panama continua ad essere di attualità), mentre per Bush non risultano particolarmente affidabili sia il Nicaragua di Bolanos (sull'orlo di una crisi istituzionale) sia il piccolo Honduras dove crescono le mobilitazioni nei confronti del presidente Maduro, intenzionato a ratificare il Cafta facendolo passare come un autentico toccasana per il paese.
L'America Latina reclama la sua indipendenza, adesso bisognerà vedere se i diritti dei popoli riusciranno ad imporsi o se invece prevarrà ancora il fondamentalismo neoliberista.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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