Latina

Cuba: se Fidel caccia i giornalisti in bermuda

24 maggio 2005
Maurizio Matteuzzi
Fonte: Il Manifesto


Vale più la sindrome da assedio o la sindrome da ex? Viene da chiederselo leggendo le cronache di quanto sta accadendo in questi giorni all'Avana e i commenti dei giornali italiani. Cominciamo da quel che sta accadendo a Cuba. La riunione dell'ala più dura dell'opposizione anti-castrista, la reazione del governo cubano, l'espulsione di vari fra parlamentari e giornalisti europei. La riunione, organizzata da 360 gruppi del dissenso e capeggiata da Martha Roque, è stata definita la «più grande» dal 1959. Vi hanno partecipato 200 persone, di cui fra 100 e 120 oppositori sui 500 che gli organizzatori si aspettavano (gli altri, erano o giornalisti «accreditati» o diplomatici o agenti dei servizi cubani). Non molti per 360 gruppi - ogni delegato in rappresentanza di tre gruppi grosso modo -, anche mettendo in conto l'efficienza dei mezzi di dissuasione della polizia. La riunione si è potuta tenere senza incidenti, gli oppositori hanno potuto gridare i loro «Abbasso Fidel» e «Viva Bush»; grazie all'attivissimo «ambasciatore» Usa, James Cason (a proposito: perché anziché castigare gli oppositori e cacciare i giornalisti, Castro non accompagna lui all'aeroporto dichiarandolo persona non grata vista le sue sfacciate interferenze?), hanno potuto ascoltare la viva voce del più grande esportatore di democrazia che diceva che «l'ondata della libertà si sta espandendo per tutta la terra e un giorno non lontano raggiungerà le sponde cubane», che l'America è con voi «a proteggere i dissidenti e a promuovere i diritti umani».

Contrariamente alla stretta repressiva del 2003 - retate e fucilazioni -, questa volta il regime castrista ha lasciato fare. Forse anche perché in realtà è stata una dimostrazione della debolezza e delle divisioni dell'opposizione anziché di forza. Non solo alcuni dei più noti esponenti del dissenso - come Oswaldo Payà ed Elizardo Sanchez, Gutierrez Menoy e le damas de blanco che ne sono l'aspetto più nuovo e interessante - si sono rifiutati di parteciparvi. Ma il premio Sacharov Payà ha parlato di «una farsa e una frode contro l'opposizione», accusando con nome e cognome Martha Roque e Felix Bonne, gli organizzatori, di «essersi coordinati con agenti della sicurezza dello stato» e «appoggiati dai settori duri dell'esilio di Miami» .

Viene da chiedersi perché mai Fidel non ha lasciato che giornalisti e osservatori stranieri, pur se truccati da turisti, andassero a toccare con mano questa realtà, le sue grandezze e le sue miserie, anziché tirarsi addosso inevitabilmente - come è accaduto - gli strali dell'Unione europea e della Spagna di Zapatero, e le litanie sulla democrazia dei giornali.

Qui viene la sindrome da assedio. Un assedio asfissiante che dura da più di 40 anni e che forse sarà anche vero serva a Fidel come strumento per giustificare gli aspetti negativi - in politica, in economia, con un'opposizione che non può essere liquidata solo e sempre come «mercenaria» -, ma che invece Cuba e i cubani sentono come un sopruso e una minaccia insopportabili. Il castrismo è e si sente minacciato da più di 40 anni e il regime teme che il minimo sintomo di cedimento possa essere letto come debolezza e quindi anticipare l'attacco che si annuncia una volta uscito di scena Fidel.

Alla sindrome da assedio i media contrappongono la sindrome da ex. Sul Corriere e Repubblica molti ex di sinistra, smemorati ma soprattutto pentiti, si lanciano in attacchi truculenti contro «l'ultimo dittatore», i «tanti intellettuali complici» che dovranno «infine arrossire» per avere «coperto le vergogne del despota», ovvero «i regimi decotti» (se non altro è un processo di decottura piuttosto lungo...), di «coraggiosa riunione carbonara» (carbonara non vuol dire clandestina e segreta?), dei dissidenti cubani «poveri e dispersi» (poveri?).

Senz'altro Castro avrebbe fatto meglio a lasciar entrare tutti, anche i giornalisti e gli euro-deputati che si presentavano in bermuda e sandali. Ma non è Bush né sono quei giornali e i loro illustri giornalisti a potersi indignare e dare lezioni di democrazia o diritti umani. Non si ricorda tanta indignazione da parte loro per chi ha ordinato gli orrori di Abu Ghraib, di Bagram e di Guantanamo; per chi ha coperto e protegge il terrorista assassino Luis Posada Carriles. Né quando Israele caccia i giornalisti «non accreditati» e li tratta «ruvidamente», come è capitato al collega Battistini, di cui salutiamo con sincera gioia il ritorno a casa sano e salvo.

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