Latina

Messico: donne e ingiustizia militare

Amnesty International, il Centro "Miguel Agustín Pro Juárez" e Tlachinollan, organizzazioni che si occupano della difesa e della protezione dei diritti umani, uniscono i loro sforzi per affrontare il problema della presenza militare nell’ambito della pubblica sicurezza, che genera gravi violazioni dei diritti umani e favorisce l’impunità.
24 maggio 2005
Amnesty Intrnational

In Messico, in special modo nello Stato del Guerrero, la presenza militare ha prodotto, come conseguenza più grave, la violazione dei diritti umani del nucleo più vulnerabile e trascurato della società: le donne, vittime di discriminazione in ambito culturale, economico e sociale. Le donne indigene sono quelle che più soffrono le conseguenze dell’emarginazione e dell’esclusione: tra le donne si registra il più alto tasso di analfabetismo e sono loro ad avere più difficoltà nell’accesso all’educazione e ai servizi sanitari.

Queste condizioni sono sfruttate dai militari che arrivano nelle comunità indigene e approfittano della vulnerabilità delle donne, come raccontano molte testimonianze di donne che sono state oggetto di torture e violentate sessualmente dai militari: Me Phaa y Na savi, Valentina Rosendo Cantú, Inés Fernández Ortega, Victoriana Vázquez Sánchez, Francisca Santos Pablo, Delfina Flores Aguilar e Aurelia Méndez Ramírez. Il governo messicano deve affrontare la questione della violenza contro le donne e intraprende misure concrete per portare i colpevoli di questi atti di violenza di fronte alla giustizia.

Le organizzazioni civili dei diritti umani hanno valutato che la presenza dell’esercito nelle comunità indigene si traduce in due livelli di violazioni dei diritti fondamentali: da una parte gli abusi e i delitti di cui i militari sono responsabili, dall’altra l’impunità, garantita dalla procura militare. Nonostante i soldati siano costituzionalmente soggetti alla legge legale, in pratica godono d’immunità.

La sofferenza di Valentina, Inés, Victoriana, Francisca, Delfina e Aurelia, non si è limitata ai fatti concreti dell’abuso. Quando hanno deciso di alzare la voce e chiedere giustizia hanno visto negati ancora una volta i loro diritti. Queste donne sono state oggetto dell’abuso di potere di singoli individui appartenenti all’ambito militare e poi oggetto una volta in più di discriminazione perché i loro casi sono stati sottoposti alla giustizia dell’apparato istituzionale militare. Le leggi, gli organi e le procedure di carattere militare non garantiscono un’indagine indipendente e imparziale dei fatti denunciati e pongono le donne su un piano di disuguaglianza che vanifica il valore della loro denuncia.

Ne è un esempio il comunicato stampa della Segretaria della Difesa nazionale riguardo al caso di Valentina Rosendo, in cui si accusava la donna di essere bugiarda e di nascondere gli interessi del narco-traffico. Non è casuale che i sei casi si siano verificati nello Stato del Guerrero, dove è stata vissuta la presenza militare dalla cosiddetta "guerra sporca". Presenza che si intensificò a metà degli anni 90 con l’aumentare di gruppi insorgenti e che al giorno d’oggi è impegnata soprattutto nella lotta contro il narco-traffico. Nel suo ultimo rapporto, l’organizzazione Tlachinollan riporta la documentazione riguardante 60 casi di violazioni dei diritti umani perpetrati dall’esercito, tra i quali si trovano anche questi sei casi.

La presenza militare nei villaggi indigeni del Guerrero si traduce in una alterazione degli spazi comunitari, è un agente esterno che spesso senza rispettare le tradizioni né soprattutto le autorità indigene, utilizza territori comunali per impiantare i suoi accampamenti senza chiedere alcuna autorizzazione. Alle comunità vengono sottratte acqua, raccolti e animali e la discriminazione verso la popolazione indigena è molto diffusa. Il risultato è la paura: i bambini non vanno a scuola, gli uomini rientrano dai campi e ritornano alle loro case, le donne vivono con il timore che i casi di violenza sessuale si ripetano.

Il Centro "Miguel Agustín Pro Juárez" e Tlachinollan hanno unito le loro forze per chiedere in modo unanime che sia la giustizia civile ad indagare i casi di violazioni dei diritti umani perpetrati da elementi militari a danno dei cittadini. Soprattutto affinché, in linea con le multiple raccomandazioni emesse da organi internazionali delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione degli Stati americani, il governo messicano determini il ruolo delle forze militari, così da evitare il loro impiego nell’ambito della pubblica sicurezza.

Uno dei pilastri basilari dello Stato è la garanzia di accesso alla giustizia. Nella misura in cui lo Stato non garantisce questo diritto alle donne, regna l’impunità e la perpetrazione delle violazioni dei diritti fondamentali. Un stato di diritto può soltanto essere costruito mediante il superamento di istituzioni e pratiche abusive che favoriscono l’impunità e che impediscono la corretta applicazione della giustizia verso i membri delle forze armate che hanno commesso abusi di potere. Ne risulta che lo Stato messicano non può più rimandare i suoi obblighi internazionali sui diritti umani al fine di garantire alle donne protezione dalla violenza sessuale e dalla discriminazione.

Amnesty International 18.5.2005

Note: Il rapporto "Donne indigene ed ingiustizia militare" (AI AMR 41/033/2004) e' reperibile al link http://web.amnesty.org/library/esl-mex/index

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