Brasile: Amazzonia, distruzione da record
Scomparsa, disboscata: lo ha annunciato mercoledì il ministero dell'ambiente brasiliano. E' un dato allarmante, sia in assoluto che come tendenza. In assoluto è un tasso di deforestazione secondo solo a quello verificato nell'anno 1994-'95, il record assoluto nella storia dell'Amazzonia, quando scomparvero 29mila chilometri quadrati di foresta (come l'intero Belgio). Come tendenza è un segno di accelerazione, perché rappresenta un aumento del 6% rispetto all'anno precedente e segue altri anni di deforestazione in aumento - in effetti è dal 2001 che il ritmo continua a salire. Gli ultimi dati inoltre sono una delusione per il governo, che sperava di aver contenuto l'aumento della deforestazione entro il 2%. La ministra brasiliana dell'ambiente Marina Silva ha commentato che le azioni prese dal governo federale per proteggere la foresta amazzonica richiedono tempo per sortire effetti: «Continueremo a combattere la deforestazione in modo sistematico e strutturato, coinvolgendo tutti i settori della società in azioni efficaci e durature», ha detto la ministra. L'ultimo dato «dimostra che la deforestazione non è una priorità per il governo di Lula», ha tuonato invece Greenpeace Brasile. Ma sarebbe troppo facile prendersela con il presidente Luiz Ignacio da Silva, Lula. Il governo federale in effetti ha adottato l'anno scorso un piano per proteggere l'Amazzonia dalla distruzione ambientale in sé ineccepibile. Un progetto di legge sulla gestione delle foreste pubbliche è in discussione al Congresso nazionale (il parlamento federale); il ministero dell'ambiente fa la sua parte creando nuove aree protette. Si va facendo strada una strategia di gestione multipla delle risorse forestali, con esperimenti di «uso della biodiversità» combinata alla conservazione dell'ecosistema, di uso collettivo e tentativi di valorizzare le attività tradizionali. Questa primavera il governo federale ha completato la demarcazione della riserva degli indigeni Xavantes, concludendo una vicenda annosa. Ma le forze che premono sulla foresta amazzonica sono molte, e potenti.
I dati diffusi dal governo brasiliano, guardati più da vicino, lo confermano. Dei sette stati considerati nel rapporto governativo, cinque in effetti hanno rallentato la deforestazione (Parà, Amazonas, Acre, Maranhão e Tocantins). Altri due, il Mato Grosso e Rondonia, hanno invece registrato un balzo in avanti tale da annullare i progressi visti altrove. Sono la parte più consistente di quello che veniva chiamato «l'arco di fuoco», la zona di sfruttamento più intensivo e selvaggio della foresta, del commercio illegale di legno e soprattutto delle grandi piantagioni industriali - soprattutto la soia. Da qualche anno poi la vera forza trainante della deforestazione è l'allevamento del bestiame. E' la «hamburger connection»: l'export di carne brasiliana è triplicato tra il 1995 e il 2002 e continua a crescere, e tre quarti dell'aumento si registra nella regione amazzonica. Allevare bovini su scala massiccia (nel 2002 se ne contavano 175 milioni di capi) significa creare nuovi pascoli, dunque tagliare alberi in zone vergini, finché il pascolo si esaurisce e si va a tagliare altrove. E questo si somma ai mali cronici - traffico illegale di legname tropicale, occupazione abusiva di grandi estensioni di foresta da parte di coloni che si «ritagliano» grandi piantagioni, l'espansione della soia... La stampa brasiliana ieri metteva bene in risalto che il capo del governo dello stato del Mato Grosso, Blairo Maggi, è anche il maggior produttore di soia del mondo - e che quasi metà della deforestazione registrata nell'anno è avvenuta proprio nel suo stato. Greenpeace lo ha definito «il re della deforestazione».
Vincere le forze che premono sulla foresta amazzonica non è cosa semplice. Resta l'allarme: il Wwf stima che ormai il 17% della copertura forestale dell'Amazzonia brasiliana è scomparsa.
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