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Nicaragua: la pazienza dei lavoratori bananeros

lettera aperta al Presidente della Repubblica
9 maggio 2005
Francisco Sancho Màs
Fonte: El Nuevo Diario

Una pazienza infinita
Signor Presidente: continuiamo ad aspettare


Il Presidente della Repubblica si guarderà la mano.
Poserà i suoi occhi sulla sua pelle e sulle sue vene e le vedrà pulsare, prima di fare un gesto atteso da tanto tempo.
Durante gli ultimi giorni, il suo governo, signor Presidente, ha finalmente accettato alcuni dei reclami più giusti dei contadini del Nemagòn. Progetti di riforestazione, aiuto per il viaggio che dovranno fare negli Stati Uniti per partecipare al processo contro le multinazionali, copertura sanitaria e piano di pensioni.
Il tutto dovrà essere ratificato dalla Assemblea Nacional.
Ieri eravamo ottimisti per quello che significava. Adesso tocca alla Asamblea raccogliere la nostra lotta e farla propria.
Tutti, il suo governo e la Assemblea, stanno arrivando molto tardi. Ma continuiamo ad aspettare.
Signor Presidente, continuiamo a stare qui. Dall'accampamento l'abbiamo vista passare senza fermarsi. E' vero che adesso il reclamo non è solo nei suoi confronti, ma il suo appoggio sarebbe importante e lei è passato ben lontano.
Dopo un bel po' di tempo ha mandato membri del suo governo a negoziare. Grazie, ma noi stiamo aspettando. Chi adesso sta scrivendo è lontano, ma ha voluto rimandare le proprie parole tra le tende del Nemagòn per parlare di nuovo.
La parola convive con ciò che detta la sua coscienza.
Sono già venuti in molti e altri se ne sono andati (qui ci sono i loro nomi, sono gli ultimi dei nostri).
Il giorno 26 aprile Ramòn Rugama di Chichigalpa.
Il giorno 26 aprile Catalino Mèndez Coronado di Larreynaga.
Il giorno 27 aprile Carlos Torres Lòpez del Sauce.
Il giorno 27 aprile Juana Simona Mèndez di Chichigalpa.
Il giorno 30 aprile Victoriano Baquedano di Chichigalpa.
Il giorno 2 maggio Vilma Càceres del Viejo.

Sono stati molti di più in tutti questi anni e in questi mesi, ma loro erano gli ultimi.
Dall'accampamento, più di un mese fa, le abbiamo chiesto a voce bassa di avvicinarsi dove sono i malati per il Nemagòn. La nostra voglia non l'ha fermata né la polvere, né la strada, né gli anni, né il sudore, ne il freddo, né la morte. E se abbiamo pazienza, provi ad immaginare quella dei nostri morti che adesso ci prestano la loro per continuare a sopravvivere.
La pazienza dei morti è infinita. E' l'esempio più chiaro della difesa della dignità dei nicaraguensi.
Pochi giorni fa si è circondato da una moltitudine per celebrare la Festa del lavoro, ma non è venuto dai lavoratori del Nemagòn.
Scenda, li guardi, li tocchi, signor Presidente.
Non ci interessa di sapere chi, di quelli che la circondano, le ha suggerito di non prestare attenzione agli ammalati del Nemagòn. Se lei decidesse di mettersi dalla parte di questi lavoratori ammalati (non importa il numero) non potrà considerare ciò che rischia politicamente davanti al paese che protegge le imprese che hanno portato la morte in Nicaragua.
Nonostante questo lei non cerca la rielezione, ma non vuole nemmeno lasciare il potere prima dell'ultimo giorno del suo mandato.
Quindi non ha quasi niente da perdere e molto da guadagnare.
Guadagnarsi la loro stima, la nostra, quella della popolazione.
Tutto iniziarà con un piccolo gesto. Sappiamo che esistono dubbi sul ballo delle cifre con le quali giocano gli avvocati e che sotto questa discrepanza giocano vigliaccamente le imprese e le loro responsabilità.
Però alla fine, non si può mettere in dubbio che la causa dei contadini del Nemagòn sia chiaramente giusta, con una purezza in questa giustezza davanti alla quale crolla qualsiasi indifferenza o sospetto.
Tutto inizierà con un piccolo gesto atteso. Il signor Presidente della Repubblica, Enrique Bolaños, scenderà dalla sua automobile ed affronterà nuovamente il rischio di trovarsi all'aria aperta e al sole quasi senza protezione. Si guarderà la mano, di carne ed ossa, solcata da vene che pulsano se la stringono e la offrirà ai contadini, uno per uno, con la forza di una stretta che aspetta da anni.
Gli guarderà gli occhi e comincerà a dimenticare il resto.
La mano di un presidente mescolata con quelle dei contadini, con la terra e il cuore del Nicaragua, con le vene pulsando. Non è dato a tutti gli uomini poter vivere momenti in cui si dimostri così chiaramente ciò che si è dentro. Il Presidente del Nicaragua sarà sul punto di scendere e unirsi al suo popolo. Servirà a qualcosa? Questo non importa. Il gesto e la lotta non è solo per loro, li guardi negli occhi, è per i loro figli. E anche se ciò non avverrà hanno una pazienza infinita.
Hanno lasciato la vita nel lavoro e ora la stanno lasciando per questo. Il minimo è un gesto, signor Presidente, un gesto. Mentre continuiamo ad aspettare.

Note: traduzione di Giorgio Trucchi

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