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La storia del signor Enea e l’uva

Sorrido leggendo la “Storia del Signor Enea e l’uva” sulla Repubblica di oggi”. Una storia di prepotenza esercitata dal potente su un povero contadino proprietario di un campo di filari di uva, che si vede obbligato dal potente che gli ruba l’uva a dover offrirgliela.
6 novembre 2006
Padre Giorgio (Missionari Comboniani Castel Volturno (CE))

La storia del signor Enea e l'uva

Questa storia succede spesso nella vita di ogni giorno. E’ triste però che a compiere queste cose siano persone in alto, in tutti i campi. L’articolo parlava alludendo ad un ex Presidente del Consiglio che, per la posizione che ha occupato, dovrebbe essere di esempio ai giovani e all’intera società. Mi avvio verso la vecchiaia che spero sia serena. Invecchiare bene è difficile anche per un sacerdote missionario. A volte emergono i ricordi del passato: fallimenti e traumi. L’essere vissuto in Africa per diversi anni in situazioni di guerra e guerriglia e aver visto molte cose come massacri, fame, colera… Tutto questo ha inciso sulla mia psiche e qualche volta queste cose riappaiono nei miei sogni notturni. Ormai fanno parte della mia vita. Poi emozioni intense come la paura e la solitudine, spesso dissociate per vivere, hanno lasciato il loro segno… Non vivo di ricordi, nonostante l’età devo decidere “che cosa fare da grande”. Una ricerca che porto avanti da tutta una vita.

Alcuni giorni fa, in partenza per Roma, mi sono fermato a parlare alla stazione di Villa Literno con alcuni ragazzi e ragazze seduti sulla ringhiera. Mi sono avvicinato a loro con quell’attitudine propria del nonno che parla con i nipoti. Un prete, credo, invecchiando acquista quei sentimenti che sono propri dell’evoluzione naturale: ci si sente prima papà
( anche se come sacerdote non ho figli) poi più tardi si hanno i sentimenti propri del nonno.

Mi sono messo a parlare con i giovani con rispetto perché qualche volta mi sento “da rottamare”, in effetti il mio collega giovane ventisettenne scherzando affettivamente me lo dice. Quei ragazzi e ragazze avevano “fatto filone” ed erano lì tra di loro, “insieme si sentivano qualcuno”. Li guardavo con tenerezza e mi chiedevo perché studiare in una società come la nostra dove i prepotenti spesso hanno successo. Pensando ai miei nipoti mi chiedevo perché laurearsi se poi non si trova un lavoro decente. Non è più facile prendere scorciatoie: se sei una ragazza bella perché non usare il sesso, se poi finisci in televisione questa farà anche propaganda su questo. Oppure gioca tutto sul tuo aspetto fisico, forse troverai un canale televisivo che farà di te un personaggio.I giovani di oggi hanno un grande privilegio che quelli della mia età e di condizione sociale più povera non avevano: quello di poter studiare. Come spiegare a quei ragazzi e ragazze che il sogno giovanile di tanti della mia età era quello di studiare e chi era povero doveva fare enormi sacrifici… Parlando ai ragazzi e ragazze seduti sulla ringhiera della stazione mi sentivo veramente un “rottame”, un sopravissuto. Subito, all’inizio della conversazione, mi hanno chiesto di dove ero: il mio accento nordista mi tradisce subito. Spiegavo che il Sud mi ha adottato e in particolare Castel Volturno dove ci sono senz’altro tanti problemi ma la stampa ne parla esagerandoli facendo apparire la cittadina “un inferno”.

Spiegavo ai giovani che nella città emiliana dove sono nato quand’ero ragazzo e poi giovane c’erano molti sbarramenti di classe che impedivano ai poveri di avanzare negli studi o di scegliere certi tipi di scuole piuttosto che altri. Spiegavo loro che la società era divisa in classi sociali e che passare da una classe all’altra era estremamente difficile. C’erano i proprietari terrieri, Giorgio Bassani lo scrittore fa un riassunto di alcuni di loro con l’AIRONE , c’era la borghesia degli Ebrei, molti di loro professori e commercianti vedi sempre di Giorgio Bassani il Giardino dei Finzi Contini. C’erano gli insegnanti, vedi Gli occhiali D’Oro. C’erano poi gli operai e infine i braccianti agricoli. Ricordo che questi ultimi ogni tanto venivano in città con le loro biciclette sgangherate, un fazzoletto rosso al collo, la “sporta” infilata nel manubrio della bicicletta. Venivano per scioperare, quelli erano tempi “caldi”. Ricordo da ragazzo, uscendo dalla scuola con i libri sottobraccio, di essermi trovato ad assistere ad un intervento della “Celere”: i poliziotti che come impazziti menavano manganellate a donne, uomini e vecchi. I poliziotti, spesso povera gente anche loro, erano a volte ubriachi e con le Jeep salivano sulle gradinate, della Posta ad esempio. Ero bambino e guardavo cercando di capire… Era il tempo di Scelba…

Nonostante questo sono cresciuto con il rispetto per l’ordine e per la Polizia. Confesso però che qualche cosa dentro di me si è incrinato quando ho partecipato al G8 di Genova e la rabbia che provavo dentro quando più tardi in macchina, viaggiando ascoltavo alla radio le discussioni e il dibattito parlamentare, e tra me e me mi dicevo: io c’ero e ho visto, nelle strade e piazze, alla scuola… Non ho alzato neanche il dito medio della mano destra verso quell’elicottero assordante e allucinante. Non ho lanciato neanche un sassetto contro i poliziotti ma ho provato dentro tanta indignazione. Più tardi in altre manifestazioni per gli immigrati ho scoperto che ci sono poliziotti che hanno una grande voglia di menar le mani, di scaricare le loro frustrazioni, e che ti sorridono in faccia ma se potessero ti picchierebbero a sangue…

Ricordo, quando andavo al cinema da ragazzo, dopo la proiezione del film veniva la Settimana INCOM un notiziario di informazione politica. Quando usciva De Gasperi, allora Presidente del Consiglio, si alzavano le urla e le imprecazioni degli avversari politici, ma nessuno metteva in discussione l’onestà e la correttezza di quell’uomo. Così è stato di tanti altri presidenti: erano altri tempi. Come spiegare ai giovani che la parola di un uomo è sacra e che bisogna vivere la vita nell’onestà e nella dignità? Anche oggi, nonostante continuino ad esistere nuove forme di discriminazioni, gruppi chiusi, e tutto spesso è basato sulla raccomandazione.

Come spiegare ai ragazzi e ragazze seduti sulla ringhiera della stazione di Villa Literno queste cose? Eppure mi hanno sorriso e ascoltato, dopotutto c’è sempre l’aspetto avventuroso della mia vita di missionario che colpisce i giovani.

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Chi non riesce a perdonare gli altri, distrugge il ponte sul quale dovrà passare.

Mikhail Maimy

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