Per una Cittadinanza europea di residenza

10 febbraio 2005
Paul Oriol
Fonte: Il dibattito federalista

Paul Oriol - Settimo Meeting Internazionale sulle Migrazioni - Loreto   25 luglio - 1 agosto 2004  “MIGRANTI CITTADINI DELLA NUOVA EUROPA. MOBILITÀ E DIRITTI”   28 LUGLIO 2004 - GALLERIA FOTOGRAFICA  Tavola Rotonda: Diritto di voto agli immigrati Nei paesi democratici tutte le persone hanno dei diritti che le rendono, in qualche modo, dei cittadini: diritti sociali, culturali, sindacali, ma, nella quasi totalità dei casi, la cittadinanza politica è riservata ai membri della nazione.

Secondo la Carta europea dei diritti fondamentali “Tutte le persone godono di uguali diritti” (art.20) e “nell’ambito d’applicazione del trattato istitutivo della Comunità europea e del Trattato dell’UE, e senza pregiudizio per le disposizioni particolare dei suddetti trattati, ogni discriminazione basata sulla nazionalità è proibita” (art. 1-2). L’uguaglianza è la regola, l’ineguaglianza l’eccezione. Eccezioni che dovrebbero divenire ancora più rare sulla base delle Conclusioni di Tampere: “Lo status giuridico degli individui originari di paesi terzi dovrà essere avvicinato a quello degli Stati membri. Una persona residente legalmente in uno Stato membro, per un periodo da determinare e titolare di un permesso di soggiorno di lunga durata, dovrà vedersi riconosciuto da questo Stato membro un insieme di diritti uniformi e il più possibile simili a quelli di cui godono i cittadini dell’UE”.

I Trattati

La cittadinanza dell’UE è stata istituita dal Trattato di Maastricht: “È cittadino dell’UE ogni cittadino di uno Stato membro” (art. 8-1). Il Trattato enumera i diritti relativi a questa cittadinanza: “diritto di circolare e di risiedere liberamente sul territorio degli Stati membri” (art. 8A-1), “protezione da parte delle autorità diplomatiche e consolari di ognuno degli Stati membri” (art. 8C). “diritto di petizione al Parlamento europeo”
e di “rivolgersi al mediatore” (art. 8D), “diritto di elettorato attivo e passivo per le elezioni municipali nello Stato membro dove egli risieda alle medesime condizioni degli originari di questo Stato” (art. 8B-1), e “alle elezioni per il Parlamento europeo” (art. 8B-2).

Si tratta di diritti che hanno una natura sostanzialmente differente gli uni dagli altri. Il diritto a circolare e a risiedere può essere ricollegato ai diritti dell’Uomo: “Ogni persona ha il diritto di circolare liberamente e di scegliere la propria residenza all’interno di uno Stato” (art. 13-1 della
“Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo”) e “Ogni persona ha il diritto di abbandonare qualunque paese, compreso il proprio, e di rientrare nel proprio paese” (art. 13-2). Questa libertà, ricercata sin dal Trattato di Roma non è stata ancora pienamente raggiunta persino per i cittadini
dell’UE. La sua estensione agli originari da paesi terzi è prevista dalla Carta: “La libertà di circolazione e di soggiorno può essere accordata […] agli originari di paesi terzi residenti legalmente sul territorio di uno Stato membro” (Art.44-2).

La protezione diplomatica e consolare è un diritto dei cittadini di una nazione: “Lo Stato deve la propria protezione ai propri cittadini, ciò
comporta la protezione diplomatica e consolare esercitata nei confronti dei cittadini nazionali che si trovino all’estero (Convenzione europea sulla riduzione dei casi di nazionalità plurima e sugli obblighi militari in caso di nazionalità plurima, François Julien-Laferrière, Migrations
Société, n°80 mars-avril 2002).

Il diritto di petizione e di rivolgersi al mediatore riguarda i rapporti con l’amministrazione. Il Trattato l’attribuisce a “qualunque persona fisica o morale residente o avente la propria sede statutaria in uno Stato membro” (Art.138D) e il mediatore è “autorizzato a ricevere ricorsi da ogni cittadino o persona fisica o morale residente o avente la propria sede statutaria in uno Stato membro” (Art.138E).
Il diritto elettorale attivo e passivo per le elezioni municipali ed europee è riservato esclusivamente ai cittadini dell’UE.
Il trattato fa dei cittadini, di volta in volta, dei ‘cittadini-persone’, dei ‘cittadini-utenti’, dei ‘cittadini nazionali’ o dei ‘cittadinicittadini’.
Naturalmente i diritti dell’Uomo e dell’utente sono anch’essi una forma di cittadinanza, ma il nucleo della cittadinanza è – naturalmente – la partecipazione alle decisioni politiche. La Carta va più lontano del Trattato: “Ogni persona ha diritto di riunirsi pacificamente e di associarsi a tutti i livelli, in particolare in ambito politico, sindacale e civico…” (art. 12-1). Essa riconosce a ogni persona, e dunque anche agli originari di Stati terzi, il diritto a partecipare “in particolare in ambito politico…”. Gli originari di Stati terzi posso essere membri di un partito politico “a qualunque livello”, possono presiederlo, ma non possono votare in nessuna elezione politica.

La situazione attuale In seguito al Trattato di Maastricht, su un medesimo territorio, delle persone, aventi le medesime obbligazioni, sono imprigionate all’interno di caste di cittadinanza con diritti differenti: i cittadini nazionali che vivono sul loro territorio nazionale (365 milioni di persone) hanno il diritto di voto e di eleggibilità per tutte le elezioni; i cittadini dell’UE che vivono in un paese membro diverso dal loro (5 milioni) godono dell’elettorato attivo e passivo solamente per le elezioni municipali ed europee; gli originari di Stati terzi (15 milioni) che a seconda dei casi godono (Belgio, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia) o meno (Germania, Austria, Francia, Grecia, Italia) dei diritti elettorali per determinate elezioni locali in funzione della legislazione del paese di residenza, con delle particolarità per alcuni paesi (Spagna, Portogallo, Regno Unito); infine in tutti gli Stati vi sono i paria, i senza casta, i clandestini.

La cittadinanza dell’UE aggiunge dunque una discriminazione legale a quelle –numerose – già (mal) vissute e, in un certo qual modo, le legittima. Per sopprimere questa discriminazione politica non è possibile individuare nella residenza un criterio di attribuzione della cittadinanza allo stesso
titolo della nazionalità?

È logico che, in base al principio di sussidiarietà, siano gli Stati ad attribuire la nazionalità.
Sarebbe ugualmente logico che fosse l’UE ad attribuire la propria cittadinanza. Ora la cittadinanza dell’UE si fonda sulla nazionalità, sono gli Stati che l’attribuiscono indirettamente, con tutte le incongruenze che ne derivano. Due fratelli turchi emigrano nell’UE, Alì in Belgio e Umit in Germania. Dopo 7 anni Alì ottiene la cittadinanza belga, divenendo così anche cittadino dell’UE.
Umit non può fare lo stesso, anche se è perfettamente integrato e i suoi affari prosperano.
Egli fa venire in Germania Alì, che – belga e dunque cittadino dell’UE – ha il diritto di voto attivo e passivo tanto alle elezioni municipali che a quelle europee, anche se non conosce la Germania e non parla tedesco…
Umit non può votare, ma potrà aiutarlo in questo compito!!!

Il Trattato di Maastricht ha ben mostrato la debolezza degli argomenti contro il diritto di voto ai residenti stranieri, di fronte a una volontà politica netta. I cittadini dell’UE godono dei diritti inerenti alla cittadinanza dell’UE, indipendentemente dal proprio grado di integrazione, dal tempo di residenza, e dalla lingua parlata.
Rimane il principio di reciprocità: nessun principio fondamentale esige la reciprocità per concedere dei nuovi diritti. Non è mai stato invocato per aprire la cittadinanza ai norvegesi o ai neozelandesi. Una tale esigenza fa dipendere la qualità della democrazia all’interno dell’UE da Stati che gli stranieri extracomunitari hanno abbandonato per sfuggire alla corruzione, alla malversazione o all’oppressione. I paesi che hanno concesso il diritto di voto agli stranieri, prima del Trattato lo hanno fatto con la volontà di democratizzare le proprie società.
Essi lo hanno attribuito a tutti i residenti, quale che fosse la loro nazionalità.

L’estensione della cittadinanza è il compimento del lento ma progressivo allineamento dei diritti degli stranieri a quello dei cittadini nazionali, dell’estensione del diritto di voto verso un autentico suffragio universale (voto censitario, suffragio riservato agli uomini, dopo alle donne e ai giovani).

Nazionalità e Cittadinanza

Il nesso nazionalità-cittadinanza ha solo un’origine storica anche se esso è sacralizzato dalla nozione di cittadinanza che può essere avvertita come essenziale e originaria. Nondimeno le leggi sulla nazionalità variano enormemente sulla base delle tradizioni e degli interessi reali o supposti del momento.

Secondo il censimento della popolazione del 1999 vi erano 3.260.000 stranieri in Francia. Il demografo Hervé Le Bras ha potuto scrivere: “se la Francia avesse la medesima legislazione degli Stati Uniti, i 510.000 stranieri nati in Francia sarebbero francesi. E se vi fosse la legislazione dei
paesi dell’America latina, i residenti da più di 10 anni avrebbero acquisito la cittadinanza.

Non vi sarebbero allora che 638.000 stranieri” («Coup de Soleil», n. 21). Si potrebbe aggiungere: con la legislazione tedesca prima dell’ultima riforma o con la legislazione svizzera, sarebbero 6 o 7 milioni! Dunque, in base alle diverse legislazioni, la popolazione “straniera” potrebbe
variare da 600.000 a 6 milioni ! Tutto ciò relativizza tanto la nozione di straniero che quella di nazionale.
Le legge belga del 2000 ha facilitato l’acquisizione della nazionalità, con una diminuzione significativa del numero degli stranieri in Belgio senza alcun cambiamento reale nella composizione della popolazione! In effetti vi sono state “61.980 naturalizzazioni nel 2000,62.982 nel 2001 e 46.417 nel 2002. In precedenza il paese registrava tra le 25.000 e le 35.000 naturalizzazioni per anno” («Le Soir» 21/06/2003).
La nazionalità non è più il criterio esclusivo di attribuzioni di diritti. Sempre di più è la residenza a svolgere questo ruolo. Dai diritti dei clandestini, sino ai diritti di accesso alla nazionalità, passando per i diritti sociali, sindacali, culturali e politici.
Dei diritti che sino a ieri erano considerati come politici, sono, in democrazia, oggi riconosciuti ai residenti stranieri: diritto di associazione, di espressione, di manifestazione, di organizzarsi in sindacato…

Il legame nazionalità-cittadinanza appare talmente “naturale” che, assai spesso, le due parole, cittadinanza/nazionalità, sono impiegate indifferentemente. Tuttavia esse non rispondo affatto alla stessa domanda.
La nazionalità risponde alla domanda “Noi chi siamo?” e le risposte sono molteplici perché le appartenenze sono diverse: nazionalità, ma anche situazione familiare, professione, religione, sesso, e un po’ cittadinanza…
Non si tratta di negare i legami che uniscono le persone di una stessa cittadinanza, anche se questi legami fanno spesso riferimento a degli antenati comuni, spiegando l’attaccamento al diritto di sangue.
Questa storia, mitica a livello nazionale, lo è ancor più a livello europeo. Non c’è un popolo europeo, c’è una diversità di popoli, di culture, di religioni…
La cittadinanza risponde alla domanda “Come costruire un avvenire comune nella diversità?” Il cittadino è colui che prende in mano la propria situazione nel rispetto del bene comune e, in democrazia, senza esclusioni.
La cittadinanza implica una relazione con gli altri, conflittuale ma egualitaria.

La Commissione europea ha potuto sostenere che “gli originari degli altri Stati membri si integrano nelle attività economiche e sociali dei loro paesi di accoglienza, tanto meglio quanto più essi godono già di diritti identici a quelli dei cittadini nazionali…
È più logico, se non giustificato, di prendere parte alle elezioni del proprio comune di residenza, anche se non se ne ha la nazionalità piuttosto che continuare a partecipare alle elezioni di un comune in cui non si risiede più, pur avendone conservato la nazionalità ( Proposta di direttiva
del Consiglio sul diritto di voto degli originari degli Stati membri alle elezioni municipali negli Stati membri di residenza COM (88) 371 24 giugno 1988). Se l’attribuzione dei diritti politici è un fattore d’integrazione ed essi sono attribuiti puramente ad alcuni, vuol dire che esiste una volontà di
integrare solo alcuni e non ad altri?

Tutti devono poter partecipare all’avvenire comune, attraverso il proprio contributo professionale, sportivo,artistico, demografico… ma anche al momento delle decisioni.
La cittadinanza è un fattore di coesione sociale. Si può immaginare una reale uguaglianza nell’applicazione della legge senza uguaglianza a livello della sua elaborazione?
Il diritto di voto, la cittadinanza dell’UE legittimerà delle azioni che spesso già esistono attraverso la partecipazione alla vita di quartiere, di impresa, di chiesa, di club sportivo o di associazione di genitori di studenti. A questa cittadinanza di fatto, è necessario far corrispondere la cittadinanza di diritto sotto pena di far nascere un senso di frustrazione.

L’Europa non può costruirsi che su dei valori universali. È necessario, inoltre, che essa accetti realmente la varietà delle culture e l’universalismo. Essa non può accontentarsi di un multiculturalismo e di un universalismo meschini, senza, prima o poi, pagarne le conseguenze. Gli Stati nazionali sono stati spesso creati prima della cittadinanza e prima della realizzazione di regimi democratici.
Ciò non è avvenuto per l’UE: non c’è un popolo europeo, non c’è uno Stato nazionale europeo. La cittadinanza dell’UE è una cittadinanza senza stato. La diversità è costitutiva dell’UE. Perché non fondare “l’europeità” sulla cittadinanza, sull’adesione ai principi, sulla partecipazione? Perché l’UE non potrà essere una creazione dei cittadini, di tutti quelli che dimostrano la loro volontà di partecipazione? Questo desiderio di cittadinanza
egalitaria sarà costitutivo dell’identità europea che non può essere un’identità nazionale. L’adesione attraverso la naturalizzazione è l’adesione a una comunità mitica costituita. L’adesione attraverso la cittadinanza è l’adesione a un progetto, a un’identità in costruzione che si fonda sulla politica e sulla ragione.

(trad. a cura di Pietro Finelli)

Note: Il dibattito federalista n. 2 del 2004
http://www.mfe.it/dibattitofederalista/2004/n2_04.pdf

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