Sul popolo federale europeo
Il concetto di popolo è uno fra i più controversi nella letteratura delle scienze giuridiche e politiche. Giovanni Sartori ne individua almeno sette significati differenti(1).
Il tutto diventa ben più complesso se applicato ad una realtà multiforme ed eterogenea quale quella dell’Europa, della sua storia e società. Non si tratta soltanto di un problema teorico: la non esistenza di un popolo europeo, nelle sue varie, possibili, manifestazioni, come Volk etnolinguistico o nella sua contemporanea versione di demos, è uno dei principali argomenti a sostegno delle opinioni euroscettiche. Niente popolo, in altri termini, niente unità europea.
Il concetto di popolo compare nella storia dell’Occidente con il riferimento di Roma repubblicana al SenatusPopulusQueRomanus. Esso viene a costituire, assieme al Senato aristocratico, uno dei due principi di legittimazione di una Repubblica Romana il cui raffinato equilibrio istituzionale viene celebrato dagli storici classici(2) e diventa modello per i secoli successivi, compresi gli Stati Uniti d’America. Il popolo romano, in altre parole, è una parte della società, dotata di un ruolo civico e politico, anche se non proporzionale al suo peso demografico. Il medioevo europeo, dopo l’egualitarismo delle comunità germaniche, conosce un’accentuata stratificazione sociale, all’interno della quale il ruolo del populus latino viene avvilito a tutto vantaggio dell’aristocrazia e del clero. Né le cose cambiano con l’avvento della modernità e degli stati territoriali. Il popolo, anzi, viene ad identificarsi con lo stato, la cui sovranità è attribuita ad un principe che la esercita in modo assoluto per porre fine al bellum omnium contra omnes che altrimenti ne seguirebbe: popolo è ora un corpo sociale di sudditi. Dalla fine del Settecento, con il particolarismo della cultura romantica e l’emergere degli stati nazionali, il popolo tende sempre più ad identificarsi con la nazione. Ora concepito nei termini più etnici di Volk, ora in un’ottica prevalentemente culturale, esso, lungi dall’essere presupposto all’edificazione dello stato contemporaneo, ne è, il più delle volte, una costruzione politica laboriosa e non sempre efficace: si pensi alle parole del D’Azeglio. Il Novecento ha infine conosciuto la ridefinizione del concetto di popolo nei termini democratici della sovranità e della cittadinanza. Con un limite, però: la sua chiusura all’interno degli spazi dello stato nazionale e dei suoi confini, territoriali e simbolici, sempre più angusti, in un’epoca di interdipendenza e globalizzazione.
Rivolgiamoci ora all’Europa. Che ad essa non faccia riferimento un Volk in senso schmittiano, pare fuori discussione, né sembra particolarmente rilevante, all’inizio del XXI secolo. Molto più complesso, intellettualmente problematico e politicamente strumentalizzabile, è il tema della presunta assenza, spesso ribadita, di un demos europeo quale soggetto politico di un’eventuale comunità sovranazionale. L’Europa sarebbe priva di tratti unificanti, che rendano possibile il manifestarsi di un’identità collettiva; senza una lingua, senza una memoria comune, senza un’opinione pubblica ed un dibattito su scala europea, essa non può diventare punto di riferimento politico di un popolo che non esiste. Come pensare ad una Costituzione, ad uno Stato Federale, ad una Politica Estera Comune, o anche “soltanto” alla Carta dei Diritti, in assenza di uno scambio di idee, di opinioni, di valutazioni politiche, su scala continentale? La mancanza di una lingua comune non è letta come un problema identitario, quanto nei termini dell’assenza di un veicolo che agevoli la comunicazione tra Paesi che già di per sé sono divisi da molte differenze. Così hanno argomentato, tra gli altri, una nota sentenza della Corte Costituzionale Federale Tedesca del 12 ottobre 1993, Dieter Grimm, Ralph Dahrendorf, Gian Enrico Rusconi(3).
In effetti, dibattiti politici su scala europea, in grado di penetrare a fondo le società dei nostri Paesi, sono merce rara. Per tacere della scarsa consistenza dei partiti europei. Eppure, la valutazione di cui sopra, oltre ad apparire fondamentalmente conservatrice, sembra così ovvia da sollevare il dubbio che sia troppo superficiale e, dunque, federalisticamente rovesciabile, in almeno tre sensi.
In primo luogo, una federazione non richiede necessariamente UN popolo. Una lettura monolitica appartiene a quel tipo di cultura che è stata avanzata dallo stato nazionale, il quale, attraverso i suoi successivi attori, ha perseguito disegni politici di unità. Il tema era già chiaro a Kant. Il quale, nel suo Per la pace perpetua (1795), argomenta, con una linearità che è di pochi, come l’umanità richieda istituzioni comuni, fondate sulla democrazia (nel linguaggio del Settecento, la repubblica), sulla legge e sul diritto cosmopolitico. Le istituzioni comuni, il Föderalism del quale egli scrive, tengono insieme, e pacificano, più popoli: si tratta di un Völkerbund, una federazione di popoli. Essa tende ad unire società e culture diverse, la cui diversità è fonte di ricchezza e va salvaguardata; all’interno, però, di una cornice comune, che consenta di garantire la pace, il progresso, la democrazia e quei valori che si ritiene possano avere portata universale, la cui tutela è oggi affidata ai diritti fondamentali. Il filosofo di Königsberg mette dunque in chiaro come, al di là dei dettagli istituzionali, in linea di principio più popoli possano convivere all’interno di un’architettura comune e come ciò sia auspicabile per il benessere e lo sviluppo del genere umano. Seguendo Kant, quindi, una federazione europea non richiede affatto un singolo popolo; anzi, essa verrebbe in essere proprio in quanto unione di più popoli.
Un’ulteriore argomentazione volta a demolire le tesi euroscettiche di parte del dibattito sul popolo europeo verte sull’osservazione che elementi di un popolo europeo di fatto già esistono. Eugenio Scalfari, dalle colonne de La Repubblica, ne ha scritto il 16 febbraio 2003, nei giorni delle diffuse, e imponenti, manifestazioni di piazza contro la guerra in Iraq, anche in quei Paesi, come Gran Bretagna e Spagna, i cui Governi avevano aderito all’iniziativa bellica. E’ stato il battesimo del popolo europeo, così nelle parole di Scalfari. In effetti, l’importanza delle manifestazioni per la pace non è soltanto simbolica. Esse, oltre a creare una solidarietà transnazionale, sono esempio di una emergente società civile continentale; l’importanza attribuita alla pace può anche essere letta come segno di una cultura sempre più orientata a valori postmaterialisti, sensibile ad istanze pacifiste, ecologiste, di tutela dei diritti umani e benessere personale e collettivo. D’altra parte, pensare che il popolo europeo sia nato in occasione dell’opposizione alla guerra preventiva, per quanto suggestivo, non rende ragione di numerosi altri aspetti. Dal 1979 il Parlamento Europeo è direttamente eletto dai cittadini degli Stati della Comunità; i quali, da Maastricht in poi, sono anche cittadini europei, e grazie a questo, soggetti di diritti e doveri. L’interdipendenza economica e la pervasività del diritto comunitario hanno creato un tessuto cui le grandi manifestazioni di piazza hanno aggiunto linfa e dinamismo; il tessuto, però, era preesistente.
Ed ecco infine la terza, e più incisiva, argomentazione. Un popolo federale non si nutre di un’identità singola, ma, al contrario, fa riferimento a più identità, non soltanto politiche. Tra queste, possono entrare in gioco più livelli, dal quartiere al mondo, come si è soliti dire; il fatto che spesso vengano percepite come incompatibili è figlio della cultura dello stato nazionale, che premia un lealismo esclusivo. Così come lo stato nazionale ha saputo costruire, a volte con risultati peraltro apprezzabili, un’identità centrata su di sé e sui suoi valori, una Costituzione Federale può essere in grado di assecondare l’emergere di un popolo che si riconosce in più identità, e soprattutto in quei diritti e valori che la Costituzione riconosce e tutela. Il cittadino non è più il difensore della propria nazione o etnia, più o meno esclusiva; egli si fa portavoce, e alfiere, di valori e libertà che la sua Costituzione riconosce come universali, e fondativi di una convivenza democratica. Il popolo si forgia in un contesto comunicativo, e questo viene in essere soprattutto grazie all’effetto di istituzioni che, lungi dal forzarne i caratteri, ne accompagnano, per così dire, lo sviluppo. Alcune delle precedenti osservazioni sono state sviluppate da Habermas, Deninger e dalla teoria del cosiddetto “patriottismo costituzionale”, il Verfassungspatriotismus.
Il popolo europeo, come tutti i popoli, non esiste a priori; esso può emergere se l’Europa è in grado di dotarsi di una Costituzione che garantisca ai suoi cittadini una piena partecipazione democratica, a più livelli, e senza compromettere le diversità; al tempo stesso offrendo loro norme e valori che ne valorizzino lo spirito di libertà ed insieme il cosmopolitismo. Per citare Habermas, “L’identità non si dà mai a priori, indipendentemente dal processo democratico, ma è piuttosto la risultante della dinamica relazionale e comunicativa tra cittadini”(4). Un popolo federale europeo, inteso quale l’interazione tra i cittadini ed i popoli dei singoli Stati della Federazione Europea, esiste in quanto si nutre di un’identità su più livelli; e può emergere, oltre gli aspetti che di esso si stanno già manifestando, in quanto alimentato da una Costituzione che ne sviluppi pienamente le potenzialità. L’attuale Trattato Costituzionale non sembra in grado di adempiere a questo scopo; anche se, tra le sue pieghe, possono scorgersi aspetti significativi, almeno nel lungo periodo, soprattutto nei termini di un più ampio spazio di iniziativa per i cittadini.
La costruzione di un popolo federale europeo richiede “buone leggi” e il rispetto dei tempi della storia; ma l’Europa di oggi sembra in grado, grazie ai suoi cittadini, cui il MFE ha storicamente scelto di appellarsi, di rispondere ad una sfida che, per riprendere Kant, non è solo europea, ma cosmopolitica. I dati del World Values Survey dell’Università del Michigan(5), curati dallo staff di Ronald Inglehart, si basano su di una massiccia campionatura dei valori di riferimento degli abitanti di molti dei Paesi del nostro pianeta, ed evidenziano differenze persistenti, tra Paesi (soprattutto nell’Europa dell’Est) nei quali continua a prevalere un orientamento alla sopravvivenza ed agli aspetti materiali, ed altri, più benestanti, all’interno dei quali si sono ormai affermati ideali postmaterialisti ed un’attenzione per il benessere e l’autoespressione. Un processo di convergenza, tuttavia, è in corso. Molti aspetti lasciano pensare che quel popolo europeo, cui il MFE si era già riferito con una storica campagna di Censimento Volontario del Popolo Federale Europeo, a partire dal 1963, stia emergendo sua sponte. Nell’attesa, però, che un’autentica Costituzione Federale possa dargli voce, in un mondo sempre più globale, incerto, rischioso, ed in attesa di risposte.
(2) Si pensi, un nome per tutti, a Polibio.
(3) Per Grimm e le argomentazioni del Tribunale Costituzionale Federale, cfr. G.Zagrebelsky, Diritti e democrazia nella Costituzione Europea, Laterza, Roma-Bari, 2003; per Dahrendorf, cfr. R.Dahrendorf, Dopo la democrazia, Laterza, Roma-Bari, 2001; per Rusconi, cfr. soprattutto G.E.Rusconi, Se cessiamo di essere una nazione, il Mulino, Bologna, 1993.
(4) Per Habermas, cfr. soprattutto J.Habermas, Perché l’Europa ha bisogno di una Costituzione, il Mulino, Bologna, 2001.
(5) Sui quali cfr. il sito www.worldvaluesurvey.org, o il più diretto http://wvs.isr.umich.edu/ringlehart/, sito di lettura più agevole e piacevole.
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Cittadinanza federale europea - 1° contributo:
- Cittadinanza nazionale e declino della democrazia
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_9338.html
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