Sfide globali e l'Onu non c'è
Nulla sarà più come prima: una frase che si pronuncia poche volte nell'arco della vita, già ritorna sulle nostre labbra, solo tre anni dopo l'attacco alle Torri. Quel disastro finì col dividere, questo unisce; fatto umano l'uno, della natura l'altro. Entrambi hanno sconvolto sicurezze e prodotto reazioni, militari o umanitarie. Entrambi richiedono anche una risposta politica. Il mito di un'originaria catastrofe naturale presente in culture tra loro lontanissime e apparentemente non comunicanti, può ben nascere da uno stesso fatto accaduto in tempi immemorabili. Popoli viventi a migliaia di chilometri di distanza possono essere stati colpiti, come oggi, da una medesima catastrofe, averne tratto una morale e poi trasformato entrambe in mito, ciascuno a suo modo.
Quelli erano popoli sparsi e senza consapevolezza reciproca, questi un popolo solo. Dunque la morale, anche politica, dovremmo trarla insieme.
Il terremoto che distrusse Lisbona nel 1755 animò soprattutto il dibattito dei filosofi, che in Europa erano una comunità. La politica mutò solo in Portogallo e nessuno propose che mutasse in Europa.
Oggi è diverso. Il mondo non è solo Europa, ma la Terra. L'umanità è più libera e più potente, ma soprattutto forma un'unica famiglia, pur eterogenea e litigiosa, articolata in duecento Paesi e seimila lingue. È accomunata non solo dal sapere e dal riflettere, ma anche dal fare e dal dovere. Onda anomala, origine delle vittime, pietà, immagini, sistemi di rilevazione sono globali. Ma disponibilità e governo di sistemi di allarme, medicinali, elicotteri, fondi per l'emergenza non sono attrezzati per il mondo, mentre lo sono entro i Paesi.
Dei due opposti atteggiamenti che, spesso confondendosi, animano la protesta sulla globalizzazione - ritirarsi nel locale, rafforzare il governo globale - è evidente che solo il secondo può far fronte a un evento che scuote metà della Terra sotto gli occhi dell'altra metà.
È l'Onu lo strumento politico di cui la comunità internazionale dispone per affrontare problemi che sono ormai del pianeta: sicurezza, conservazione della vita, solidarietà, legalità. L'inadeguatezza delle Nazioni Unite al compito resta drammatica. La riforma in discussione non la correggerà; la cambierà assai poco, mentre la morale politica dello tsunami è che occorrono decisivi passi per rafforzare e migliorare le istituzioni pubbliche globali.
L'Europa è assente, l'America indifferente, il resto del mondo impotente: compassioni immediate e mediatiche sì, rafforzamento dell'Onu no.
Vi è un compito per chi governa e uno per chi è governato, un appello alla coscienza degli uni e a quella degli altri. Ai governanti democratici, come a quelli autocratici, spettano decisioni coraggiose e forse impopolari per dare un soccorso adeguato, per usarlo correttamente, per assegnare all'Onu un ruolo pieno. Alla società civile spettano sì beneficenza privata, ma anche controllo democratico e mobilitazione in favore delle istituzioni internazionali.
In altri tempi, uomini di spirito profetico non avrebbero esitato a proclamare
provvidenziale la tragedia scatenata dalla natura, un segno inviato agli uomini affinché traessero un insegnamento. Blasfemo sarebbe apparso chi avesse negato ogni nesso tra il naturale, il soprannaturale e la responsabilità umana. Oggi neppure i religiosi sembrano osare tanto. Ma, nell'odierno mondo secolarizzato e scientifico, nulla vieta all'uomo - anzi lo impone ancor più che in quello impregnato di religiosità e di mistero - di trarre insegnamento da ciò che accade e dalle sofferenze patite.
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