Il Referendum sulla Costituzione europea in Francia

Il “sì” strumentale alla costruzione dell'Europa dei cittadini

18 maggio 2005
Paolo Acunzo

Il prossimo 29 maggio in Francia si vota per il Referendum sull’approvazione del Trattato che adotta la Costituzione europea. Questo voto, benché venga gestito su base nazionale, ha una importanza storica per l’integrazione di tutta l’Europa. Infatti già una volta nel 1954 la Francia non ratificò il trattato che istituiva la Comunità Europea di Difesa (CED) bloccando il processo d’integrazione, rilanciato solo qualche anno dopo grazie ai trattati di Roma, ma che non prevedevono quei legami in materia di politica estera e difesa comune proposti dalla CED di cui ancora oggi si sente la mancanza e la necessità.

Vi è il grave rischio che il 29 maggio si possa ripetere un risultato analogo, frenando di nuovo il lungo e faticoso processo d’integrazione europea. Infatti se è indubbio che le promesse e le speranze suscitate dalla Convenzione sul futuro dell’Europa sono state in gran parte disattese, è parimenti evidente che il trattato sottoposto a ratifica sia comunque un ulteriore passo in avanti verso la costruzione di una grande Europa condivisa.

Innanzitutto va sottolineato l’enorme valore politico di interpellare i cittadini su una scelta così importante per il nostro futuro. Il referendum confermativo è l’unico strumento attualmente a disposizione in grado di legittimare democraticamente questo testo. Sicuramente sarebbe stato auspicabile l’introduzione nei trattati comunitari dell’istituto del Referendum europeo, inutilmente invocato da molti, al fine di coinvolgere direttamente tutti i cittadini europei in modo paritario. Ciononostante i referendum nazionali consentono una grande partecipazione popolare, imponendo nelle agende di politica interna questioni che normalmente sarebbero trascurate e suscitando un vero dibattito pubblico sull’Europa. Come controprova possiamo prendere in considerazione l’esperienza virtuosa in corso in Francia, dove da mesi la stampa e il dibattito politico sono incentrati sul futuro internazionale del paese, a differenza del trascurato processo di ratifica italiano, dove uno svogliato atto formale delle camere è divenuto merce di scambio per bassi accordi elettorali nel governo.

Detto ciò credo che sia importante dissipare alcuni fattori di perplessità presenti nel dibattito francese. Prima di tutto lo stesso termine Costituzione: il vicepresidente della Convenzione Giuliano Amato, tra gli altri, ha varie volte affermato che “questa non è una costituzione in senso formale”, e probabilmente neanche in senso sostanziale, essendo l’ennesima riforma dei trattati dovuta dall’esigenza di trovare nuovi equilibri per una Europa che in circa 10 anni è passata da 12 a ben 25 stati membri. La questione di fondo, infatti, rimane sempre la stessa: come si pretende che i governi nazionali riescano a governare i processi economici, democratici, giuridici globali senza cedere parte “sensibile” della loro sovranità in una struttura comune super partes? Senza questo sostanziale passaggio di sovranità non si potrà avere altro che un ennesimo trattato internazionale (che per sua natura può entrare in vigore unicamente se viene approvato da tutti gli Stati coinvolti), all’interno del quale ogni governo può esercitare il potere di veto su decisioni comuni riguardo questioni essenziali come la politica estera, la fiscalità o altri temi ritenuti “sensibili per l’interesse nazionale”. Da ultimo la spaccatura nel vecchio continente sulla guerra in Iraq è stata solo l’ennesima dimostrazione della fragilità e scarso peso internazionale di una Unione europea priva di un vero governo politico comune.

Come si vede motivi per criticare questo trattato ce ne sono, e molti, ma oggi il dibattito politico in Francia non si basa su tali problematiche, ma vive sulla disinformazione e fraintendimenti che possono portare l’elettore a scelte non consapevoli. La sinistra che vuole “un’altra Europa” critica giustamente il trattato per la sua supposta debolezza in materia di diritti sociali e del lavoro. Francamente pare quanto meno anacronistico richiedere che per questi motivi si voti contro. Infatti se è vero che il nuovo trattato non apporti novità sostanziali nell’ambito del sociale, è anche vero che in caso di non adozione della costituzione si lascerebbe intatta la medesima disciplina dei trattati attuali. Anzi si impedirebbe di attribuire un sacrosanto valore giuridico alla Carta dei diritti dell’uomo firmata a Nizza, e ai relativi diritti universali sanciti da essa, grazie alla sua introduzione nella Costituzione. Inoltre in questo caso lo stesso dibattito sulla direttiva Bolkenstein è quanto meno fuorviante. Infatti essendo essa una direttiva della Commissione europea non ha nulla a che vedere con le sorti della Costituzione. Sarebbe paradossale se in Francia per questi motivi si andasse a votare contro per poi ritrovarsi i principi del liberismo sfrenato introdotti attraverso una direttiva, senza neanche avere le garanzie giuridiche sancite dalla Carta. L’eventualità è ampiamente verosimile visto che le direttive comunitarie vengono emanate sui trattati vigenti e non su quelli futuri ancora non in vigore.

Un altro tipico argomento del fronte del NO, il problema dell’allargamento dell’Unione, si poggia su un fraintendimento analogo. Infatti con il voto di maggio i francesi non si pronunciano se ampliare o meno la comunità ai nuovi 10 membri, essendo questi dal 1 maggio 2004 stati membri a tutti gli effetti, e neanche se aprire le porte ad altri che hanno chiesto di aderire. Ciò dipenderà unicamente dai negoziati della Comunità con i paesi richiedenti, che ad esempio nel caso della Turchia dovrebbero durare almeno 15 anni.

Sull’altra sponda il fronte del SI è gravemente penalizzato dal forte richiamo nazionalista e di consenso alla politica del governo che Jacques Chirac ha voluto imporre alla campagna referendaria. La questione da dirimere non è quella posta dal presidente francese su quale ruolo avrebbe la Francia in Europa se non venisse ratificato il nuovo trattato, ma bensì quale futuro attenderebbe l’Europa tutta. Ciò pare che è stato compreso da una grande parte della sinistra francese, sicuramente quella più impegnata nel socialismo europeo con personalità di prestigio come Jacques Delors o Lionel Jospin, dandone la plastica dimostrazione grazie al loro rinnovato impegno nella politica attiva a favore della ratifica francese.

Essendo consapevoli del fatto che questo nuovo trattato non sia all’altezza dei compiti che l’aspettano, al suo interno sono state previste delle innovazioni di ampio respiro da più parti ritenute altamente necessarie oltrechè utili. Non mi riferisco solamente al definitivo conferimento della personalità giuridica all’Unione Europea, concedendo finalmente all’Unione la facoltà giuridica di negoziare internazionalmente questioni di interesse comune. E neanche esclusivamente all’introduzione delle figure del Ministro degli esteri e del Presidente del Consiglio europeo con un lungo mandato, che dota finalmente la comunità di referenti riconoscibili, i quali possono parlare con una voce sola a nome di tutti.

Principalmente mi riferisco a quelle innovazioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni di Bruxelles, tentando di dare una risposta, ancora insufficiente ma sicuramente incoraggiante, al problema storico del deficit democratico. Innovazioni come l’introduzione dell’iniziativa legislativa popolare, che permetterà ad un milione di cittadini europei di presentare una proposta di legge comunitaria o la crescita del ruolo del Parlamento europeo, con l’estensione delle procedure di codecisione legislativa con il Consiglio, o la stessa semplificazione del meccanismo decisionale comunitario. In definitiva sono tutti elementi per i quali la Commissione Prodi si è aspramente battuta al fine di rendere l’intera macchina comunitaria più accessibile e comprensibile al cittadino.

Inoltre, personalmente non ritengo di secondaria importanza neanche l’inserimento nel trattato del cosiddetto diritto di recesso, il quale formalizza la facoltà di uno stato membro di negoziare l’uscita dalla comunità quando non ritenga più che la sua adesione sia coerente con il perseguimento dei propri obiettivi nazionali. Ciò formalizza giuridicamente il principio della libera adesione all’Unione e priva di uno strumento di pressione quei paesi che volessero ostacolare dall’interno l’integrazione comunitaria per finalità meramente nazionali.

Dunque la ratifica del Trattato che adotta la Costituzione europea non è certamente il passaggio finale per la costruzione di una nuova Europa politica e federale, ma al suo interno sono già previsti gli strumenti giuridici che potrebbero contribuire a costruirla. La consapevolezza di tale limite è dimostrata altresì dal meccanismo previsto dalla stesso trattato di rilanciare il processo costituente anche attraverso l’impulso determinante del Parlamento europeo, organo rappresentativo comunitario per antonomasia.

Dall’altra parte coloro che osteggiano la ratifica della costituzione europea dovrebbero spiegare quali prospettive si aprirebbero, in caso di mancata adozione, per coloro che non volessero ricadere in un gretto nazionalismo, dove gli scenari continentali tornerebbero ad essere determinati nelle chiuse stanze delle cancellerie. Difficilmente, infatti, gli stessi governi e classe politica che ha redatto questo testo avrà la volontà e la forza politica di andare oltre ad esso. Probabilmente si verificherebbe la cristallizzazione dello status quo, ovvero di quella Europa impotente internazionalmente e lontana dai cittadini che i fautori progressisti del NO giustamente contestano. Ma non sarebbe invece più saggio per tutte le forze sinceramente integrazioniste adoperarsi a favore di un SI strumentale alla costruzione di “un’altra Europa” dei cittadini?

Paolo Acunzo

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