Kivuli, una casa di accoglienza al servizio degli ultimi
Vivo a Kivuli, un centro al servizio dei giovani e dei bambini di strada della periferia di Nairobi. La mia è una delle poche case a due piani di tutta la zona. Stamattina guardo dalla finestra e vedo che la pioggia, che ha imperversato tutta la notte, com’è normale per il mese di dicembre, sta per finire. Mi decido ad andare a comperare pane e latte per la colazione di due ospiti arrivati ieri sera.
Una buona metà della strada è trasformata in torrente. Eppure, nonostante non siano ancora le sette e il sole faccia fatica a farsi vedere fra nuvoloni neri, Kabiria Road è già affollata. I poveri si alzano presto, in cerca di lavoro.
Irene ha forse trent’anni, non ha marito ma ha due figli. Protegge le rotonde e abbondanti forme con un impermabile di plastica trasparente, e saltella per evitare le pozzanghere. Sorride felice, e mi annuncia “Padre, ho trovato lavoro in un supermercato per queste due settimane prima di Natale. Sto vicino alla cassa a mettere nei sacchetti di plastica la spesa dei clienti. Potrò fare un regalo ai miei bambini”.
Anche Chandaria è contento. Lo noto già quando è ancora molto lontano perchè volteggia sulle stampelle con la disinvoltura di un trapezista. Chandaria è un Nuba del Sudan di poco piu di vent’anni. Da piccolo è stato colpito da una poliomielite che gli ha completamente atrofizzato le gambe. Quattro anni fa, trascinandosi con le mani per i sentieri rocciosi, ha cominciato a frequentare la scuola che Koinonia ha aperto nel suo villaggio. Appena possibile l’ho portato a Nairobi e fatto operare da un dottore italiano che è riuscito a metterlo in condizione di camminare con le stampelle. “Ma dove vai Chandaria a quest’ora e con questo tempo?” “Beh, non vado da nessuna parte, sto solo facendo pratica per come usare le stampelle su una strada fangosa”. E’ felice, perche riesce finalmente a camminare eretto, e da solo.
Schivo un’enorme pozzanghera, e incontro Pierre, rwandese. E’ fuggito dal suo paese dieci anni fa, durante il genocidio. Non ha documenti, tanto meno un permesso di lavoro, ma la sua arte di scultore del legno gli permette di vivere decorosamente. Nelle ultime settimane ha preparato e venduto moltissimi presepi. Mi saluta e mi dice che sta andado alla stazione dell’autobus, a ricevere un nipote che “dovrebbe arrivare oggi dal Rwanda”. Un altro? “Certo, come potrei non aiutare i miei familiari!”
Arrivo finalmente alla baracca di Joan, che serve da casa e da negozio. Tutte le merci esposte, protette da un telo di plastica perchè il tetto non è affidabile, avranno un valore complessivo di 30 euro. Ma c’è anche quello che cerco, pane e latte. Joan non c’è, c’è il marito, Tony, che mi saluta affabile come sempre, ma ha l’aria stanca. Sono una coppia giovanissima, entrambi poco piu che ventenni. Solo alla mia domanda se c’è qualcosa che non va, Tony bisbiglia "Joan è all’ospedale. Il nostro secondo figlio è morto tre giorni dopo il parto. Ci hanno chiesto di fare l’esame del sangue e han trovato che siamo entrambi sieropositivi. Padre, prega per noi".
Sulla via del ritorno, col pane e il latte, incrocio dei bambini di strada che sono arrivati da poco nel nostro quartiere. Sono un decina, dagli otto ai dodici anni, vestiti di stracci, e molti hanno in mano la bottiglietta di colla da sniffare. Dove avranno dormito stanotte con quella pioggia battente? Avranno mangiato qualcosa? Ma loro non mi chiedono niente, mi sorridono, mi salutano per nome, alcuni mi danno la mano, e continuano la loro strada, come se avessero un importante impegno da mantenere.
E’ un giorno come tanti altri per la gente di Kabiria Road. La vita quotidiana di migliaia di persone come me, con lo stesso diritto che ho io alla salute, alla dignità, alla vita.
A Kivuli i bambini sono già tutti alzati... Stanno facendo le pulizie. Oggi si faranno le prove dei canti natalizi e si comincerà ad allestire il presepio, con le grandi statue di legno scolpite da Pierre apposta per noi.
Oscar, che è ospite di Kivuli da sette anni - metà della sua vita - viene verso di me, mentre metto il latte sul fuoco e mi domando: Signore, come annunciare il tuo Natale a questi miei vicini di casa? Poco piu di un mese fa il Papa ha detto che vorrebbe convocare un secondo Sinodo africano. Il primo, tenutosi dieci anni fa, dobbiamo avere l’onestà di ammetterlo, non ha cambiato molto il volto della Chiesa africana. Abbiamo sempre piu urgente bisogno di una Chiesa che esca di casa, che cammini per il quartiere, che si confronti con la povertà, le guerre, i rifugiati, l’AIDS. La gente di Kabiria Road ha bisogno di incontrare un Gesù capace di parlare del mistero di Dio, della Sua paternità e della Sua misericordia, della fame e sete di giustizia. Io certamente non ne sono capace.
Oscar mi guarda così come solo i bambini sanno fare, con negli occhi tutta la fiducia del mondo. “Padre, per Natale perché non prendiamo con noi quei bambini che sono appena passati?”
Posso dire ad Oscar che non ci sono più fondi? O gli racconto le teorie sulla globalizzazione e sul progressivo impoverimento dei poveri? O istituiamo a Kivuli un corso sulla dottrina sociale della Chiesa? Un seminario sul rapporto fra debito estero e corruzione in Kenya? Tutte cose belle, da fare, magari alcune le facciamo già, ma che non risponderebbero alla domanda di Oscar.
Forse è meglio restare in silenzio, e leggere ad Oscar il racconto del Natale e di Erode, lasciare che sia la sapienza del vangelo a fargli capire il gioco della vita e della morte, dell’impegno e della vigliaccheria, delle carezze e delle armi, dell’amore e dell’odio.
Ma non può essere un silenzio vuoto. Dopo, insieme a Oscar, devo ritrovare quei bambini e portarli qui.
Per aiutare i bambini di Kivuli basta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato ad Amani Onlus - Ong, via Gonin 8 - 20147 Milano o sul c/c bancario n. 000000503010 Banca Popolare Etica ABI 05018 - CAB 12100 - CIN G - EU IBAN IT93 G050 1812 1000 0000 0503 010
Il testo di padre Kizito è stato pubblicato sul numero di Famiglia Cristiana attualmente in edicola.
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