Ricostruire l'Iraq

Business ad alto rischio

Sono le 8.40 di mattina e la sala da ballo dell'Hotel Sheraton letteralmente tuona alla detonazione di esplosivi al plastico contro il metallo.
No, questo non e' lo Sheraton di Bagdad, e' quello di Arlington, in Virginia. E non si tratta neppure di un reale attacco terroristico, ma di una prova.
Lo schermo di fronte alla sala trasmette la pubblicita' di "contenitori per l'immondizia a prova di bomba". [...]
23 gennaio 2004
Naomi Klein
Fonte: The Nation
http://www.thenation.com/doc.mhtml?i=20040105&s=klein - 18 dicembre 2003

Sono le 8.40 di mattina e la sala da ballo dell'Hotel Sheraton letteralmente tuona alla detonazione di esplosivi al plastico contro il metallo.
No, questo non e' lo Sheraton di Bagdad, e' quello di Arlington, in Virginia. E non si tratta neppure di un reale attacco terroristico, ma di una prova.
Lo schermo di fronte alla sala trasmette la pubblicita' di "contenitori per l'immondizia a prova di bomba": ci viene detto che questo bidone per la spazzatura e' cosi' resistente da poter sopportare l'esplosione di una bomba al plastico del temibile tipo C4. Il suo produttore e' convinto che se gli daranno anche solo mezza chance, questi ultimi nati della sua azienda andranno a ruba a Bagdad come fossero dolciumi, e li potremo trovare alle fermate degli autobus, nei depositi di armi e si', anche negli hotel a tre stelle. Disponibili nei colori esclusivi verde scuro, viola intenso e rosso rame.

da http://www.salon.com/ Questo e' "Rebuilding Iraq 2", Ricostruire l'Iraq 2, una convention di 400 uomini d'affari che fremono per aver parte nell'opera di ricostruzione dell'Iraq. Sono qui per incontrare chi ci mettera' i soldi, specialmente quei 18.6 miliardi di dollari di contratti che verranno assegnati a societa' dei paesi "partner della coalizione" nei prossimi due mesi.
Le persone da incontrare provengono dalla Coalition Provision Authority, CPA (Autorita' Provvisoria della Coalizione), dal suo Program Management Office (Ufficio Gestione Programmi), dagli Army Corps of Engeneers (Corpi Ingegneri dell'Esercito), dalla US Agency for International Development (Agenzia USA per lo Sviluppo Internazionale), la Halliburton, la Bechtel e i membri del Consiglio di governo ad interim iracheno. Questi sono iprotagonisti che partecipano alla conferenza, ed ai delegati e' stato promesso che avranno modo di avvicinarli in apposite e regolari "pause per fare networking", cioe ' per tessere contatti.

Fino ad ora si sono gia' svolte decine di fiere commerciali su questo stesso genere, dedicate alle opportunita' di affari che si sono create a seguito della distruzione dell'Iraq, e tenute in sale da ballo di hotel da Londra ad Amman.
A quanto pare, nei primi meeting pulsava quella specie di euforia da ubriacatura di denaro che non si era piu' vista dai giorni inebrianti che precedettero il fallimento delle societa' "Dot.com". Tuttavia, presto diventa evidente che in "Ricostruire l'Iraq 2" c'e' qualcosa che non va. Certo, gli organizzatori si sprecano secondo copione sul fatto che "i costi per la ricostruzione non militare potrebbero arrivare a 500 miliardi di dollari", e che questo e' "il piu' grande sforzo di ricostruzione da parte del governo dai tempi in cui gli Americani contribuirono alla ricostruzione della Germania e del Giappone dopo la II Guerra Mondiale".

Ma nonostante i loro sforzi, in mezzo a questa folla, che, ancora bisognosa di una buona dose di caffe', fissa perplessa i cassonetti dell'immondizia che vengono fatti esplodere, serpeggia uno stato d'animo piu' simile alla bieca determinazione che non allo spirito della corsa all'oro.
I "frivoli" discorsi sulle opportunita' del mercato nelle cosiddette "aree vergini" sono state soppiantate da serie discussioni sulle assicurazioni contro morte improvvisa; l'entusiasmo per il facile denaro proveniente dal governo ha lasciato il passo alla controversia sulle societa' straniere estromesse dalle gare d'appalto; l'esuberanza suscitata dalle leggi d'investimento ultra liberali di Paul Bremer, capo dell'Autorita' Provvisoria della Coalizione (CPA) , e' stata frenata dal timore che quelle leggi possano essere eliminate da un eventuale governo iracheno insediatosi in seguito ad elezione diretta.

Finalmente, alla conferenza "Ricostruire l'Iraq 2", svoltasi il 3 e 4 dicembre scorsi, sembra che anche al popolo degli investitori sia balenata l'idea che l'Iraq non e' solo uno "stimolante e appassionante mercato emergente", ma e' anche un paese sull'orlo di una guerra civile. Da quando gli iracheni hanno cominciato a protestare contro i licenziamenti dalle agenzie di stato e a richiedere in maniera sempre piu' pressante le elezioni generali, e' apparso chiaro che le convinzioni della Casa Bianca prima della guerra, in base alle quali gli iracheni avrebbero accolto la trasformazione del loro paese in un paradiso del libero mercato, potrebbero rivelarsi tanto fuori portata quanto le previsioni che i soldati americani sarebbero stati salutati con lanci di fiori.

Faccio notare ad un delegato che queste paure sembra possano affievolire lo spirito capitalista. "Il momento migliore per investire e' quando c'e' ancora sangue per terra", mi assicura. "Lei andra' in Iraq?", domando. "Io? No, non potrei fare questo alla mia famiglia".

Quel delegato evidentemente doveva essere ancora scosso dopo l'intervento pomeridiano dell'ex ufficiale CIA John Mac Graffin, che aveva arringato la folla dei presenti con lo stesso tono da sergente di addestramento da film di Holliwood. "Gli obiettivi civili siamo noi!", aveva tuonato. "Noi siamo nell'occhio del ciclone.Dovete mettere la sicurezza al centro delle vostre operazioni!." Fortunatamente per noi, la societa' di Mac Graffin, il gruppo AKE, offre soluzioni totali anti terrorismo, dalle armature alle evacuazioni d'emergenza.

Anche Youssef Sleiman, amministratore delegato della Iraqi Initiatives (Iniziative Irachene) per la societa' Harris, guarda alla violenza con occhio imprenditoriale. Si', gli elicotteri cascano, ma "per ogni elicottero che casca sara' pronto un rifornimento sostitutivo".

Comincio a notare che molti dei delegati a "Ricostruire l'Iraq 2" sfoggiano lo stesso look: capelli a spazzola stile militare con abiti scuri da uomo d'affari. Il guru di questa banda e' il Generale Maggiore in pensione Robert Dees, ultimo acquisto della Microsoft, direttamente dall'esercito, per guidare il dipartimento "strategie di difesa" della societa'. Dees dice alla folla che la ricostruzione dell'Iraq ha un significato speciale per lui, perche'.beh', lui e' uno di quelli che lo hanno distrutto. "Sono in questo progetto con tutto il cuore e con tutta l'anima, perche' sono stato uno dei principali pianificatori dell'invasione" dice con orgoglio. La Microsoft sta contribuendo a sviluppare una struttura di "e-government", cioe' infrastrutture digitali computerizzate per il governodell'Iraq, anche se Dees deve ammettere che si tratta di un progetto un po' fuori portata, dal momento che, con un gioco di parole, si puo' dire che in Iraq non c'e' neppure un "g-government", per non parlare delle linee telefoniche.

Pazienza, nessun problema. La Microsoft e' determinata a partecipare fin dalla prima fase di questa impresa. La societa' del resto e' in stretto contatto con il Consiglio del Governo Iracheno, tanto che uno dei suoi dirigenti, Haythum Auda, durante la conferenza ha svolto il ruolo di traduttore ufficiale per il Ministro del Lavoro e degli Affari Sociali del Consiglio, Sami Azara al-Ma'jun. "Non c'e' affatto odio contro le forze di coalizione", dice al-Ma'jun tramite Auda. "Le forze distruttive sono una minoranza e in breve vi sara' posta fine.Sentitevi sicuri di voi per la ricostruzione dell'Iraq!".

Gli interventi di una sessione sulla "Gestione dei Rischi" danno pero' un messaggio diverso: abbiate paura nella ricostruzione dell'Iraq, abbiate molta paura. Contrariamente ai precedenti interventi, la preoccupazione di questi ultimi non sta negli ovvi rischi di carattere fisico, bensi' nei potenziali rischi economici. A parlare, sono i broker delle assicurazioni, gli implacabili mietitori di questa corsa all'oro iracheno.

D'altronde, risulta che ci sia qualche ostacolo significativo alla realizzazione dell'audace piano di Paul Bremer di mettere all'asta l'Iraq mentre e' ancora sotto occupazione: le compagnie assicurative infatti non hanno intenzione di seguirlo. Fino a non molto tempo fa la questione di chi avrebbe assicurato le multinazionali in Iraq non era pressante. I maggiori imprenditori per la ricostruzione, come Bechtel, sono coperti dalla compagnia assicuratrice USAID contro "rischi dovuti a pericoli straordinari" incontrati sul campo. E l'opera per l'oleodotto Halliburton e' coperta da una legge fatta passare da Bush il 22 Maggio, che assicura l'intera industria petrolifera contro "qualsiasi confisca, giudizio, decreto, addebito, sequestro, espropriazione o altro procedimento giudiziario".

Ma con le prime offerte per il rilevamento delle aziende di stato irachene, e le banche straniere pronte ad aprire filiali a Bagdad, improvvisamente il problema delle assicurazioni e' diventato urgente. Molti relatori ammettono che i rischi economici ad andare in Iraq senza copertura assicurativa sono enormi: aziende privatizzate potrebbero essere rinazionalizzate, la regolamentazione della proprieta' straniera potrebbe essere nuovamente istituita e i contratti firmati con l'Autorita' Provvisoria della Coalizione (CPA) potrebbero essere stracciati.

Normalmente le multinazionali si proteggono da questo genere di rischi acquistando assicurazioni contro "rischi politici". Prima di assumere il ruolo principale in Iraq, il mestiere di Bremer era proprio questo: vendere assicurazioni contro rischi politici, di espropriazione e terrorismo per la Marsh & McLennan, la piu' grande agenzia di intermediazione assicurativa del mondo. Tuttavia in Iraq Bremer ha fatto da supervisore alla nascita di un clima d'affari cosi' instabile che gli assicuratori privati, compresi i suoi vecchi colleghi della Marsh & McLennan, non hanno nessuna intenzione di correre il rischio. L'Iraq di Bremer a quanto si dice, e' in effetti non-assicurabile.

"L'industria assicurativa non si e' mai trovata ad essere cosi' esposta prima d'ora", dice con tono apologetico R. Taylor Hoskins, vice presidente della compagnia assicurativa internazionale Rutherford International. Steven Sadler, amministratore delegato e presidente della Marsh Industry Practices, un societa' della vecchia compagnia di Bremer, e' ancora piu' distaccato. "Non guardate all'Iraq per trovare una soluzione attraverso le assicurazioni. L'interesse e'molto, molto, molto limitato. C'e' un potenziale e un interesse molto limitato in questa regione".

E' chiaro che Bremer sapeva che l'Iraq non era pronto per essere assicurato: quando firmo' l'Ordine 39, che apriva gran parte dell'economia dell'Iraq al possesso straniero al 100%, l'industria assicurativa venne appositamente esclusa. Chiedo a Sadler, un clone di Bremer con i capelli lisciati indietro e la cravatta rosso fuoco, se non gli pare strano che un ex dirigente della Marsh & McLennan possa aver sottovalutato il bisogno degli investitori di essere coperti da una assicurazione prima di entrare in una zona di guerra. "Beh'," dice, "lui ha molte questioni da affrontare sul tavolo". O forse ha solo migliori informazioni.

Proprio quando lo stato d'animo di "Ricostruire l'Iraq 2" non avrebbe potuto trovarsi piu' in basso, sale sul podio Michael Lempres, vice presidente delle assicurazioni dell'Overseas Private Investment Corporation, OPIC, societa' di Investimento Privato Oltremare. Ostentando una sicurezza che era stata fino ad ora totalmente assente dalle riunioni, caratterizzate piuttosto da psicosi post-bombardamento, annuncia che gli investitori possono rilassarsi: lo "Zio Sam" li proteggera'.

L'OPIC e' un'agenzia del governo USA che offre prestiti e assicurazione alle compagnie statunitensi che investono all'estero. E se da una parte Lempres e ' d'accordo con i relatori che lo hanno preceduto sul fatto che in Iraq i rischi sono "straordinari e inusuali", dall'altra dice che "l'OPIC e' diverso. La nostra esistenza non ha come scopo primario creare profitti". Al contrario, l'OPIC esiste allo scopo di "sostenere la politica estera USA". E dal momento che uno dei principali obiettivi della politica di Bush e' di trasformare l'Iraq in zona di libero scambio, l'OPIC sara' li', pronta ad aiutare.
Quello stesso giorno, qualche ora prima, Bush aveva firmato la legislazione che assicurava "miglioramenti all'agenzia per il suo programma di assicurazione contro i rischi politici", secondo la notizia diffusa da un comunicato stampa dell'OPIC.

Forte di questo chiaro mandato politico, Lempres annuncia che l'agenzia e' ora "disponibile per affari" in Iraq, ed offre finanziamenti e copertura assicurativa anche contro i rischi piu' pericolosi, quelli politici. "Questa e' una priorita' per noi", dice Lempres, "Vogliamo fare tutto il possibile per incoraggiare gli investimenti USA in Iraq".

Questa notizia, ancora non diffusa sui giornali, sembra cogliere di sorpresa anche i delegati di piu' alto livello. Dopo il suo intervento Lempres viene avvicinato da Julie Martin, una specialista in rischi politici della Marsh & McLennan.

"E' vero?" domanda lei.

Lempres annuisce. "I nostri legali sono pronti".

"Sono esterrefatta" dice Martin. "Voi siete pronti? E non ha importanza chi sia al governo?".

"Noi siamo pronti", afferma Lempres. "Se avviene un esproprio il 3 gennaio, noi siamo pronti. Non so cosa faremo se qualcuno investe a fondo perduto un miliardo di dollari in un oleodotto e avviene un esproprio".

Lempres non sembra troppo preoccupato al pensiero di questi possibili "espropri", ma in realta' si tratta di una faccenda seria. Secondo il suo mandato ufficiale, l'OPIC funziona "grazie ad auto finanziamento a costo netto zero per i contribuenti". Ma Lempres deve ammettere che i rischi politici in Iraq sono "straordinari". Se un nuovo governo iracheno dovesse espropriare e istituire nuove regolamenti generali, l'OPIC potrebbe essere costretto a risarcire decine di societa' USA per miliardi di dollari di investimenti ed entrate andate perse, forse addirittura per decine di miliardi di dollari. Cosa succederebbe poi?

Quella sera al ricevimento sponsorizzato dalla Microsoft nella Sala da Ballo Galaxy, Robert Dees ci esorta "a costruire contatti per conto del popolo iracheno". Aspetto il mio turno e chiedo a Lempres cosa succederebbe se "il popolo iracheno" decidesse di riappropriarsi della propria economia a discapito di quelle aziende USA che lui ha cosi' generosamente assicurato. Chi tira fuori dai guai l'OPIC?. "In teoria", dice, "Il Ministero del Tesoro ci sostiene". In altre parole, i contribuenti americani. Si', di nuovo loro, le stesse persone che hanno gia' pagato la Halliburton, la Bechtel e altri per fare scempio della ricostruzione irachena, dovrebbero pagare queste societa' di nuovo, questa volta per risarcire le loro perdite. Mentre gli enormi profitti che vengono fatti in Iraq sono strettamente privati, viene fuori che tutti i rischi sono addossati sui pubblici cittadini.

Per le societa' non statunitensi presenti, l'annuncio dell'OPIC e' solo rassicurante. Dato che solo le societa' USA possono usufruire dell'assicurazione OPIC, e gli assicuratori privati ne rimangono fuori, come possono competere? La risposta e' che probabilmente non possono. Alcuni paesi potrebbero decidere di eguagliare il programma per l'Iraq dell'OPIC. Ma a breve termine, non solo il governo USA ha impedito alle societa' di paesi che "non fanno parte della coalizione" di competere con le compagnie USA per i contratti, ma si e' anche assicurato che le compagnie straniere cui e' permesso di gareggiare, quando lo fanno partano seriamente svantaggiate.

La ricostruzione dell'Iraq si e' dunque presentata come un racket protezionistico ad ampio raggio, un New Deal (Nuovo Corso) neoconservatore in grado di trasferire illimitati fondi pubblici ad aziende private sotto forma di contratti, prestiti e assicurazioni; e che riesce perfino a liberarsi della competizione straniera vestendo i panni della "sicurezza nazionale".
Ironicamente a queste societa' viene offerta questa forma di assistenza corporativa cosicche' possano godere di tutti i vantaggi delle leggi imposte dall'Autorita' Provvisoria di Coalizione (CPA), che in maniera sistematica strappano all'industria irachena ogni misura di protezione, dalle tasse di importazione ai limiti sul possesso straniero. Michael Fleisher, capo dello sviluppo del settore privato per l'Autorita' Provvisoria di Coalizione (CPA), recentemente ha spiegato ad un gruppo di uomini d'affari iracheni perche' queste forme di protezionismo dovessero essere eliminate. "Gli affari tutelati dal protezionismo non diventano mai competitivi, mai" ha detto. Subito qualcuno lo ha detto all'OPIC e a Paul Wolfowitz.

La questione dei duplici standard USA viene nuovamente sollevata alla conferenza quando un rappresentante dell'Autorita' Provvisoria di Coalizione (CPA) sale sul podio. E' Carole Basri, consulente legale di Bremer, il suo messaggio e' semplice: la ricostruzione e' sabotata dalla corruzione irachena.
"La mia paura e' che la corruzione sara' la rovina", afferma minacciosamente, accusando del problema "una lacuna di conoscenze di almeno 35 anni" in Iraq che avrebbe reso gli iracheni "non consapevoli degli attuali standard nella contabilita' e delle idee contro la corruzione".
Gli investitori stranieri, sostiene, dovrebbero impegnarsi nell'"educazione, allo scopo di portare la gente agli standard mondiali".

E' difficile pero' immaginare a quali standard mondiali facesse riferimento, o chi esattamente dovrebbe farsi carico di tale processo educativo.
Forse la Halliburton, che in patria ha dovuto affrontare scandali sui suoi bilanci e che ha imposto un vergognoso sovrapprezzo sul gasolio in Iraq? O l 'Autorita' Provvisoria della Coalizione (CPA), con i suoi due funzionari sotto accusa indagati per aver preso tangenti e per inesistente supervisione fiscale?
Siamo arrivati all'ultimo giorno della conferenza "Ricostruire l'Iraq 2": il titolo di copertina della copia del Financial Times (sponsor della conferenza) offertaci in omaggio recita "Fondi di investimento Boeing legati a Perle".
Forse Richard Perle, che appoggio' l'accordo da 18 miliardi di dollari con la Boeing per le aerocisterne di rifornimento ad ha sottratto alla Boeing 20 milioni di dollari per il suo personale fondo d'investimento, puo' insegnare ai politici iracheni a smettere di richiedere "commissioni" in cambio di contratti.

Per gli espatriati iracheni presenti nel pubblico e' dura ascoltare fino in fondo la lezione di Basri.
"Onestamente", afferma Ed Kubba, consulente e membro della Camera di Commercio Americano Irachena, "non so dove sia il confine tra affari e corruzione". Ed Kubba punta il dito contro le societa' USA che subappaltano per una parte minima di quanto sono pagate, immense opere di ricostruzione finanziate dai contribuenti, per poi intascare la differenza. "Se tu prendi 10 milioni di dollari dal governo USA e poi subappalti l'opera ad aziende irachene solamente per un quarto di milione di dollari, si tratta di affari o di corruzione?".

Erano su questo tono le domande scomode affrontate da George Sigalos, direttore delle relazioni con il governo per la Halliburton KBR. Nelle gerarchie delle ricostruzione irachena, la societa' Halliburton e' il monarca, e Sigalos domina la scena recitando la sua parte, appesantito da un anello con pietra preziosa e gemelli d'oro. Ma i suoi "servi" cominciano a spazientirsi, e la sala si trasforma rapidamente in un gruppo di sostegno per futuri subappaltatori piantati in asso.

"Signor Sigalos, che cosa dovremmo fare per ottenere qualche subappalto?".

"Signor Sigalos, quando ha intenzione di assumere qualche iracheno in ruoli di amministrazione e direzione?".

"Ho una domanda per il Signor Sigalos. Vorrei chiedere, che cosa suggerirebbe quando l'esercito dice: 'Andate alla Halliburton' e dalla Halliburton non c'e' alcuna risposta?".

Sigalos pazientemente da' istruzioni a tutti di iscrivere le loro societa' sul sito web della Halliburton. Quando pero' questi ribattono che lo hanno gia' fatto e ancora non hanno avuto risposta, Sigalos li invita a "avvicinarmi piu' tardi".

La scena che si apre piu' tardi e' in parte una seduta per la firma degli autografi da parte delle celebrita' e in parte una rissa. Sigalos e' pressato nella calca da almeno 50 uomini che sgomitando cercano di raggiungere il Vice Presidente della Halliburton per coprirlo di CD-Rom, progetti d'affari e curricula.
Quando Sigalos riesce finalmente a individuare l'insegna della Volvo, sembra sollevato. "Volvo! Conosco la Volvo. Mandatemi qualcosa su quanto potete realizzare nella regione."
Invece, ai piccoli partecipanti senza nome che hanno pagato 985 dollari di tassa di iscrizione, e che sono qui per piazzare generatori di corrente portatili e pannelli elettrici di controllo, viene detto nuovamente di "iscriversi al nostro ufficio di approvvigionamento".
Si stanno accumulando immense fortune in Iraq, ma sembra che siano totalmente fuori dalla portata di tutti, tranne che di pochi eletti.

La prossima sessione sta cominciando e Sigalos deve affrettarsi. I "servi" si allontanano vagando tra l'esposizione di vetrate infrangibili e cassonetti dell'immondizia a prova di bomba, accarezzando il biglietto da visita bianco e rosso di Sigalos, con aria preoccupata.

Note: Traduzione a cura di Paola Merciai per PeaceLink.

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