I retroscena di una campagna mediatica

L'opinione pubblica non deve capire un tubo

Occorre assolutamente costruire dei rigassificatori. Altrimenti con i soli gasdotti rimarremo senza metano. È una cosa evidente. Lo dimostra la carenza di gas di questi giorni. È bastato un inverno più freddo in Russia per avere meno metano per riscaldarci. Il nostro sviluppo economico rischia la paralisi. Ma è proprio così che stanno le cose?
17 febbraio 2006

Posa di un tubo per un gasdotto in Germania. Guardate la televisione e non faticherete a convincervi.

"È assurdo - ha detto Prodi - che non abbiamo punti di importazione di gas liquefatto, a parte quello di Panigaglia, in modo da diversificare i nostri rifornimenti. Non possiamo dipendere soltanto o principalmente dalla Russia, dobbiamo avere delle fonti che dipendano da diversi paesi".

Occorre quindi assolutamente costruire dei rigassificatori. Altrimenti rimarremo senza metano. È una cosa evidente. Lo dimostra la carenza di gas di questi giorni. È bastato un inverno più freddo in Russia per avere meno metano per riscaldarci. Il nostro sviluppo economico rischia la paralisi. In televisione continuano ad evidenziare che stiamo facendo ricorso alle scorte. Fino a quando potremo reggere questa situazione? Occorre far comprendere quanto sia sbagliata la posizione di quegli ecologisti che sollevano dubbi sul rigassificatore: facendo così essi ostacolano il metano che è una delle fonti energetiche più pulite di cui disponiamo.

Avete letto una breve rassegna sui luoghi comuni che in poche settimane una massiccia campagna mediatica ha coltivato nella mente di chi non ha il tempo di leggere, studiare e approfondire le questioni. Del resto l'opinione pubblica, sostiene Silvio Berlusconi sulla scorta degli studi statistici di alcuni esperti di comunicazione, ha l'intelligenza media di una ragazzino di 11 anni e, aggiunge, neanche troppo intelligente. Quindi basta poco per far passare idee così semplici. Né tutti hanno la voglia, il tempo o la possibilità di leggere diversi giornali, confrontarli, studiarli e sottolinearli per analizzare i retroscena dell’economia.

Interrogazione parlamentare 3-01471 del 18 marzo 2004 relativo allo sfruttamento di giacimenti petroliferi nella zona di Nasiriya.
Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, on. Ventucci, cosi' risponde:

"una iniziale bozza di accordo per lo sfruttamento dei campi petroliferi di Nasiriya fra ENI e gli enti competenti iracheni era stata parafata nel 1998 ed è poi stata modificata nel 2001.
Queste due bozze di accordo, che avevano permesso a suo tempo all'ENI di effettuare delle stime sulla capacità produttiva del giacimento in questione, valutata fra i 2,5 ed i 4 miliardi di barili in totale, non sono però mai state perfezionate attraverso la firma di un testo vincolante.
[...] la scelta di dislocare un contingente militare italiano nella zona di Nasiriya non è stata in alcun modo legata ad eventuali interessi ENI per i campi petroliferi esistenti in quel territorio."
"Siamo peraltro informati che, nel corso del 2003, l'ENI si è aggiudicata, conformemente a quanto disposto con la risoluzione 1483, un tender internazionale della Società irachena per il marketing di greggio (SOMO) per un totale di un milione di barili di petrolio ed ha inoltre concluso, sempre con la SOMO, un contratto per l'acquisto di 4 milioni di barili di petrolio."

Risposta alla quale replica l'on. Falomi [Gruppo misto]:
"Non è sufficiente affermare che il carattere della nostra missione è un altro e non ha alcun rapporto con la scelta di Nasiriya [...] Per difendere 20 milioni di aiuti umanitari si spendono 500 milioni di euro per truppe, armamenti e quant'altro: lo squilibrio è così palese ed evidente da rendere molto difficile l'attribuzione alla missione di un carattere umanitario.
Vi è poi un elemento specifico da cui nasce la nostra insoddisfazione: il 23 febbraio 2003 un'agenzia ANSA menzionava un dossier Iraq elaborato dal Governo, relativo ai piani dell'Esecutivo italiano per la ricostruzione dell'Iraq. La guerra non era ancora scoppiata, ma il Governo elaborava un dossier - la notizia non è mai stata smentita - che sarebbe interessante conoscere.
In esso si ipotizza che l'Italia, già presente con le iniziative dell'ENI a Nasiriya, possa giocare anch'essa un ruolo nell'ampliamento dell'estrazione petrolifera affinché l'Iraq divenga il Paese produttore capace di trarre i ricavi più elevati dall'esportazione del greggio. [...]
Il 30 maggio 2003, a guerra terminata (si fa per dire), una nuova agenzia ANSA riporta la notizia che il cane a sei zampe, vale a dire l'ENI, punta all'Iraq e partecipa alla corsa ai ricchi giacimenti dello Stato mediorientale, iniziata dopo la caduta del regime di Saddam. L'ENI si dice infatti pronta a cogliere l'occasione per lavorare nel Paese, ricordando di avere tutte le credenziali. Così spiega agli azionisti l'amministratore delegato Vittorio Mincato, che ricorda come già nel passato il gruppo avesse messo gli occhi sull'area irachena di Nasiriya."

Giacomo Alessandroni
Io invece ho avuto il privilegio di disporre di un intero pomeriggio libero, di ben tre quotidiani e dell'accesso ad Internet per cercarmi tutti i dati che volevo.

E ho scoperto che la propaganda pro-rigassificatori si nasconde più di una bugia. Vediamo il retroscena della carenza di gas attuale. Lo illustra un giornale tutt'altro che estremista, ossia Il Sole 24 ore: "L'Eni ha strozzato volutamente l'ampliamento del gasdotto algerino. Ha rallentato ad arte l'apertura dei tubi ai concorrenti. Ha chiuso, insomma, i rubinetti per difendere la propria supremazia", scrive Federico Rendina.

L'Eni ha determinato una "strozzatura" delle forniture nonostante l'Algeria volesse fornirci più gas. Ecco l'origine dei disagi attuali e della carenza di metano: "Tutto ciò rischia di sottrarre agli italiani – spiega Il Sole 24 ore – ben 9,8 miliardi di metri cubi di preziosissimo metano che poteva e doveva essere a disposizione del nostro mercato".
Informazioni simili le troviamo sul Corriere della Sera: "L'atteggiamento dell'Eni (gestione Mincato) avrebbe determinato il mancato afflusso in Italia di 9,8 miliardi di metri cubi di gas, quasi il 10% del fabbisogno nazionale".
La scelta di comprimere verso il basso le importazioni di metano "è figlia del timore di quella sovrabbondanza di fonti di energia che ha orientato dal 2002-2003 la politica del cane a sei zampe", si può leggere sulla pagina economica del Corriere della Sera.

Cosa significa tutto questo?

Significa quattro cose:

  1. non siamo di fronte ad una carenza di energia ma assistiamo ad una manovra speculativa per mantenere alti i prezzi e bloccare a terzi (ossia ai concorrenti) il trasporto di gas tramite il gasdotto TTPC dall'Algeria. Pertanto all'Eni è stata affibbiata una multa dall'antitrust di ben 290 milioni di euro, una delle più alte di tutta l'Europa;
  2. si può e si deve ottenere più metano anche senza rigassificatori. Costruirli non è sbagliato ma non è una priorità "totalizzante" e inderogabile senza la quale il paese sarebbe in ginocchio;
  3. opporsi ad un rigassificatore non significa opporsi al metano perché ve n'è in grande abbondanza tramite i gasdotti; del resto l'Algeria vuole aumentare le esportazioni verso l'Italia e aspetta solo il nostro assenso. Esce tanto di quel metano - mi ha spiegato un ingegnere del settore - che i tecnici sono costretti a reimmetterlo forzatamente nel sottosuolo;
  4. anche senza un rigassificatore si può essere "amici del metano", ossia delle fonti energetiche meno inquinanti.
Ne consegue che non si è "nemici della Patria" se si sollevano obiezioni fondate su un rigassificatore. A Taranto, ad esempio, sarebbe il decimo impianto ad alto rischio da sottoporre alla direttiva Seveso e la sua esplosione determinerebbe una reazione a catena.
Cosa ha capito il lettore attento dopo questa analisi? Che gli ecologisti critici su alcuni rigassificatori non vogliono il metano?
No. Il lettore attento ha capito che una grande bugia è stata comunicata in queste settimane: quella secondo la quale la mancanza di rigassificatori ha causato la mancanza di metano.

Questa cosa la può capire anche il ragazzino di 11 anni a cui fanno riferimento gli esperti di comunicazione che affiancano Silvio Berlusconi. Ma noi quel ragazzino di 11 anni lo stimoliamo a ragionare e lo vogliamo far diventare attento, informato, consapevole e intelligente. Gli vogliamo insegnare a leggere e non solo a guardare la televisione.

Accidenti, caro Prodi, mi assale un dubbio: è forse questa la ragione per cui la scuola pubblica è in crisi?

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