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Mai, prima dell’era industriale, l’uomo aveva potuto influire direttamente sul clima. Ha accarezzato l’idea, magari, ma non era riuscito a immaginare che le conseguenze del suo sviluppo potessero essere così devastanti per il clima terrestre.

"La storia del clima"

Pascal Ascot Ed
29 agosto 2004
Andrea Pinchera


Per molte pagine (tutta la prima parte, di fatto) il libro di Pascal Acot sulla storia del clima assomiglia piuttosto a una tradizionale storia della Terra. Giusto qualche spolverata di contesto climatico – il poco che ci è dato sapere, d’altra parte – giunge a illuminare il classico racconto dell’evoluzione della vita sul nostro pianeta. Intuiamo da diversi indizi che, per gran parte del tempo, la Terra ha avuto un clima più caldo di quello odierno, ma che da quando ha iniziato a prendere l’aspetto che conosciamo – e soprattutto da quando sono apparsi i primi esseri umani – diversi periodi glaciali si sono susseguiti. Una condizione così ricorrente che gli scienziati guardano a fasi come quella attuale – non a caso chiamate “interglaciali” – come a eccezioni, a piccole interruzioni di una vicenda che ha nel freddo il suo leit motiv. In tutto questo lunghissimo tempo, il clima ha scolpito il pianeta, caratterizzando l’evoluzione dei suoi abitanti e dell’uomo in particolare, che proprio da significativi cambiamenti climatici potrebbe avere ricevuto la spinta nella sua evoluzione da animale arboricolo a bipede.
Ma quando entra in campo l’uomo la prospettiva cambia completamente. La seconda parte del libro – “Il clima soffia sulla storia” – rappresenta effettivamente quel racconto promesso dal titolo. Acot - un filosofo e storico della scienza del Cnrs francese - segue le prime comunità umane nella loro rivoluzione neolitica, la diffusione dell’agricoltura e poi l’affermarsi del modello urbano. Racconta la storia dell’Optimum medievale – quel periodo caldo che avrebbe favorito la navigazione dei Vichinghi, ma anche i commerci lungo la Via della Seta – e indaga le relazioni climatiche delle carestie del Trecento e della “morte nera”, la spaventosa epidemia di peste che uccise un abitante su tre in Europa. Si immerge poi nella Piccola età glaciale, quella che si estende più o meno dal Quattrocento all’Ottocento, e che è così ben illustrata da certi quadri del pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio, con i paesaggi completamente ricoperti di neve, i laghi ghiacciati, brulicanti di un’umanità indaffarata a procacciarsi cibo e legna. Si sofferma sul mito del Generale inverno, sull’influenza del clima su avvenimenti militari come le invasioni della Russia da parte di Napoleone prima e Hitler poi.

Sulla scorta del famoso testo di Emmanuel Le Roy Ladurie - Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall’anno Mille -, Acot non cade nell’accattivante trappola del determinismo climatico, quella corrente di pensiero continuamente affiorante – da Charles Louis de Montesquieu al geografo statunitense Ellesworth Huntington – che tende ad attribuire al clima le principali svolte della storia. Dalla caduta dell’Impero romano alla Rivoluzione francese, per intenderci. Anche se, poi, è proprio il caso della presa della Bastiglia a seminare qualche dubbio: «Resta il fatto», scrive l’autore, «che la Rivoluzione francese comincia nel corso dell’estate 1789 e che, questa volta, gli storici più scrupolosi e più antideterministi ritengono che il clima abbia svolto un ruolo non trascurabile nel suo scoppio. Certo, “non trascurabile” è un’espressione molto vaga. Il fatto è che la storia non è una scienza in cui la sperimentazione permetta di far variare i parametri. Quindi è impossibile – a quanto pare – essere più precisi».

La terza e ultima parte – “Il riscaldamento climatico in discussione” – ci viene incontro con tutte le novità del caso. Mai, prima dell’era industriale, l’uomo aveva potuto influire direttamente sul clima. Ha accarezzato l’idea, magari, ma non era riuscito a immaginare che le conseguenze del suo sviluppo potessero essere così devastanti per il clima terrestre. E allora Acot abbandona la storia per descrivere gli scenari che si affacciano e capire cosa fare per evitare il ripetersi di calamità come quelle che hanno colpito il pianeta negli ultimi anni: El Niño più potente di sempre, l’uragano Mitch, i morti in Europa del 2003, gli atolli sott’acqua, ecc. «Qui non si tratta di pretendere di stabilire le responsabilità di questa o di quella persona in tali catastrofi, ma di meditare sulle due domande che da allora assillano la gente: “Cosa succederà nei prossimi decenni?” e, dato che le diverse ipotesi sono piuttosto inquietanti, “Possiamo porvi rimedio?”. Alle cause astronomiche (quelle sospettate di innescare le glaciazioni, ndr) probabilmente non c’è rimedio, perché non dipendono dalla specie umana. È possibile però agire sui fattori che dipendono da noi: le emissioni di gas a effetto serra di origine antropica, in particolare. Basterebbe? Non lo sappiamo. Siamo invece certi del fatto che, se non facciamo niente, la situazione si aggraverà ineluttabilmente».

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