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La scomparsa di Mario Fazio

Per difendere la bellezza, lanciò l’ecologia

Chiamato alla Stampa da Giulio De Benedetti fu tra i fondatori di "Italia Nostra"
6 aprile 2004
Alberto Sinigallia
Fonte: www.lastampa.it
5.04.04

Era un ligure di Alassio, innamorato della vela. Ma più che un lupo del suo mare, Mario Fazio - che il sei agosto avrebbe compiuto ottant’anni - sembrava un gentiluomo inglese: per l’alta statura, la pungente ironia, l’eleganza del tratto, i colori e la morbida lana delle giacche sportive. Dolce nei rapporti famigliari e d’amicizia, preciso, rigoroso sul lavoro, se addentava forte la pipa serrandola nella mano destra era segno di «marina torbida», d’imminente bufera, del prossimo scatenarsi di un’indignata battaglia in difesa dell’ambiente, di un paesaggio, di un sito archeologico, dei «piroterroristi» o degli idioti inceneritori di boschi. Mai per ragioni ideologiche. Sempre per ragioni concrete, verificate con serietà. Questa la sua regola, temprata dall’intenso mestiere giornalistico e da quello che era - e rimane - lo «stile Stampa». Fu il direttore Giulio De Benedetti ad arruolarlo nel nostro giornale e a far debuttare quel giornalista, professionista da sette anni, subito in «terza pagina», la vetrina delle grandi firme. Il 9 aprile 1957, accanto a Mario Gromo inviato a Tokyo, a Nicola Adelfi inviato a Madrid, al critico d’arte Marziano Bernardi, Fazio denuncia «la tragedia del verde a Sanremo» minacciata «da una malintesa febbre costruttiva». Sotto il forte titolo «Non si occupa di estetica chi fa i propri interessi», scrive: «I parchi e i giardini cedono a enormi palazzi, il verde scompare, il quadro naturale è modificato o soffocato... “La riviera dei fiori” rischia di diventare “la riviera del cemento”, mentre devastazioni più gravi sono minacciate da piani regolatori che prevedono la demolizione dei quartieri più antichi e caratteristici per far posto a piazze, strade, file di caseggiati». È un segno del destino. Fazio comincia una vigilanza giornalistica che non smetterà mai: investiga sulle coste liguri, accorre a smascherare gli scempi in Sardegna, si batte contro «la rapallizzazione dell’Italia marinara». Usa e diffonde una parola nuova: ecologia. Spiega che cosa sia l’ambientalismo agli albori. Diventa un prototipo del giornalista specializzato: aggiornato, documentato, con una scrittura esemplare per semplicità e chiarezza. Specializzato e temuto, combattuto. A metà degli Anni 50 fa parte di quel piccolo gruppo di intellettuali, capeggiati dallo scrittore Giorgio Bassani, che fonda Italia Nostra. S’inizia una lunga stagione di lotte contro il sacco urbanistico di Roma, la tentata lottizzazione del Parco nazionale d’Abruzzo, la rovinosa conduzione di molti musei, l’abbandono del patrimonio monumentale e artistico. Presidente di Italia Nostra dal 1986, nel ‘90 dopo un clamoroso furto a Ercolano chiede alla Procura della Repubblica di Roma di accertare «se esiste il reato di omissione di atti d’ufficio da parte dei responsabili del governo». Intanto dà uno scossone alla più vecchia associazione del mondo verde italiano, perché la sente «lenta e non al passo coi tempi»: «Non possiamo continuare a chiamarci un’associazione elitaria.... Accanto a un rilancio quantitativo vogliamo aprire a tutte le forze culturali più significative del Paese. Soprattutto artisti: pittori, scultori e tutti quelli che creano il nuovo. Non possiamo limitarci alla tutela dei prodotti artistici del passato. Deve esserci il confronto anche con gli architetti che non stanno dalla nostra parte, ma che comunque fanno cultura». Non smetterà mai il dialogo con gli architetti e gli urbanisti - tra i quali conterà avversari ma ancor più amici - sul giornale e con suoi libri editi da Einaudi. Non ha mai perso occasione per incitare a pacifiche ma necessarie civiche «rivolte»: non si rassegnava al divorzio fra arte e vita, fra architettura e vita, fra modernità e vivibilità. In Passato e futuro delle città, uscito nel 2000, Fazio allestisce un «Processo all’architettura contemporanea» colpevole di «periferie orribili, dormitori disumani, degrado» e di aver disprezzato le «new towns» inglesi che a suo avviso sarebbero state e potrebbero tuttavia essere una via di salvezza quali «vere e proprie città, abitate con soddisfazione, ricche di verde e di servizi». Preoccupato da ogni segnale d’inquinamento, ne indagava le cause, senza però perdere l’occasione di andare a vedere dove si inventassero soluzioni, dove si creassero materiali biodegradabili per «allontanare la trasformazione del mondo in pattumiera». Sapeva quanto il problema dell’inquinamento dipenda dal problema delle fonti di energia e dai poteri che le governano. Con un libro-inchiesta, L’inganno nucleare, nel 1978 aveva fornito «notizie nascoste dai governi» che riproponevano la scelta atomica come unico scampo alla temuta carestia energetica, «l’atomo o la povertà e il ritorno al lume di candela». Smascheratore anche d’altri inganni, Mario Fazio stanco di guerra si riposava tra i libri dello studio nella vecchia Genova. O, sempre di più, si rifugiava nella sua Alassio: in barca, a messa, due chiacchiere con la pescivendola Aurelia e il tramonto stupendo goduto dalla casa in collina che domina il golfo. Il premio insuperabile per il giornalista e scrittore che per tutta la vita ha difeso la bellezza.

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