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Ieri in tutto il mondo è stata celebrata la giornata internazionale contro le grandi opere per ricordare che, o lo sviluppo è sostenibile anche per gli esseri umani, o non è sviluppo

Il popolo delle dighe

15 marzo 2004
Sabina Morandi

The giant Narmada Dam sweeps away small farmers with their dwellings. Photo: Ian Berry/Magnum
Quando si incontrarono per la prima volta a Curtiba, in Brasile, erano soltanto gli stremati testimoni di un dramma che il mondo ignorava. Sei anni dopo il movimento per l'autodeterminazione delle comunità minacciate dalla costruzione delle dighe, come si autodefiniscono, è riuscito a stringere importanti alleanze con gli ambientalisti del Nord e a guadagnare la solidarietà di personaggi noti come Arundhati Roy e il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. La tenacia ha premiato le comunità locali, prevalentemente indigeni e contadini, costrette a mobilitarsi per evitare di venire deportate: circa 80 milioni di persone sparpagliate fra i 62 paesi che ospitano le grandi dighe. Il secondo Forum del movimento contro le dighe si è tenuto a Rasi Salai, in Thailandia, il primo luogo del pianeta dove la popolazione è riuscita a sconfiggere la diga e a riprendersi il fiume. Lì, poco prima del World Social Forum di Bombay, circa 300 rappresentanti delle comunità minacciate dalle dighe si sono incontrati con due obiettivi precisi: registrare i successi ottenuti e far adottare al movimento internazionale la loro battaglia.

Fra i successi va certamente annoverato il processo di revisione avviato dalla Banca Mondiale con l'istituzione della Commissione sulle dighe incaricata di stilare un rapporto sulla questione. Per quanto paludati, i risultati del rapporto hanno costretto la Banca a diramare delle stringenti raccomandazioni - in sostanza delle condizioni per ottenere i finanziamenti. Grazie alla Commissione e alle campagne internazionali, la Banca ha dovuto ritirarsi da alcuni dei peggiori progetti - come le dighe cinesi e indiane - cosa che però non ha impedito ai rispettivi governi di andare avanti. E' venuto dunque il momento, hanno ricordato a Rasi Salai, di occuparsi degli altri due grandi attori che stanno dietro al business delle dighe: i governi - che utilizzano le opere faraoniche per portare avanti i piani di privatizzazione dell'acqua - e la lobby dei costruttori, fra i quali l'Italia vanta degni rappresentanti.

Quanto al secondo obiettivo, quello di fare adottare dal movimento internazionale una battaglia che, per quanto ampia geograficamente e numericamente, è sostanzialmente locale, i delegati di Rasi Salai possono dirsi soddisfatti. Bombay ha fatto sua la resistenza contro il modello di centralizzazione del controllo delle acque rappresentato dalle dighe, che si pone direttamente - e talvolta anche militarmente - in conflitto con la gestione collettiva e consuetudinaria delle comunità locali. Grazie alla forza propulsiva di Medha Padka, carismatica leader del movimento contro le dighe nella valle indiana del Narmada, luogo dal quale sono già state sfollate milioni di persone, la resistenza di queste remote popolazioni è entrata ufficialmente a far parte delle rivendicazioni riassunte nel documento finale dei movimenti sociali del World Social Forum 2004.

Una giornata particolare
Un altro mondo non è possibile finché la gente viene caricata sui camion per fare posto al cemento. In fondo la giornata internazionale contro le dighe del 14 marzo serve a ricordare che, o lo sviluppo è sostenibile anche per gli esseri umani, o non è sviluppo. Se il 14 marzo 2003 il fronte anti-dighe si fece sentire in Spagna in Sudafrica e in Brasile, quest'anno gli appuntamenti si sono estesi a tutti i continenti.

In Ghana le comunità del bacino del Volta organizzano una marcia nella città di Akosombo per fermare la costruzione della diga. In Senegal il Coordinamento del bacino del fiume ha lanciato la mobilitazione contro "lo sviluppo distruttivo" all'opera in tutto il continente nero. In Sudafrica, paese sul quale incombono i giganteschi progetti del Lesotho, la giornata internazionale è stata preceduta da una settimana di incontri, seminari e proiezioni alla KwaZulu-Natal University.

Sarà massiccia la mobilitazione anche in Argentina, dove si cerca di impedire l'innalzamento della diga Yacyretá e la ripresa dei lavori di Corpus, entrambe sul fiume Paranà, ed è in programma la costruzione del complesso del Garabí, al confine con l'Uruguay. In Colombia diecimila persone sono decise a confluire verso il fiume Sinu per protestare contro la diga Urra. In Costa Rica si è scelto invece di organizzare un incontro fra le comunità minacciate dal progetto Chaparral, in El Salvador. Bisogna trovare il modo di impedire che 1.500 famiglie, circa 18 mila persone, siano costrette ad abbandonare le loro case. In Messico, all'Alleanza messicana per l'autodeterminazione dei popoli si sono uniti i Contadini in lotta contro la diga di La Parota, progetto che prevede l'allagamento di 17.300 ettari di terre agricole e di 22 cittadine, con il trasferimento forzato di circa 25 mila abitanti. Entrambe le reti si ritroveranno ad Acapulco davanti agli uffici della Commissione federale dell'elettricità che ha stilato il progetto. Negli Stati Uniti l'associazione ambientalista Friends of the River e le tribù della Hoopa Valley californiana si mobilitano per rilanciare il Trinity River Record of Decision, un piano dettagliato per il recupero dei fiumi che sta seguendo il suo iter amministrativo.

Ovviamente l'Asia non poteva mancare. In India la giornata internazionale è cominciata sabato, con le celebrazioni di Sangam, dove s'incontrano i fumi Cauvery e Arkavathy, e con un forum organizzato nel distretto di Ukhrul per discutere il faraonico progetto del Mapithel-Thoubal. Gli organizzatori si aspettano almeno duecento rappresentanti delle comunità tribali che approfitteranno dell'occasione per discutere di strategie di lotta e di resistenza. Anche in Pakistan la mobilitazione è massiccia: la Sungi Development Foundation spinge perché venga attuato il piano nazionale di re-insediamento delle comunità scacciate dalle dighe mentre gli attivisti di ActionAid Pakistan, insieme a Left Bank Outfall Drain e all'Organizzazione nazionale dei danneggiati dai programmi di irrigazione, faranno un giorno di sciopero della fame davanti agli uffici della Banca Mondiale e della Asian Development Bank. Per tutto il fine settimana si daranno il cambio conferenze e seminari, sia per fare il punto sui progetti regionali che per allacciare una rete di alleanze fra le comunità a cavallo del bollente confine fra India e Pakistan.

Nelle Filippine molti sono i cantieri e molte le organizzazioni. La Cordillera People's Alliance ha dato appuntamento davanti alla sede del Dipartimento per le risorse naturali di Baglio mentre a Manila, davanti all'Asian Development Bank, si ritroveranno le comunità minacciate dalla diga di Laiban insieme ai cittadini che protestano contro i progetti di privatizzazione dell'acqua potabile. Infine, sempre nelle Filippine, una carovana attraverserà il paese per celebrare l'unificazione di due gruppi che lottano contro la diga di San Roque: le comunità indigene Tignay Dagiti e il Movimento dei contadini per la liberazione del fiume Agno.

         

Note: Campagna per la riforma della Banca Mondiale e International River Network. Immagini dell'allagamento dei villaggi del Narmada si possono vedere su http: //www. narmada. org/images/satyagraha2003/index. html.   
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