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Un pieno di super truffa con il biocombustibile

25 luglio 2007
Simona Capogna (Verdi Ambiente e Società)
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Le industrie agrochimiche e biotecnologiche, non riuscendo a far decollare gli Ogm alimentari, si sono buttate nel business dei biocombustibili. Ogm per fare il pieno ai motori, quindi, e non per riempire le pance, mala retorica utilizzata è la stessa: di fronte ad emergenze di portata globale (fame e riscaldamento globale) le piante transgeniche vengono presentate come la soluzione più efficace, «environmentally correct».
Lo stesso Bush che ieri accusava l’Europa di affamare il Sud delmondo con la sua moratoria contro le piante transgeniche, oggi, dopo aver ripetutamente contestato la legittimità scientifica dell’effetto serra, lancia appelli per salvare il pianeta dai gas climalteranti e finanzia progetti di milioni di dollari per realizzare biocombustibili (biotech e non). I conti però non tornano. L’uso degli Ogm alimentari è stato giustificato e promosso perché si diceva che gli attuali terreni agricoli erano insufficienti per sfamare una popolazione crescente, e che bisognava ingoiare il rospo delle piante transgeniche brevettate dai giganti dell’agrobusiness per garantire una maggiore produzione ed evitare, così, una pressione antropica sulle aree fragili del pianeta. Con la stessa disinvoltura quegli stessi terreni (scarsi, si diceva) vengono destinati alla produzione energetica e il tutto viene presentato come l’ecobusiness del secolo, coerente con la volontà (e la necessità) dei paesi di far fronte agli impegni presi con l’accordo di Kyoto per la riduzione dei gas serra.
Tuttavia, la sostenibilità ambientale, sociale ed economica dei biocombustibili non è supportata dalle evidenze empiriche, che al contrario tracciano un quadro pieno di zone d’ombra. Si va da un bilancio energetico non esaltante (il World Resources Institute calcola che il bioetanolo da cereali emette nell’atmosfera, dalla semina alla marmitta, 85,3 grammi di CO2 contro i 94 della normale benzina), al problema del disboscamento di foreste tropicali, convertite in produzioni industriali di palma da olio (a Sumatra e nel Borneo sono andate distrutte 4milioni di ettari di foreste); dall’impennata dei prezzi delle proprietà fondiarie (gli analisti prevedono rivalutazioni del 15% ogni anno), all’aumento del costo dei prodotti alimentari (in Messico il prezzo delle tortillas è raddoppiato), con gravi conseguenze per i piccoli produttori e i consumatori. Tutte questioni che saranno sembrate irrilevanti al Commissario Ue al Commercio, Mandelson, che ha proposto l’importazione di materia prima a basso costo per raggiungere gli obiettivi della Direttiva Europea sui biocombustibili (5,75% entro il 2010) o al vipresidente del Consiglio D’Alema che ha salutato positivamente l’accordo tra l’Eni e la brasiliana Petrobas per lo sfruttamento delle terre d’Angola e il rifornimento delle raffinerie di Livorno.
Ma il dramma è che nonostante gli ingenti costi sociali e ambientali (è di qualche giorno fa la notizia della liberazione dei 1000 cortadores di canna da zucchero schiavizzati in Amazzonia), la possibilità di sostituire l’oro nero con l’oro verde è remota: se tutte le colture di mais e soia statunitense finissero nei motori si soddisferebbe solo il 12% della domanda di benzina e il 6% della domanda di diesel!
E proprio a questo punto fanno l’ingresso le colture gm, pronte a prestare i loro servigi all’agricoltura industriale garantendo una maggiore produttività. L’inganno consiste nel fatto che la coesistenza continuerebbe ad essere problematica perchè gli Ogmsono essere esseri viventi in grado di riprodursi e diffondersi (lungo tutta la filiera). Le stesse aziende biotech, non a caso, cercano di tutelarsi dall’inevitabile commistione chiedendo alle autorità, oltre all’autorizzazione per l’uso energetico, anche quella meno scontata per l’uso alimentare. E’ già successo con il mais Syngenta contenente un enzima (amilasi) che ne accelera la fermentazione. L’obiettivo di queste autorizzazioni non è di vendere il biocarburante biotech come olio per i fritti, ma di tutelarsi da cause di risarcimento quando questo dovesse finire sugli scaffali inavvertitamente. In questo caso, come è accaduto, si dirà ai consumatori che l’Ogm «non presenta danni rilevanti per la salute dell’uomo» e nessuno pagherà.
Le aziende biotech, oltre a cercare continui escamotage per gestire una tecnologia incontrollabile e socialmente contestata, nel settore dei biocombustibili hanno già stretto alleanze strategiche con gruppi petroliferi e automobilistici. L’obiettivo è di mantenere lo stato attuale dei privilegi aziendali e di aumentare i profitti, evitando richieste politiche di aumento dell’efficienza energetica. La British Petroleum, ad esempio, concedendo a centri universitari una donazione di 500 milioni di dollari per la ricerca sui biocombustibili transgenici dimostra di essere un’impresa «socialmente responsabile», e così evita disposizioni governative restrittive sulle sue attività.
In Europa, addirittura, è un Gruppo Consultivo (BIOFRAC) composto da aziende automobilistiche (Volvo, Peugeot, Citroen), petrolifere (Shell, Total) e agrochimiche-biotecnologiche (Monsanto, Syngenta, Bayer) ad indicare l’agenda della ricerca sui biocombustibili ai nostri burocrati. Con il risultato scontato che non si parla da nessuna parte di risparmio, ma solo di un sostegno (finanziato con soldi pubblici) al nostro modello di sviluppo (insostenibile). Le percentuali garantite dalla produzione di biocarburanti (meglio se transgenici, ci dice il BIOFRAC) sono pensate, infatti, non nella logica di una sostituzione progressiva del petrolio, main quella della crescita dei consumi energetici prevista nei prossimi 20 anni. Il progetto non è quello di ridurre gli interessi nel business «sporco », ma solo di controllare anche la fetta del business «pulito». Con buona pace del Protocollo di Kyoto e del riscaldamento globale.

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