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Se Marghera non rinasce dalle acque

L'interminabile agonia del polo chimico veneziano. Quattro anni fa si è sfiorata una nuova Bhopal. Da allora, ben poco è stato fatto. Venezia e la laguna aspettano ancora una bonifica dai costi sempre più proibitivi
28 gennaio 2007
Ernesto Milanesi
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

La giustizia in tribunale e le leggi di natura. L'industria petrolchimica e la salute pubblica. Un mare di soldi e il futuro della laguna. I residenti e i rischi per la loro incolumità. Marghera (l'estrema periferia di Mestre che si affaccia sullo specchio d'acqua dalla Venezia-cartolina) respira quotidianamente la contraddizione fra lavoro e ambiente, produzione e sopravvivenza, veleni e diritto al futuro.
Sul calendario resta indelebile una data: giovedì 28 novembre 2002, quando alle 19.42 «esplose» il reparto della Dow Chemical riservato al toluendiisocianato. Per un'ora e 48 minuti si materializza, davanti agli occhi dei Vigili del fuoco e dei tecnici del'Arpav, l'incubo della replica di Bhopal nel cuore della zona industriale veneziana. Sono due giorni che nel reparto Tdi qualcosa non funziona, eppure nessuno fuori dai cancelli viene avvisato finché l'enorme lingua di fuoco non si fa strada verso il cielo. Miracolosamente sarà un secondo incendio a «spegnere» l'incidente che provoca solo due feriti neppure gravi. Ma il sindaco Paolo Costa non è l'unico a percepire, con l'urlo della sirena della Protezione Civile, l'inferno che si è spalancato improvvisamente davanti all'intera città.
In questi quattro anni, a Marghera e dentro il Petrolkimico qualcosa è cambiato, molto resta in sospeso, poco è stato davvero bonificato e tutto dev'essere «messo in sicurezza ambientale».
La Dow Chemical dall'agosto scorso ha deciso di abbandonare gli impianti e, di conseguenza, anche gli operai. Per il sindacato, c'è di nuovo lo spettro della contrattazione della mobilità. Per il Comune guidato dal sindaco-filosofo Massimo Cacciari, una seduta straordinaria del consiglio alle prese con l'irreversibile crisi della chimica veneziana.
L'Assemblea permanente contro il pericolo chimico (nata al cinema Aurora, proprio sull'onda dell'incidente del 2002) si è mobilitata per il referendum popolare, raccogliendo 12.625 firme. Ha incassato l'80% dei 75 mila votanti (su 219 mila elettori del Comune) che dal 19 giugno all'8 luglio hanno partecipato alla consultazione postale sul futuro del ciclo del cloro. E in autunno il presidente della Regione Giancarlo Galan ha sposato il progetto della «nuova Marghera» fondato sulla riconversione economica ma anche ambientale. L'idea si sviluppa dal metadistretto della logistica fino alla gestione degli interventi di bonifica. Ci sono i 500 milioni di euro ottenuti dallo Stato come risarcimento danni da Montedison, Enel, Eni, Api e dalle altre aziende che hanno inquinato Porto Marghera. Ma soprattutto c'è il MasterPlan - approvato nel 2004 - che estende il risanamento ai canali e alla laguna.
«Fin dall'avvio dei processi per i morti di Cvm e per l'inquinamento della laguna, avevamo l'obiettivo di recuperare 1000 miliardi di vecchie lire dalle aziende per destinarli alla messa in sicurezza di laguna e falde. In base all'accordo stipulato tocca alle aziende progettare la bonifica dei suoli, sostenendo i costi degli interventi» sottolinea Giampaolo Schiesaro, avvocato dello stato.
Dunque, al di là della partita nelle aule di tribunale si gioca quella del futuro di Marghera. Una sfida colossale, da ogni punto di vista. Eppure soltanto la bonifica da fanghi industriali, veleni interrati, sostanze tossiche e effetti dell'inquinamento permette un futuro alternativo al moribondo polo della chimica. Le statistiche non lasciano scampo: nel 1925 erano insediate 33 aziende con 3440 addetti; il boom è datato 1965 con 229 fabbriche per 32.980 lavoratori; la crisi delle grandi imprese è fotografata nel 1985 da 260 presenze con 23.000 operai; il declino diventa inarrestabile con la frammentazione d'impresa tant'è che nel 2005 a 347 aziende corrispondono 12.404 addetti.
«Innovazione e logistica rappresentano le parole-chiave della rinascita di Porto Marghera. Lo dimostra il parco tecnologico e scientifico Vega insediato proprio in un'area che era pesantemente inquinata. E' diventato punta d'eccellenza nelle nanotecnologie» afferma l'economista Stefano Micelli che è anche presidente del Coses.
Insomma, bisogna ripulire letteralmente la grande zona industriale. Ma a Marghera girare pagina è un'operazione complessa, lunga e costosa. Concertarla poi significa misurarsi ogni volta con interessi contrastanti. Si materializzano nel conflitto che oppone ciò che resta delle tute blu (cantate da Gualtiero Bertelli nel mitico '68) al movimento cresciuto dall'intuizione di Smog e dintorni all'inizio degli anni '70 e culminato nell'esposto-denuncia di Gabriele Bortolozzo sul Cvm. Ma anche di fronte all'inerzia dello stato nell'applicazione della «direttiva Seveso», che lascia gli Enti locali alle prese con la protezione civile e la tutela della salute. Oppure nella sentenza del maxi-processo che condanna i vertici della Montedison (confermata dalla Cassazione nel maggio 2006), mentre altra «carne da macello» tuttora è alle prese con le lavorazioni nocive.
Eppure, nel laboratorio Marghera occorre distillare speranza di futuro e, soprattutto, non tradire la straordinaria partecipazione attiva dei cittadini. La legge 426/98 impone la bonifica di 5.800 ettari dove in un secolo si sono accumulati 5 milioni di tonnellate di rifiuti tossici, cui vanno aggiunte 12 milioni di tonnellate di fanghi industriali nella rete dei canali. Il MasterPlan della messa in sicurezza restituisce anche l'analisi ambientale delle falde nella «Penisola della chimica» come nell'«Isola dei petroli». Di fronte a 17 discariche nel bacino lagunare, si prospetta una muraglia protettiva: da Fusina a Campalto, un fronte di 64 chilometri. E bisogna provvedere allo stoccaggio di due milioni di tonnellate di fanghi: un'altra collina , come nel parco di San Giuliano, nell'area Moranzani di proprietà dell'Eni.
Gianni Favarato stila l'agenda di Marghera: «Se si cominciasse oggi stesso a fare quel che fino ad oggi non è stato fatto, servirebbero almeno otto anni per costruire il muro protettivo che isola le aree inquinate dalla laguna. Sette anni per completare il drenaggio dei canali. Quindici anni per le bonifiche, trattare i sedimi avvelenati e riqualificare il paesaggio. Più dieci anni di pompaggi del sottosuolo per salvare la falda dalla contaminazione. Tutto per una cifra colossale: 3.600 miliardi di vecchie lire. Finora i fondi messi a disposizione dallo stato per la bonifica di Porto Marghera superano di poco i 100 milioni di euro, cui vanno aggiunti i risarcimenti concordati con le aziende chimiche» ricorda il cronista della Nuova Venezia nel libro.
L'altra faccia della medaglia del futuro fra laguna e terraferma. Tutti concentrati sul Mose nelle bocche di porto a Venezia, ci si dimentica quasi del water front che potenzialmente può incendiarsi ogni giorno. Marghera è la chiave di una prospettiva diversa, se finalmente il «laboratorio» comincia a produrre sicurezza. E' il più giusto degli investimenti, non solo perché bonifica l'industrialismo selvaggio. Solo così Marghera (e Venezia...) si salva davvero.

Note: I petrolchimici e chi se ne occupa
Giornali e libri
Due giornalisti seguono con attenzione quel che accade fuori e dentro i cancelli delle fabbriche. Nicoletta Benatelli del Gazzettino e Gianni Favarato della Nuova Venezia sono cronisti documentati sul «caso Marghera». Insieme a Elisio Trevisan hanno pubblicato nel 2002, per i tipi dell'editore Nuovadimensione di Portogruaro (via Beccarla 13/15 - telefono 0421.74475), il volume Processo a Marghera che ricostruisce l'inchiesta giudiziaria sul Petrolchimico a partire dalle morti degli operai provocate dal cloruro di vinile monomero. Benatelli e Favarato con il fisico Anthony Candiello tornano adesso in libreria con Laboratorio Marghera tra Venezia e il Nord Est (Nuovadimensione, pagine 159, euro 13.50). E guardano al futuro dell'area industriale di Venezia, inquadrando la possibile bonifica ambientale.
Come sottolinea nella quarta di copertina Felice Casson, pubblico ministero al processo al Petrolchimico ora senatore Ds: «La salute e l'ambiente sono beni collettivi prioritari. I danni all'ambiente si pagano cari, perché nel tempo la natura ci restituisce il male che abbiamo fatto». Indispensabili riferimenti su Petrolkimico e dintorni restano l'Assemblea permanente contro il pericolo chimico (che ha sede nel municipio di Marghera) con il sito Internet www.margheraonline.it e l'archivio storico ospitato dalla locale biblioteca. E naturalmente l'Associazione Gabriele Bortolozzo che ricorda l'operaio capace di denunciare per primo, insieme a Medicina Democratica, il tragico impatto delle produzioni Montedison e Enichem sulla salute: la sede è in via Napoli, 5 a Mestre (telefono 041.952888; informazioni e contatti beatricebortolozzo@hotmail.com ). La Provincia di Venezia, invece, coltiva il progetto europeo di costituire un ecomuseo della memoria a Marghera. Se ne occupa come coordinatore scientifico l'architetto Francesco Calzolaio in collaborazione con il Coses, Consorzio per la ricerca e la formazione, la Fondazione Cini e l'Istituto Venezia e l'Europa. Per approfondire, http://www.amers.info
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