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Al Gore Un ecologista radicale nel cuore dell'Impero

«La mia rivoluzione verde. In un film»

Incontro con l'ex vicepresidente Usa Al Gore, autore di «An Inconvenient Truth», documentario sull'effetto serra candidato all'Oscar. «La gente sta aprendo gli occhi. Ma sono disgustato dalla politica e non mi ricandiderò alle presidenziali del 2008»
12 gennaio 2007
Giulia D'Agnolo Vallan
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Nashville
Dalla Casa Bianca a Hollywood, il percorso di Al Gore sarebbe l'opposto di quello di Ronald Reagan, se non fosse che è stato proprio un film, il documentario An Inconvenient Truth, a rilanciare - l'estate scorsa - l'ex vicepresidente degli Stati Uniti nell'arena della politica. Passato quasi in sordina a Sundance, poco dopo acquistato dalla Paramount e presentato in gran pompa a Cannes, An Inconvenient Truth negli Usa è un sorprendente successo di botteghino e uno dei più plausibili candidati all'Oscar per la non fiction. Il 19 gennaio esce anche in Italia. Siamo andati a incontrarlo a Nashville.
Solo oggi, sul New York Times, ci sono ben tre storie legate all'effetto serra: una riguarda la nuova iniziativa di Schwarzenegger in California per incentivare la produzione di combustibili alternativi, l'altra la possibilità di bruciare carbone senza emettere anidride carbonica e nella terza la National oceanic and atmospheric administration di Bush, annunciando che il 2006 è stato l'anno più caldo mai registrato negli States, ammette per la prima volta che l'aumento della temperatura globale è in parte causata dall'uomo. Qualche mese fa non se ne sarebbe parlato in modo così visibile...
Sono d'accordo. Ci stiamo muovendo nella giusta direzione. Non solo un sempre maggior numero di rapporti scientifici comprovano la gravità della situazione, ma è la realtà stessa che rende inevitable affrontare su vasta scala il soggetto. Madre natura sta mandando dei messaggi molto evidenti. Fortunatamente un sempre maggior numero di persone sta aprendo occhi e orecchie. Ma c'è ancora molta strada da fare.
È stato sorpreso dall'entusiasmo suscitato da The Inconvenienth Truth e da come il film sia diventato uno degli strumenti principali per diffondere informazione sul tema?
Il film è stato uno dei fattori che ha contributo allo spostamento di opinione pubblica e di questo devo veramente ringraziare il team creativo che lo ha prodotto. Perché non è stata una mia idea. Sono assolutamente sorpreso che abbia raggiunto un'audience così vasta. Anche se, appena visto il rough cut, mi sono reso conto che Davis Guggenheim aveva messo insieme un prodotto più efficace di quanto potesse essere qualsiasi mia apparizione personale. È un'esperienza che mi ha ricordato l'incredibile potere del cinema, che si tratti di fiction o di un documentario.
Qual è stato il suo coinvolgimento nella lavorazione?
Ho dato dei consigli, ma il merito va a Davis Guggenheim, Lawrence Bender, Laurie David. Mi hanno convinto che sarebbe stata una buona idea aggiungere alla presentazione delle diapositive, che proiettavo regolarmente, alcuni momenti autobiografici, perché avrebbero aiutato il pubblico a stabilire un rapporto più intimo con la storia attraverso chi la raccontava. Personalmente ero molto riluttante. Ma mi hanno spiegato che, diversamente dal rapporto immediato che si crea con una persona durante una presentazione live, sul grande schermo le basi per quella connection vanno create artificialmente.
Perché lei era riluttante?
Volevo che il contenuto principale del documentario fosse la scienza ed ero piuttosto apprensivo di fronte all'idea di fare un film su di me, sulla mia vita. Ma il fatto che, alla fine, abbiano introdotto solo alcuni elementi autobiografici che supportavano la struttura del film giustifica ampiamente il loro suggerimento. Certo - e mi vergogno un po' a dirlo - il mio primo terrore è stato che la scienza venisse subordinata agli imperativi dello spettacolo. È una cosa di cui abbiamo discusso molto. Ma sono contento di essermi fatto persuadere.
A posteriori, non pensa che il film renda un'immagine di lei più completa e complessa di quella che il pubblico aveva avuto l'opportunità di farsi durante la sua ultima campagna presidenziale?
Sì. E credo che ciò sia dovuto al fatto che un candidato elettorale è comunque visto attraverso un obiettivo diverso, un obiettivo che implica una maggior scetticismo, persino un certo grado di cinismo, il che è comprensibile. Ma credo anche nel vecchio cliché: quello che non ti ammazza ti rende più forte. E forse, negli ultimi cinque o sei anni, io sono diventato più forte. Inoltre, Davis Guggenheim ha una grande abilità a condurre lunghissime interviste con il registratore, passava ore e ore a scavare in profondità, fino a costringermi a trovare parole che non avevo mai trovato prima per descrivere certe emozioni e certi sentimenti. Credo che i suoi sforzi abbiano contribuito a tradurre la convinzione profonda e la passione che ho per il soggetto del film. È stato un processo lunghissimo e faticoso. A ogni mia risposta c'era un suo «sì, ma perché?». Il risultato è stato una qualità dell'espressione molto più alta di quella che ho trovato in passato.
Non le sembra quasi ironico che un prodotto hollywoodiano sia stato in grado di offrire un'immagine più accessibile e complessivamente «reale» di un candidato elettorale di quanto avessero fatto i media?
Non pensa anche lei che le news oggi siano «confezionate» come un prodotto hollywoodiano? Io credo che il film abbia una qualità rara e che deriva allo stesso tempo dalla tensione di essere fedeli alla scienza e dal desiderio di complementare quella narrativa. In quel senso, non mi sorprende che attraverso di esso io sia stato percepito diversamente da come lo ero stato attraverso i news media a cui siamo abituati. Perché credo che anche le news televisive, almeno negli Usa, siano manipolate e costruite in base ai principi dello spettacolo e continuamente distorte dal desiderio di ottenere ratings più alti e di privilegiare storie che, secondo i sondaggi d'opinione, hanno il potenziale di attrarre più - come si dice in gergo - eyeballs, cioè bulbi oculari. Certo, le persone sono ben più di bulbi oculari ma in questo caso, nello sforzo di incollare la loro percezione allo schermo, sono trattate come oggetti, e ciò determina dei valori artificiali e un assetto del contenuto completamente artefatto. Che la tv sia stata finora un medium a una sola direzione l'ha resa più vulnerabile a tutto ciò.
È quello che lei sta cercando di cambiare con il suo canale via cavo, Current TV?
Stiamo cercando di democratizzare il mezzo televisivo rendendo possibile che anche gli individui partecipino alla conversazione. Più del 30% del nostro contenuto oggi è creato dai nostri spettatori e stiamo anche introducendo pubblicità realizzata da loro, che ha una freschezza e una creatività diverse da quelle di Madison Avenue. Oggi siamo in 40 milioni di case di abbonati. A marzo arriveremo in Europa e speriamo di poter continuare a includere sempre più pubblico. Il nostro obiettivo è quello di democratizzare il medium. L'illuminismo è stato reso possibile dall'invenzione della stampa. In un certo senso, la televisione ha soppresso alcune delle sue conquiste. Reinserire la tv in un forum pubblico, accessibile agli individui, è la speranza per ristabilire le basi di una democrazia partecipativa.
Negli ultimi anni, lei ha preso posizioni e fatto discorsi molto forti contro alcune politiche dell'amministrazione Bush - tortura, Iraq, sorveglianza telefonica... Il fatto di essere fuori dalla struttura formale dell'establishment politico washingtoniano le ha offerto la chance di esprimersi in modo più diretto. Come si colloca nei confronti della nuova maggioranza democratica al Congresso?
«Posizionarmi» non è una mia preoccupazione. Credo che lei abbia ragione quando dice che i miei discorsi degli ultimi anni hanno avuto una freschezza inusuale e credo che quello dipenda dal fatto che non sono parte del sistema politico. Gli incentivi intrinseci a quel sistema, così come è oggi, sono tossici e orientati verso il minimo comun denominatore. E questo perché il forum pubblico è ristretto a coloro che possono permettersi di comprarne l'accesso. È destino, quindi, che chi è in carica non possa che dirigere le sue proposte, e la sua politica, alle persone in grado di finanziare la sua prossima campagna elettorale. Non sto dicendo che non esistano uomini e donne che resistono a quelle pressioni e che fanno un buon lavoro. Ma c'è un effetto gravitazionale che spinge tutto il sistema politico a compiacere coloro che hanno molti soldi. Siamo in una situazione in cui potere e denaro propagano se stessi a spese delle masse. Per me non essere parte del sistema politico è l'occasione per parlare con un'autorità che è più difficile assumere quando sei immerso in quella ragnatela di scambi e di influenze che è la politica americana oggi. D'altra parte, anche in Italia mi sembra che il controllo dell'informazione sia stato una via strategica di accesso al potere.
Quindi pensa o meno al 2008?
Non ho in mente di candidarmi. È vero che in passato non ho escluso di poterlo fare ma, onestamente, non mi aspetto che succeda. Nelle poche occasioni in cui sono obbligato a discuterne mi ritrovo completamente disamorato nei confronti della politica così come funziona ora. Per questo non penso di candidarmi. In caso di cambiamenti radicali nell'attuale processo politico, forse. Ma sono ipotesi così remote che non vale la pena discuterne. Adesso come adesso sono molto contento di esserne fuori.

Note: Il personaggio
Un liberal «sostenibile»
Ex vicepresidente degli Stati uniti sotto la presidenza Clinton e battuto per un pugno (contestato) di voti da George W.Bush nel 2000, il democratico Al Gore si sta rivelando un ambientalista di prim'ordine e un vero e proprio outsider della politica americana. Da sempre favorevole al Protocollo di Kyoto, negli ultimi anni Gore si è un po' allontanato dalla politica e si è occupato d'altro (anche se non ha risparmiato critiche all'amministrazione Bush, soprattutto per quanto riguarda la gestione dell'uragano Katrina del 2005): il 4 maggio del 2004 ha per esempio fondato il network televisivo Current TV, totalmente interattivo e rivolto a un pubblico di giovani. Nel 2006 si è occupato di cinema e ha girato il film An Inconvenient Truth, presentato a Cannes: il lungometraggio esprime i pericoli che il riscaldamento globale potrebbe causare alla Terra. Gore potrebbe candarsi alle primarie democratiche del 2008 in alternativa ad Hillary Clinton.
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