Rifiuti tossici in Campania
Basta leggere i giornali, spesso senza bisogno di andare all'indietro nel tempo, per leggere degli
illeciti riguardanti i rifiuti in Campania. E non sempre si parla di Rifiuti Solidi Urbani (RSU).
La continua emergenza nel settore dei rifiuti, che tiene stretta la Campania nella morsa di un
dannoso commissariato straordinario da 13 anni, ci ha fatto in qualche modo abituare ai rifiuti
per strada, a non far caso ai cumuli di scorie abbandonati lungo le provinciali, lungo l'asse
mediano, nelle campagne appena al di fuori della città.
Tanti i casi "famosi", dalla discarica di Pianura, alla discarica Tre Ponti di Giugliano,
dal ritrovamento di una mega discarica (abusiva) nel nolano, piena di rifiuti altamente tossici,
ai 120 fusti aperti pieni di materiale chimico a Santa Maria La Fossa (Ce), l'etichetta sui fusti
era scritta in tedesco. Questo per citare solo i casi più eclatanti.
Oggi, secondo quanto emerge dalle numerose indagini delle Procure di Nola, Napoli e Santa Maria
Capua Vetere, venire a smaltire in Campania è conveniente. Conveniente perché costa
di meno. Tanto per fare qualche esempio, smaltire morchie di verniciature e solventi costa normalmente
dalle 600 alle 800 lire al chilo, mentre certi clan criminali campani lo fanno per 280 lire al
chilo. Normalmente, un'industria ha bisogno di smaltire molte tonnellate all'anno di simili rifiuti.
Del resto che si tratti di una vera emergenza criminalità lo dimostrano anche le cifre rese
note nel "Dossier Rifiuti" di Legambiente: otto clan che gestiscono gli affari, 1088 reati
accertati, 509 sequestri effettuati per un valore di oltre 18 milioni di euro negli ultimi cinque
anni. Ed è solo la punta d'iceberg. Solo quel che è stato scoperto. Difficile
stimare l'entità di quanto è ancora sommerso. Sempre in Campania sono, secondo
l’ultimo censimento dell’Anpa, ben 814 i siti da bonificare, occupati da circa 3 milioni di metri
cubi di rifiuti. Numeri che alimentano gli appetititi della criminalità organizzata.
Ancora oggi, le istituzioni mettono in primo piano due aspetti del problema: quello politico
dell’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti, e quello giudiziario nel settore degli
sversamenti abusivi. A nostro avviso, viene trascurato l’aspetto che dovrebbe essere quello
principale: l’aspetto delle conseguenze sulla salute pubblica.
I rifiuti della camorra
L’introduzione, avvenuta solo nel 2001, del delitto di organizzazione di traffico illecito
di rifiuti sta incominciando a dare frutti importanti, anche se in ritardo, in un'Italia che
ancora una volta si è attardata dal punto di vista legislativo. In tutte le province
campane sono stati realizzati significativi sequestri di siti di scarico abusivi, ove sono
state reperite notevoli quintali di rifiuti tossico nocivi. La situazione è divenuta
allarmante proprio con il prolungarsi dell'emergenza derivante dalla saturazione delle aree
territoriali da destinare allo scarico di rifiuti, le cosiddette "discariche legali". In tale
occasione la camorra ha cercato di dirottare lo smaltimento verso siti privati propri, generando
gravi situazioni per la salute e la sicurezza pubblica.
Particolarmente attivo in tale settore è il clan dei Casalesi che opera quasi in regime di
monopolio in tutte le attività a questo connesse.1
Il clan, guidato dal noto boss Francesco Schiavone detto "Sandokan" di Casal di Principe, ora in
arresto dopo anni di latitanza, ha progressivamente esteso il controllo a tutte le diverse fasi
del ciclo dei rifiuti: raccolta, trasporto, occultamento e distruzione, ricorrendo a complesse
metodologie operative che prevedono la costituzione di una fitta rete di intermediari e di società
in apparenza pulite.
Da ormai 15 anni, la Campania è il crocevia dello smaltimento dei rifiuti provenienti da ogni
regione, affare che ha fruttato, e frutta, enormi guadagni alla camorra ma anche alle altre organizzazioni
criminali e ad altri individui, ci si riferisce ai cosiddetti criminali dal colletto bianco:
amministratori, chimici analisti, impiegati. Per anni hanno escogitato un trucco molto semplice,
chiamato in gergo "giro bolla", che consiste nel falsificare il modulo di identificazione dei rifiuti, il
Mud; formalmente loro sversano in discariche lecite, ma in realtà gettano i rifiuti in cave,
fiumi e laghi. Solo nel casertano sono state sequestrate qualcosa come 1.000 discariche abusive.
Ma c’è anche chi, in modo illegale e criminale, si è sbarazzato di autentiche bombe
gettandole nelle discariche autorizzate per lo stoccaggio dei rifiuti solidi urbani.
Fin dai primi anni novanta una vera e propria holding composta da imprenditori, clan criminali,
soggetti affiliati a logge massoniche e politici corrotti, ha gestito il trasporto, dal centro-nord
verso il Mezzogiorno, di rifiuti industriali e urbani. Da Lombardia, Piemonte ma anche Toscana
verso la Campania ma con propaggini significative nel Lazio, in Calabria, Basilicata e Puglia,
TIR carichi di rifiuti finivano il loro tragitto presso discariche non autorizzate a riceverli e,
soprattutto cave abusive, terreni scavati per l’occasione, riempiti di immondizia e ricoperti,
aree dell’entroterra disabitate.
Inquinamento e salute
Oltre al danno economico per lo Stato, e per tutti noi, derivante dalla forte evasione fiscale
(non viene pagata la cosiddetta "eco-tassa"), ci sono anche altri danni.
Nell'estate 2004, il dottor Alfredo Mazza, ricercatore in Fisiologia Clinica del CNR a Pisa, ha
pubblicato sulla prestigiosa rivista medica "The Lancet Oncology" un suo agghiacciante studio
sull'incidenza tumorale in Campania. I risultati degli studi e delle analisi effettuate dal
ricercatore furono anche pubblicate su quasi tutti i quotidiani italiani. Nello studio, ci si
riferisce ad un'area di 12 comuni, compresi tra Acerra, Pomigliano d'Arco, Nola e le falde
settentrionali del Monte Somma, facente parte del Parco Nazionale del Vesuvio. In quest'area
vivono oggi circa un milione di persone. Statistiche alla mano, Mazza mostra come l'indice di
mortalità per tumore al fegato ogni 100.000 abitanti sfiora il 35.9 per gli uomini e il
20.5 per le donne rispetto a una media nazionale che è di 14 casi. Questo in un quadro
generale che assegna alla zona un indice di mortalità mediamente più elevato
anche per altre forme di cancro.
Ricordiamo che l'area in questione, anche se caratterizzata da alcune presenze industriali anche
grandi, mantiene comunque fortemente la sua vocazione agricola: in pratica non siamo di fronte
ad una grande area industrializzata come se ne trovano nel nord Italia.
Il più grave dei pericoli derivanti dalla presenza di discariche abusive è in effetti
quello dell'inquinamento del suolo e quello delle acque. L'inquinamento del suolo è
determinato dal fatto che per la legge italiana non si può costruire su zone adibite a
discarica legale.
Molto spesso, i materiali di risulta degli scavi di fondamenta di edifici o quelli di smaltimento
dei rifiuti vengono invece utilizzati come compattamento per le strutture fondiarie, o comunque
per le fondamenta di altre strutture edilizie abusive. Il che significa che molte delle strutture
abusive vengono costruite su ex discariche abusive. Perché? Perché con questo
materiale si cementa tutto e ciò non consente di verificare in un secondo momento la
presenza della discarica e questo, a distanza di tempo, si concretizza in danni per la salute
dei cittadini. Per non parlare dell'inquinamento sia delle falde acquifere che delle acque
superficiali. Il più celebre caso di questo tipo è nel casertano: 80.000 metri
quadrati di discarica abusiva a cielo aperto che riversava grossi fusti tossici nel fiume Volturno,
inquinato ed ormai ecologicamente quasi irrecuperabile.
Le modalità tipiche dello scarico sono le seguenti:
- I camion carichi di rifiuti giungono, nelle ore notturne, in corrispondenza di buche, spesso ex cave a loro volta abusive di sabbia e materiali per l'edilizia; Le buche vengono riempite di rifiuti e poi vengono immediatamente coperte. Quando non è possibile coprirle, il materiale sversato viene invece dato alle fiamme. Inutile precisare che questo tipo di scarico comporta gravi infiltrazioni indirette di sostanze tossiche sia nelle falde acquifere sia nel terreno.
- I fanghi di depurazione e i rifiuti industriali liquidi, formalmente destinati a impianti di depurazione e riciclaggio, sono versati direttamente nel terreno, con conseguenze gravissime.2 Recenti analisi chimiche dei terreni hanno evidenziato alte concentrazioni di diossina, mercurio, arsenico, amianto. Migliaia di persone sono esposte a sostanze tossiche per decenni. Tutto è contaminato: gli agenti inquinanti nell'aria, nell'acqua e nei prodotti della terra sono ben al di sopra dei livelli consentiti.
Nell'agosto 2004, il comprensorio di Acerra (Napoli) sale alla ribalta della scena mediatica
italiana a causa delle proteste popolari contro la costruzione di un inceneritore. Durante quelle
proteste, per la prima volta, è venuto allo scoperto il problema dell'avvelenamento del terreno
e delle acque.
Alcuni pastori della zona, portarono nelle vicinanze del cantiere sette pecore agonizzanti per
dimostrare la fondatezza dell'allarme-diossina registrato in un'area vicina al cantiere. Gli animali
furono lanciati a terra, a pochi passi dal cordone di agenti di polizia che presidiavano la strada
d'accesso alla zona dei lavori.
In realtà, la presenza di diossina nei "Regi Lagni", canali di scolo delle acque reflue e
piovane di età borbonica ancora esistenti sul territorio, era già stata rilevata tempo
addietro, prima dell'apertura del cantiere per la costruzione dell'inceneritore.
In particolare, la località "Pantano", dove dovrebbe sorgere l'impianto di incenerimento era
già considerata "insalubre" e ad alto rischio incidenti per la vicina presenza dello
stabilimento chimico Montefibre, specializzata nella produzione di acrilici. Infatti, a partire dal
1999, un'ordinanza comunale dell'Amministrazione di Acerra vietò l'uso dell'area per
insediamenti industriali. La Montefibre, dal canto suo, aveva già previsto nel piano di
riconversione industriale un progetto di potenziamento dell'esistente centrale termoelettrica
(interna alla fabbrica) di circa 400 megawatt.. Per il comune di Acerra questa eventualità
alimenterebbe il rischio di incidenti nell'area adiacente allo stabilimento.
La Montefibre annunciò anche di predisporre un'ordinanza sindacale per vietare l'utilizzo di
quell'area in applicazione del decreto legislativo 334 del `99, relativo al rischio di incidenti
causati da sostanze pericolose, ordinanza che sarebbe solo temporanea, nell'attesa che una nuova
variante urbanistica organizzi definitivamente gli insediamenti industriali dell'area.
Chi ne fa le spese, di tutto questo? Ne fa le spese, ad esempio, la famiglia Cannavacciuolo, famiglia
che vive in quella zona occupandosi di allevamento di ovini. Insieme a loro, altri allevatori della
zona vedono ridursi il loro bestiame a causa dell'avvelenamento.
Gli allevatori sostengono che fin dal 2002 (quindi da un periodo precedente al progetto dell'inceneritore)
i capi di bestiame si sono decimati a causa della elevata presenza di diossina nel territorio non urbano
del comune di Acerra.
Vincenzo Cannavacciuolo aggiunge: "L'assessorato regionale alla sanità ci aveva promesso prima
un aiuto economico, poi una zona alternativa per il pascolo, ma ad oggi noi non abbiamo ricevuto nulla."
Forzati a far pascolare là le loro pecore, in attesa di un diverso piano urbanistico che faccia
destinare all'allevamento altri terreni più salubri, gli allevatori si trovano in una stretta
morsa, tra la moria del bestiame, e le salate multe se si va a pascolare altrove.
Anche sul fronte delle falde acquifere le cose non sono diverse: 79 pozzi artesiani chiusi tra il 2002
ed il 2004 per inquinamento, con danni sia per l'agricoltura sia - ancora una volta - per gli allevatori.
Col passare del tempo, la situazione non è migliorata. Qualche mese fa, il 5 febbraio 2006 per la
precisione, altri capi di bestiame sono stati ritrovati morti avvelenati. Le autopsie effettuate sugli
animali indicano nella presenza di diossina nel cibo e nell'acqua la causa della morte.
Stavolta Cannavacciuolo, il più attivo tra gli allevatori che protestano, ha portato 20 pecore
morte davanti alla sede del comune di Acerra. Gli allevatori hanno chiesto un incontro con il sostituto
procuratore Maria Cristina Ribera, che ha condotto l'indagine sul giro di affari legato allo smaltimento
di rifiuti industriali e nocivi usati come fertilizzante nelle campagne di Acerra, che ha portato
all'arresto di 14 persone, tra cui i dirigenti della ditta Pellini ed alcuni sottoufficiali collusi
dell’Arma dei Carabinieri.
"Tutti quei rifiuti tossici", spiega Cannavacciuolo "hanno inquinato il nostro territorio ed hanno
portato alla morte le nostre pecore. I nostri allevamenti sono stati decimati dalla diossina, il
tutto per il traffico di rifiuti avvenuto sul territorio acerrano".
Se questo è l'effetto sugli ovini, vengono ovviamente dubbi sui potenziali effetti sull'uomo
di questo tipo di inquinamento.
Al momento, l'unico studio esistente è la relazione tecnica che il comune di Acerra ha
commissionato ai professori Marco Caldiroli e Francesco Francisci, risalente però ai primi di
luglio del 2003.
Dalla relazione si evince che il livello di diossina sul territorio è di ben 53 picogrammi per
metro quadrato, un valore "quattro volte superiore" al limite consentito. Ed è grave che le
agenzie di analisi del commissariato di governo ritengono il livello di diossina di Acerra non
preoccupante. In base a quali esami?3
Le analisi effettuate dalla SOGIN e dall'Istituto Mario Negri di Milano, mostrano invece una elevata
concentrazione di diossine nel latte ovino.4
L’azione della magistratura
Non abbiamo in questa sede lo spazio per elencare tutte le azioni di contrasto avvenute ad oggi, a
partire dal lontano 1991, anno dell’Operazione "Adelphi", ma è doveroso citare quelle
principali, per dare un’idea della distribuzione geografica nel territorio, nonché le più
recenti, per indicare come il problema non sia affatto superato. Le indagini dell’Operazione
"Adelphi" misero a nudo una situazione allarmante: la Campania è diventata ormai
da anni la pattumiera d’Italia. Centinaia di discariche abusive furono scoperte sugli appezzamenti
agricoli, nel ventre do montagne "scomparse" a causa delle attività estrattive
illegali, dietro l’attività di improbabili cantieri edili. Sei imprenditori vennero condannati
dalla Settima Sezione del Tribunale di Napoli per reati che vanno dall’abuso di ufficio alla
corruzione, vengono assolti, invece, dal reato di associazione mafiosa.
L’operazione "Eco" colpisce il regno del clan dei Casalesi, che grazie al capillare controllo
del territorio non hanno difficoltà a trovare luoghi dove scavare buche in cui nascondere i
rifiuti o addirittura sversarli a cielo aperto. In poco meno di due anni, dal giugno ‘94 al marzo ‘96,
i Casalesi movimentano centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti speciali provenienti dal Piemonte
e dalla Lombardia. Le industrie produttrici di rifiuti sono legate alla lavorazione dei metalli pesanti.
Devono farsi carico di costi elevati per lo smaltimento del materiale di scarto prodotto all’interno
del processo produttivo: polveri di macinazione delle schiumature di alluminio e polveri di abbattimento
dei fumi, che sarebbe svantaggioso riciclare o reinserire nella lavorazione rispetto all’esigua quantità
di alluminio che se ne ricava in cambio. Inoltre sono poche le discariche attrezzate e autorizzate allo
smaltimento di questa tipologia di rifiuti.
L’organizzazione criminale si inserisce perfettamente a tamponare i deficit di sistema e offre un efficiente
servizio di smaltimento, illegale ovviamente, che garantisce continuità e permette alle aziende di
abbattere i costi. I rifiuti vengono acquistati attraverso una rete di intermediari che contattano
direttamente le imprese produttrici offrendo prezzi estremamente vantaggiosi.
Attraverso la falsificazione dei documenti i rifiuti arrivavano come "residui riutilizzabili"
in centri di stoccaggio in Toscana, Umbria, Lazio e Abruzzo per essere poi dirottati in aziende e
discariche abusive soprattutto della provincia di Caserta, e poi Benevento e Salerno.
Nell’aprile del 2001, la Procura di Milano, dopo un anno di lavoro, ha scoperto un colossale traffico
di materiale ad altissimo rischio tra Brescia, Napoli e Caserta. Oltre 18.000 tonnellate di rifiuti
venivano trasportate dalla Lombardia alla Campania per essere smaltite in discariche abusive e, in
gran parte, anche in quella autorizzata di Tufino.
L’operazione denominata "Falso Cdr" vede indagate, presso la Procura di Milano, 31 persone
tra cui ex pubblici amministratori. "L’attività illecita - hanno spiegato i dirigenti
del Nucleo di Brescia del Cfs - si concretizzava nello smaltimento illegale di rifiuti che, ufficialmente
destinati a diventare materiale combustibile, erano invece smaltiti in discariche abusive. Società
di comodo, camionisti compiacenti, capannoni fantasma, agricoltori pronti a trasformare terreni fertili
in bombe ecologiche." Il giro d’affari ammonterebbe a circa 6,5 milioni di euro.
Risale al luglio 2001, invece, la notizia della prima istruttoria in Italia per la quale vengono
contestati reati associativi finalizzati all’inquinamento dell’ambiente. E' l'operazione Cassiopea,
che riguarda proprio una parte della Campania trasformata in pattumiera d’Italia. Le zone più
colpite sono tutte in provincia di Caserta: Casal di Principe, Santa Maria La Fossa, Castelvolturno,
Villa Literno, Lago Patria. La procura di Santa Maria Capua Vetere accusa un gruppo di colletti bianchi
di aver smaltito nella sola provincia di Caserta circa un milione di tonnellate di rifiuti negli ultimi
quattro anni, quasi 100 viaggi alla settimana. Rifiuti di ogni tipo: speciali, pericolosi, urbani.
Secondo gli inquirenti sono stati sversati o seppelliti anche cadmio, zinco, fanghi di depuratori, scarti
da vernici, arsenico, piombo. Trasportati dai Tir dal Nord Italia. Novantotto le persone indagate.
Imprenditori settentrionali, faccendieri, mediatori; accusati di associazione a delinquere, disastro
ambientale, avvelenamento delle acque. Nell’inchiesta finiscono anche atti delle Procure di Torino,
Firenze, Palermo, Sassari, Spoleto. Per circa tre anni il pm di Santa Maria Capua Vetere, Donato
Ceglie, ed in Nucleo Operativo Ecologico dei carabinieri hanno indagato sul traffico di rifiuti con
intercettazioni telefoniche, pedinamenti, foto e filmati.
Il giudice per le indagini preliminari di Santa Maria Capua Vetere boccia, però, le 98 richieste
di custodia cautelare. Pur riconoscendo la validità dell’impianto accusatorio, il giudice
ritiene che ci siano problemi di competenza territoriale e che l’istruttoria non spetti alla Procura
di Santa Maria.
L’operazione Cassiopea ha aperto comunque la strada ad altre inchieste. Infatti il 13 febbraio
proprio la Procura della Repubblica di Spoleto, nell’ambito dell’indagine denominata "Greenland",
per la prima volta viene arrestata un persona per violazione all’art.53 bis del Decreto Ronchi,
attività organizzate di traffico illecito di rifiuti, individuando una struttura organizzata
dedita al
traffico illecito di milioni di tonnellate di rifiuti speciali.
Nella notte del 9 Giugno del 2004, scatta l’Operazione "Terra Mia", condotta dal Corpo
Forestale dello Stato coordinato dalla Procura di Nola, che ha avuto l'indubbio merito di far
scoprire per la prima volta che il triangolo tra Acerra, Nola e Marigliano è un triangolo
di veleni. Prima, nessuno poteva immaginarlo.
Sedici persone arrestate, 18 denunciate a piede libero, venne scoperta un'organizzazione che smaltiva
illegalmente i rifiuti derivanti dalla lavorazione dei metalli, generando un inquinamento tale da
configurare, per la prima volta in assoluto in Italia, l'ipotesi di reato di disastro ambientale.
Nel corso delle indagini, durate due anni, furono sequestrati 26 siti di sversamento illegali, ai
confini di campi coltivati o di zone sottoposte a bonifica quali i Regi Lagni.
Nella conferenza stampa che ne seguì, il comandante provinciale del Corpo forestale napoletano,
Vincenzo Stabile, dichiarò: "Il danno è irreparabile, dato che l'inquinamento da metalli
pesanti ha interessato anche le falde acquifere".
Almeno 120 ettari di terreno nel triangolo dei veleni Nola, Acerra, Marigliano, secondo gli accertamenti
degli inquirenti, sono pesantemente inquinati da polveri di abbattimento dei fumi degli altoforni
(fonti principali di diossine), dalle scorie saline, dalle schiumature di alluminio e dai car-fluff
(frazioni di rifiuti derivanti dalla rottamazione dei veicoli dopo aver eliminato le parti
metalliche).
L'operazione consentì anche di tracciare una mappa precisa delle discariche illegali nella
zona, terreni nei quali si sversava "alla luce del sole", come sottolinea Ciro Luongo, responsabile
del nucleo investigativo della Forestale che affiancò nelle indagini il Pubblico Ministero
della Procura di Nola, Federico Bisceglia.
Proprio il Pm di Nola volle anche puntualizzare che in questo caso la camorra non c'entrava nulla
o quasi, dichiarando che: "si tratta di imprenditori che operano semplicemente in questi termini di
illegalità". Tutti gli arrestati non erano legati ad alcun clan criminale. Erano semplicemente
imprenditori, addirittura "puliti", che consideravano quel modo di fare perfettamente normale, se non
legale. Questo la dice lunga su quanto il problema sia d'origine culturale, prima ancora che politica,
in Campania.5
Il problema delle bonifiche
Nel corso delle indagini che portarono all’operazione "Terra Mia", la Procura di Nola
ha sequestrato le aree contaminate, indirizzando agli enti locali competenti l'avviso che avrebbe
dovuto portare alla messa in sicurezza e alla bonifica prevista dalla legge Ronchi. Sono passati quasi
due anni da quel giorno.
Due anni dopo, in alcuni comuni dell'area, non c'è stata alcuna bonifica di quei siti. I rifiuti
sequestrati non sono mai stati messi in sicurezza.
Le aree sono state recintate, ma spesso in modo debole: sono stati apposti cartelli ad indicare che vi
sono rifiuti tossici, e poi abbandonate. Spesso a cielo aperto.
Con il passare dei mesi, spesso i cartelli sono finiti come souvenir in casa di qualche adolescente
appassionato di segnaletica stradale; con il passare delle piogge spesso nelle recinzioni si sono formate
delle falle. Due anni dopo, non è raro trovare bambini spesso ignari che giocano nelle ex discariche.
Già nel 2002 lo stesso Corpo Forestale dello Stato aveva lanciato l'allarme, nel Terzo Censimento
delle discariche abusive: solo il 21% dei siti sequestrati e non più attivi risulta bonificato o
messo in sicurezza.
A norma della legislazione vigente (Decreto Ronchi), la bonifica delle discariche spetta sempre e comunque
al responsabile (e/o proprietario) dell'area. Vi sono casi di esclusioni di responsabilità, nel
caso in cui il proprietario dimostri di non avere colpa e dolo nella gestione e/o realizzazione della
discarica.
In ogni modo il Comune deve provvedere in 30 giorni dalla segnalazione all'emissione dell'ordinanza di
sgombero e conferimento dei rifiuti; in mancanza in detto termine deve provvedere a sue spese con
successiva richiesta di rimborso.
Qualora invece i rifiuti siano abbandonati su suolo pubblico, il Comune provvede direttamente alla
rimozione in trenta giorni.
Quindi un tempo massimo di trenta giorni, a fronte di due anni di età dei suoli sequestrati dalla
Procura di Nola.
Una volta sequestrato il sito, la competenza dell'eliminazione delle scorie non è più
dei tribunali, ma viene trasferita agli Enti Locali. Che restano immobili.
Eppure, a sfogliare certi numeri della Gazzetta Ufficiale, si scopre che sono stati anche emessi,
e più di una volta, finanziamenti a pioggia ai comuni per la messa in sicurezza.
Ci si chiede quindi come mai occorra ancora assistere allo spettacolo delle discariche a cielo
aperto, con tutte le conseguenze sulla salute della popolazione.
Non è cosa nuova, in Italia, che quando arrivano i finanziamenti su opere pubbliche, il
rischio di infiltrazione negli appalti da parte del crimine organizzato è sempre alto. E
in effetti i finanziamenti pubblici per le bonifiche sono arrivanti davvero. Il ministero
dell'Ambiente e della tutela del territorio, con il decreto del 18 settembre 2001 sul Programma
Nazionale di Bonifica, ha individuato 40 siti di interesse nazionale da bonificare, per i quali
sono stati stanziati oltre 547 milioni di Euro, pari a circa 1.060 miliardi di lire, trasferiti
già alle Regioni. A questi finanziamenti vanno poi aggiunti quelli dovuti dai responsabili
della contaminazione, quando accertati.
Oltre 174 milioni di Euro sono destinati alle quattro regioni meridionali a tradizionale presenza
mafiosa. Risorse che, come denunciano gli stessi addetti ai lavori, sono a rischio di infiltrazione
mafiosa.
Se, dopo i disastri ambientali provocati dalla criminalità, i soldi pubblici dovessero
finire in quelle stesse tasche, al danno farebbe seguito anche la beffa. Quel che è certo,
e che è sotto gli occhi della popolazione della Campania, è che nonostante un
Programma Nazionale di Bonifica, di bonificato non c'è praticamente nulla.
I giorni nostri
La mattina dell'8 maggio scorso è scattata l’operazione "Madre Terra 2",
che ha portato all’arresto di 5 imprenditori, soci della "R.F.G. Srl Impianto di Compostaggio"
di Trentola Ducenta (CE). Per loro sono scattate le misure cautelari, 3 in carcere due agli
arresti domiciliari, con reati contestati molto pesanti: disastro ambientale e associazione
per delinquere per traffico illecito di rifiuti speciali e pericolosi. Sequestrato anche lo
stabilimento R.F.G. Stando alle dichiarazioni in conferenza stampa del pm Donato Ceglie della
Procura di Santa Maria Capua Vetere, la R.F.G. si è resa colpevole dello smaltimento
illegale di 38.000 tonnellate di rifiuti pericolosi, con un giro di affari di circa 3 milioni
di euro. L'operazione scaturisce da una precedente ed analoga indagine (denominata "Madre terra")
che nel mese di novembre 2005 portò all'arresto di nove persone; l'indagine, è
durata sei mesi ed ha consentito di disarticolare una vera e propria organizzazione criminale
ben radicata sul territorio.
Gli indagati, avrebbero movimentato nel solo periodo da novembre 2002 a maggio 2003 circa
quarantamila tonnellate di rifiuti, con un giro d'affari di oltre tre milioni di euro.
In nota presentata poche ore dopo l'esecuzione degli arresti, l'assessorato all'Ambiente della
Regione Campania, rende noto che il 24 marzo scorso si era provveduto a revocare, con apposito
decreto, l'autorizzazione all'esercizio dell'impianto di compostaggio di Trentola Ducenta
(Caserta). Con lo stesso atto la ditta Rfg (responsabile della trasformazione di rifiuti organici
e inorganici) è stata diffidata dall'esercitare l'attività di compostaggio e
qualsiasi altra attività ad essa collegabile, e intimata a provvedere all'immediata messa
in sicurezza ed al ripristino ambientale dell'area. Il provvedimento era scaturito in seguito
all'invio di una informativa antimafia interdittiva da parte della Prefettura di Caserta.
L’amministrazione comunale di Villa Literno, il comune maggiormente colpito dalle discariche abusive
della R.F.G., esprime soddisfazione per l'operazione del gruppo tutela ambiente che ha portato al
sequestro di numerosi terreni nell'area liternese.
Anche questo comune, dopo varie segnalazioni dell'Arpac circa terreni contaminati da fanghi tossici,
ha emesso ordinanze di diffida ai proprietari dell'area ed alla società che distribuiva il
compost tossico, intimando la messa in sicurezza e sollecitando la bonifica dei terreni. "Purtroppo
le ordinanze sono state disattese", spiega il responsabile dell'ufficio Ecologia e Ambiente del
Comune, Mario Ucciero, "e del resto il Comune non ha i mezzi tecnici né i fondi economici
per sostituirsi a chi di dovere per la bonifica dei terreni".
La particolarità dell’operazione "Madre Terra 2" sta nel fatto che agli avvisi
di custodia cautelare ha fatto finalmente seguito una reazione da parte della società
civile che, seppure in gravissimo ritardo, mostra di iniziare a comprendere la gravità
del problema.
Reagisce Confagricoltura, la quale fa rilevare che "alla meritoria azione di repressione portata
avanti dalla magistratura e dalle forze dell'ordine va affiancata una più decisa ed incisiva
azione di prevenzione, senza dimenticare gli interventi di bonifica dei siti inquinati. I disastri
ambientali ed il degrado del territorio rappresentano il problema dei problemi della Campania: se
non si pone in essere una strategia di lungo periodo per superare questa indubbia criticità
del sistema, si rischia di vanificare gli sforzi per la promozione delle produzioni di eccellenza
della nostra regione".
Reagiscono Legambiente ed il Consorzio Mozzarella di Bufala, che annunciano di costituirsi parte
civile al processo contro i 5 imprenditori.6
Passano appena tre giorni, e giovedì 11 maggio è scattata l'operazione "Dry
Cleaner", che ha impegnato il Nucleo Tutela Ambientale dei Carabinieri. Sono state eseguite
23 ordinanze di custodia cautelare, 13 sono finiti in carcere e 10 agli arresti domiciliari,
più tre ordinanze di obbligo di dimora, tutte nei confronti di persone dedite al traffico
illecito nel campo dei rifiuti. Le ordinanze sono state emesse dal gip del tribunale di Benevento.
L'indagine ha accertato la responsabilità di operatori e liberi professionisti del settore
dello smaltimento dei rifiuti, ritenuti dagli inquirenti responsabili di "associazione per
delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti speciali e pericolosi e disastro ambientale". Il
reato di disastro ambientale è relativamente giovane in Italia, essendo stato inserito nel
testo del provvedimento citato con l'articolo 22 della Legge 23 marzo 2001, n. 93, dal titolo
"Disposizioni in campo ambientale". Un reato che esiste solo dal 2001, in seguito al decreto Ronchi,
e che viene contestato oggi abbastanza raramente.
L'operazione ha portato anche al sequestro di quattro siti utilizzati per l'illecito sversamento di
rifiuti, ritenuti pericolosi per la salute pubblica. In circa otto anni sono stati smaltite
illecitamente circa 50.000 tonnellate di rifiuti pericolosi provenienti dalla Campania ma anche
dalla provincia di Foggia, confinante con quella di Benevento. L'organizzazione, formata da un
cartello di aziende perfettamente legali, dotate di una "buona reputazione" sul territorio e
presso gli enti pubblici, nonché presso il Commissariato Straordinario per i Rifiuti della
Campania, provviste di regolare certificazione antimafia ed operanti, anche con appalti pubblici
presso gli enti locali, nel settore dei rifiuti urbani ed industriali, avrebbe dovuto smaltire gli
ingenti quantitativi di rifiuti speciali, sia pericolosi sia non pericolosi che le venivano conferiti,
ma in realtà sversava direttamente su siti non autorizzati ubicati nelle campagne del
beneventano circostanti, Pesco sannita e Benevento, Altavilla Irpina, Bonito nell'Avellinese e
in corsi d'acqua superficiali, senza effettuare alcun trattamento sui rifiuti stessi. Evitando quindi
completamente ogni spesa per il trattamento di messa in sicurezza e per lo stoccaggio definitivo
dei materiali, ottenendo in questo modo un "guadagno extra" ancora da accertare con precisione, ma
stimato in diverse decine di milioni di euro. E' stata individuata un'elevata quantità di
rifiuti di tutti i tipi: scarti agroalimentari, oli minerali esausti, fanghi di fosse settiche,
rifiuti di bonifica provenienti dallo smantellamento di aree di servizio, morchie da serbatoi
contenenti idrocarburi e, soprattutto, un'elevatissima quantità di fanghi di lavanderie a
secco, da cui il nome dell'operazione.
Secondo gli inquirenti, lo smaltimento illecito andava avanti dal 1998. In tutto sono coinvolte
a vario titolo una dozzina di imprese del ramo, ma la principale è una nota azienda di
Bonito, che veniva utilizzata sia come sito terminale di smaltimento illegale che come copertura
per i propri trasporti per i quali il responsabile del gruppo rilasciava falsi attestati di
smaltimento. Infatti, ufficialmente i rifiuti risultavano stoccati e la documentazione indicava
anche i luoghi di smaltimento; luoghi che poi si sono rivelati essere uffici, garage, civili
abitazioni, discariche inesistenti. A questo si aggiunge che parte dei rifiuti provenivano anche
dalla raccolta differenziata effettuata da alcuni comuni che, ignari, hanno continuato a pagare
per il loro corretto smaltimento. Rifiuti differenziati che poi venivano illecitamente rimiscelati
ed abbandonati sul territorio, vanificando ogni sforzo dei comuni e della società civile
fatto negli anni scorsi per promuovere la cultura della raccolta differenziata.
Tra le persone coinvolte anche un chimico che presso il suo laboratorio forniva certificati di
analisi falsi per il trasporto dei rifiuti, permettendo di declassificare a rifiuti urbani quelli
che in realtà erano rifiuti industriali pericolosi. Il chimico inoltre suggeriva le
operazioni più opportune per sviare le attività di indagine.
Abbandonando sul territorio senza alcuna forma di impermeabilizzazione e di copertura i rifiuti,
tutta la fase liquida degli stessi, nell'arco di tempo dal 1998 ad oggi, si è infiltrata
nel terreno, fino a contaminare le falde acquifere. Proprio l'infiltrazione nel terreno e nelle
acque delle sostanze inquinanti contenute in questi rifiuti, ha certamente determinato la
nocività dei prodotti agricoli, con conseguente pericolo per la salute dei consumatori. Per
questo, l'autorità giudiziaria ha potuto configurare e contestare il reato di "disastro
ambientale". Anche in questo caso si è trattato di un'azione contro la cosiddetta ecomafia
dei colletti bianchi, cioè quell'imprenditoria svincolata dai veri e propri clan di camorra
ma che, semplicemente per abbattere i costi e massimizzare i profitti, assume comportamenti criminali.7
E siamo in attesa delle prossime operazioni giudiziarie, che di sicuro non terminano qui.
Cosa può fare il normale cittadino?
Indignarsi, questo è certo. Indignarsi per una cattiva gestione, spesso
collusa o quanto meno compiacente, da parte di tutti gli enti locali, ad ogni livello, e da
parte del commissariato straordinario. Indignarsi per una privatizzazione selvaggia in un
settore dove il controllo pubblico è necessario, prima che scoppi l’emergenza sanitaria.
Sì, ma nella pratica?
Non è certo necessario che tutti si mettano a praticare l’appostamento notturno in
campagna, in attesa del furgone che scarica i bidoni, ma certamente qualcosa in piccolo si
può fare.
Tanto per cominciare, come si è visto oggi il livello di guardia da parte della
magistratura è molto elevato rispetto a 10 anni fa. Di conseguenza, si è anche
modificata la strategia di sversamento da parte della criminalità campana. Oggi si
preferisce evitare di mandare in campagna il grosso TIR con centinaia di fusti, facile da
individuare e da tenere d’occhio. Si preferisce invece scaricare il TIR presso un magazzino, e
traslocarne il contenuto tossico su piccoli furgoni, a volte su degli Ape, in grado di trasportare
piccoli quantitativi e di fare più viaggi nell’arco di una notte. Il piccolo furgone va sul
luogo dove sversare, scarica le scorie e, quando non sono metalli o inerti prodotti dall’edilizia,
si aggiunge qualche copertone d’auto, si versa una tanica di benzina e si da fuoco al tutto.
Il processo di combustione di molti scarti industriali, si tratta spesso di solventi o idrocarburi,
rilascia nell’atmosfera sostanze pericolosissime, come le diossine o il Pentaclorobenzene (PCB).
La pratica è talmente diffusa che tutta l’area a nord di Napoli, in particolare quella tra
Giugliano, Qualiano e Villaricca, ma fino ad Aversa e con propaggini nell’agro nolano-vesuviano,
viene spesso chiamata la "Terra dei Fuochi", per le innumerevoli colonne di fumo nero e
denso che di notte oltraggiano il territorio.
Quel che un cittadino comune può fare è, invece di voltarsi altrove, telefonare al
1515, centralino antincendio del Corpo Forestale dello Stato, e segnalare il luogo dove è
stata avvistata la colonna di fumo. Non costa nulla farlo, e non solo perché la chiamata
è gratuita,.
In pratica, quel che il cittadino può e deve fare è proprio il non stare zitto.
1: Direzione investigativa antimafia, "Relazione sul primo semestre 2001"
2: A. Iacuelli - "La discarica della salute", in Altrenotizie, 01/03/2006, http://www.altrenotizie.org/alt/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=383
3: A. Iacuelli, “La diossina fa bene?”, in Altrenotizie, 11/03/2006, http://www.altrenotizie.org/alt/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=405
4: Il risultato dell'analisi è visibile in rete all'indirizzo http://www.altrenotizie.org/alt/images/acerra/negri.jpg
5: A. Iacuelli, “Terra Mia due anni dopo”, in Altrenotizie, 27/03/2006. http://www.altrenotizie.org/alt/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=436
6: A. Iacuelli, “Madre Terra 2”, in Altrenotizie, 10 maggio 2006. http://www.altrenotizie.org/alt/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=527
7: A.Iacuelli, “Dry Cleaner”, in Altrenotizie, 13/05/2006. http://www.altrenotizie.org/alt/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=535
Bibliografia, articoli
Libri
- Commissione Bicamerale d’Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti e attività illecite ad esso connesse, XIII Legislatura:
- Relazione sulla Campania
- Relazioni sui rifiuti speciali sanitari
- Documento sui traffici illeciti e le ecomafie
- Documento sulle tecnologie relative allo smaltimento dei rifiuti ed alla bonifica dei siti contaminati
- Relazione sulla Campania
- Commissione Bicamerale d’Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti e attività illecite ad esso connesse, XIV Legislatura:
- Documento sui commissariamenti per l'emergenza rifiuti
- Relazione territoriale sulla Campania
- Documento sui commissariamenti per l'emergenza rifiuti
Tutti i documenti delle Commissioni parlamentari sono scaricabili da Internet, all’indirizzo:
http://www.camera.it/chiosco_parlamento.asp?content=/_bicamerali/rifiuti/home.htm
- Legambiente, e Comando Nucleo Ecologico dell’Arma dei Carabinieri. "Rifiuti S.p.A.
Radiografia dei traffici illeciti". Roma, 25 gennaio 2005.
- Legambiente, "Dossier ambiente e legalità", Succivo (CE), 12 luglio 2002
Articoli
- Alfredo Mazza, "In Italia il ‘triangolo della morte’ è collegato alla crisi dei rifiuti", in "The Lancet Oncology, vol.5, settembre 2004.
- Alessandro Iacuelli, "I rifiuti della politica", in "Altrenotizie", 27
aprile 2006, http://www.altrenotizie.org/alt/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=498
- Cinzia Colombo, "La calda estate campana non è ancora finita", in "E & P", "La Nuova Ecologia", novembre-dicembre 2004.
- Tutti gli articoli citati nelle note.
Alessandro Iacuelli è laureato in Fisica, giornalista free lance nel settore energia e ambiente, fa parte della redazione della testata on line "Altrenotizie", dove ha curato inchieste sull'emergenza gas dell'inverno 2005/2006, sul nucleare in Italia e sui rifiuti tossici e le ecomafie in Italia meridionale. Proprio su questo tema, si sta occupando a tempo pieno da molti mesi della particolare "emergenza" che vive la Campania da quasi 15 anni. Di origine napoletana, sta così tornando a seguire la "sua" terra, il commissariamento straordinario dei rifiuti, le attività ecomafiose legate alla presenza camorristica, e l'aspetto sanitario che sta provocando un aumento dei casi di cancro nella regione.
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