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«Sempre più tornado, quanti possiamo sopportarne?»

Sovrappopolazione e effetto serra: parla Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana
31 agosto 2005
Matteo Bartocci
Fonte: www.ilamnifesto.it
30.08.05

New Orleans «Fin dalla scorsa primavera i dati raccolti dagli studiosi americani avevano suggerito una stagione degli uragani di questo tipo». Luca Mercalli, climatologo e presidente della Società meteorologica italiana indica nel riscaldamento globale una delle cause principali dell'aumento delle catastrofi naturali. «Per questi fenomeni - spiega Mercalli - è normale che ci siano delle fluttuazioni però negli ultimi dieci anni c'è stato un aumento degli uragani, che sono più frequenti e più violenti che in passato».

Perché, secondo lei?

Nello stesso periodo abbiamo misurato un aumento della temperatura della superficie dell'Atlantico nell'ordine di un grado. Non è l'unico fattore ma almeno è un fattore certo. Un aumento anche modesto della temperatura basta a scatenare fenomeni giganteschi perché su quella scala geografica la quantità di energia coinvolta è pari a quella di alcune esplosioni atomiche.

A cosa è dovuto il riscaldamento dell'acqua?

E' uno dei tanti sintomi che va d'accordo con il quadro di riscaldamento globale. Purtroppo nelle scienze ambientali non esiste mai la prova definitiva. Abbiamo una Terra sola, non esiste un laboratorio con due oceani, uno immacolato e uno in cui bruciano per anni petrolio e carbone. Però ci sono decine di indicatori che tutti insieme parlano di un riscaldamento globale: i ghiacciai che si ritirano, gli uragani che aumentano, il polo Nord con meno ghiacci, l'aumento della temperatura dell'aria e dell'acqua. Sono tutti dati che vanno in una sola direzione. E' chiaro che rimane il dubbio: fino a che punto questi episodi sono di origine naturale o sono causati dall'uomo. Ma ciò non giustifica l'inerzia, perché si possono intraprendere comunque azioni virtuose a prescindere.

Si riferisce al «protocollo di Kyoto»?

Certo ma non solo. I combustibili fossili generano gas serra e dunque ridurne l'uso è una strategia vincente. Migliorare le politiche economiche e energetiche migliora anche il clima.
In una «società del rischio» ha ancora senso parlare di catastrofi naturali? Un terremoto in Giappone non è come uno in Sri Lanka...
E' vero che la reazione è diversa a seconda dei paesi ma secondo me ci sono meno disparità di quelle che immaginiamo. Prendiamo Cuba. Lì il sistema di allarme funziona anche se è un paese con meno risorse degli Stati uniti. I poveri però più che fuggire non possono fare. I ricchi invece devono ricostruire e infatti se si eccettua il costo in vite umane le catastrofi sono più costose per le società industrializzate, dove i danni aumentano in proporzione alla popolazione e al capitale assicurato.

Il problema dunque è il tipo di sviluppo?

Pensiamo a Cina, India e Bangladesh. La verità è che c'è un problema di sovrappopolazione. E' il numero delle persone coinvolte che crea la catastrofe. Io non voglio avallare una visione protezionistica dell'ambiente, perché l'ambiente evolverà comunque anche nelle peggiori condizioni. Il problema è squisitamente di natura umana: vogliamo garantirci un mondo decente dove vivere o vogliamo essere sommersi dalla nostra spazzatura? Se facendo questo riesco anche a costruire un'«etica della natura» tanto meglio ma per me non è un dogma.

Invidia qualcosa agli scienziati americani?

Il loro pragmatismo. Il disordine latino in cui parlano tutti non aiuta. Negli Usa di fronte a un problema gigantesco hai l'impressione che ognuno sappia cosa fare, anche perché fanno delle grandi esercitazioni. Io penso però che sono preparati per legge e anche per cultura. Quando vedo le persone che inchiodano con calma quei pezzi di legno alle finestre li ammiro. Penso che in Italia anche una cosa così semplice sarebbe quasi impossibile.
E' inevitabile che il clima sia percepito ancora come una minaccia?
Il tempo ha sempre influito sull'uomo. Fino a un secolo fa ne eravamo schiavi. Se non pioveva la gente moriva di fame o emigrava. Poi la tecnologia ha risolto un po' di problemi. Il problema di oggi invece è capire dove arriva la soglia in cui i fenomeni climatici mettono in crisi il tuo sistema tecnologico. Tra un po' New Orleans si asciugherà e tra dieci anni sarà tutto come prima. Ma quanti uragani possiamo sopportare? Quanti tutti insieme? Fino a quando l'uomo e il sistema economico sono in grado di sopportare questi eventi e di ricucire le ferite?

Qual è il problema climatico numero uno?

I gas serra, che cambiano la quantità di calore che entra ed esce dall'atmosfera. Anche se è vero che ancora non sappiamo come reagisce a questo il sistema climatico nel suo complesso.

Qual è invece il maggior rischio italiano?

Sicuramente le alluvioni, perché mettono a rischio tutto il patrimonio di infrastrutture. Nel 2000 la piena del Po ha fatto 30-40mila miliardi di lire di danni, più di una finanziaria. Non abbiamo fatto una pianificazione adeguata del territorio. E' da qui che dobbiamo partire.

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