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Le solite promesse mancate

In vista del G8 di Gleneagles, il timore della comunità scientifica internazionale è sempre lo stesso: sulle agende dei potenti della terra non c'è spazio per la questione ambientale
7 luglio 2005
Fred Pearce

Tony Blair Al summit del G8 di Gleneagles non si affronterà seriamente la questione, “evidente ed allarmante”, del problema ambientale: questo oggi è il principale timore della comunità scientifica dei climatologici.

Nel 2004, il premier britannico Tony Blair affermò come l’azione atta a contrastare il cambiamento ambientale fosse, unitamente al tema della povertà nel continente africano, una priorità assoluta in vista del G8 scozzese del 2005, sotto la presidenza della Gran Bretagna.
Per sollecitare la questione ai politici, Blair convocò una conferenza di scienziati nel febbraio del 2005 per dibattere sull’incombente rischio della ‘rivoluzione climatica’ e su come agire per prevenirla.

L’incontro, tenutosi a Exeter, nell’Inghilterra sud-occidentale, portò a concludere che tale rischio era “molto più serio di quello che ci si poteva aspettare”. Il ministro dell’ambiente del governo britannico, Margaret Beckett, dichiarò che “la conferenza segnerà una svolta nella percezione del problema del cambiamento climatico. Mai come in passato si avverte il bisogno di un’inversione di tendenza”.

Will Stephen, il principale scienziato dell’ ’International Geosphere-Biosphere Programme’, organizzatore della conferenza di Exeter, racconta delle proprie perplessità su come il messaggio possa essere recepito dai leader dei paesi del G8.
“È chiaro che il rischio connesso al riscaldamento del pianeta è molto più consistente di quanto potevamo pensare, anche soltanto fino ad un anno fa”, ha affermato Stephen in un’intervista al New Scientist. “I governi dei paesi industrializzati dovrebbero tenere conto di questi sviluppi raggiunti dalla comunità scientifica internazionale”, ha aggiunto.

Un altro responsabile dell’incontro di Exeter, John Schellnhuber, direttore del centro di ricerca ‘Tyndall Centre for Climate Change Research’ di Norwich, in Gran Bretagna, ha dichiarato: “Il nostro grande dilemma è il fatto che i programmi governativi di politica ambientale trascurano le dinamiche di cambiamento del clima in modo decisamente preoccupante”.
E ha aggiunto: ”Al summit di Gleneagles si dovrà riconoscere l’urgenza di mettere in pratica iniziative concrete, ad esempio la riduzione delle emissioni inquinanti per i paesi appartenenti al G8 del 25% entro il 2025”. È bene ricordare infatti che i paesi del G8 sono responsabili del 45% del totale delle emissioni globali di diossido di carbonio.

Tornando indietro nel tempo, nel 1992 i grandi della terra garantirono di prevenire la pericolosità del riscaldamento globale al momento di sottoscrivere la Convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (‘UN Framework Convention on Climate Change’) al Summit della Terra di Rio De Janeiro.
Tra le nazioni coinvolte figuravano anche gli Stati Uniti, che, come noto, poi hanno rifiutato di aderire al protocollo internazionale di Kyoto sulla riduzione dei gas-serra.

In realtà, la conferenza di Exeter non è stata efficace nel definire la realtà drammaticamente rischiosa del riscaldamento del pianeta. Tuttavia, ha portato alla catalogazione di una serie di improvvisi e disastrosi cambiamenti dei processi climatici, che potrebbero verificarsi in caso di innalzamento della temperatura globale da 1 a 3 gradi centigradi, tra cui:

• Lo scioglimento incontrollato delle calotte polari con relativo innalzamento del livello delle acque marine, anche di molti metri;

• L’interruzione del sistema delle correnti oceaniche, come quello della Corrente del Golfo;

• La trasformazione degli ecosistemi planetari, da assorbitori dei gas-serra a potenziali grandi emettitori.

Nel marzo del 2005, l’Unione Europea, che tra i suoi membri comprende quattro paesi del G8, convenne sulla necessità di evitare che la temperatura del pianeta crescesse di oltre 2 gradi centigradi, già innalzatasi di 0,6 gradi dall’era pre-industriale. Ma, considerando i ritardi manifestatesi nei cicli dei sistemi naturali, e considerando l’inerzia termale degli oceani, l’ipotesi di un riscaldamento globale di tale entità non è poi così lontana.

I timori sollevati dagli scienziati sulla possibilità che il loro messaggio non venga recepito si è intensificato nel giugno scorso, la serie dei negoziati della dichiarazione di Gleneagles, tra cui quello contenente la frase a caratteri cubitali ”il mondo si sta riscaldando”, non trovò tutti e otto i leader d’accordo fra loro.

Ma anche soltanto “una semplice constatazione ufficiale del fatto che il problema ambientale costituisce una realtà ineluttabile per cui sarà necessario intervenire, rappresenterebbe già un passo in avanti”, sostiene Myles Allen dell’Università di Oxford, che ha a Exeter ha presentato uno studio che dimostra come il rischio della catastrofe ambientale sia diventato doppiamente più preoccupante rispetto al recente passato.

Uno dei rappresentanti dei principali governi a essere presente all’incontro di Exeter è stato David King, il capo dei consulenti scientifici del primo ministro inglese. A Gleneagles, però, egli non rappresenterà alcunché.
“La sua agenda è piena di altri impegni”, ha affermato il portavoce di King al New Scientist.

Note: Tradotto da Luca Donigaglia per Nuovi Mondi Media
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