Torino 2006: uno scempio che produce soldi
http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2005/un10/art3650.html
Umanità Nova, numero 10 del 20 marzo 2005, Anno 85
A Torino infuriano le polemiche sui buchi del Toroc e sulle divisioni che attraversano il management. Nell'autunno scorso il presidente Valentino Castellani ha seriamente rischiato il posto, per poi essere nella sostanza commissariato dal governo con l'invio a Torino di Mario Pescante, sottosegretario allo sport con poteri di supervisore e controllore. Contemporaneamente è scoppiato un violento conflitto tra il direttore generale Rota ed il suo vice Pochettino, con scambio di accuse, minacce di querele e sospetti di appropriazione indebita. Il fatto è che le vere cifre della kermesse olimpica sono un fitto mistero, circondato da una spessa coltre di bugie e reticenze. Attualmente mancano all'appello 160 milioni di euro, su un bilancio Toroc di oltre 1,10 miliardi di euro. Con un provvedimento recente il governo ha "trovato" 80 milioni, mentre per l'altra metà occorre ancora ideare lo stratagemma per fare comparire dal nulla un bel pacco di soldi. Come si sa, l'impresa olimpica, partita nel lontano 1999, viene gestita da due enti distinti: il Toroc, che rappresenta il comitato organizzatore destinato a gestire preparazione e realizzazione dell'evento; l'Agenzia Torino 2006, che deve costruire le infrastrutture e le opere destinate ad ospitare i Giochi. Dalla fase del progetto, nel periodo 1998/1999, agli step successivi del 2002 e 2003, il bilancio delle risorse impiegate è decollato verso l'alto con una classica accelerazione esponenziale, come accade sempre in questi casi. Dai 1091 miliardi di lire previsti nel 1999, si è progressivamente passati agli oltre 2000 della fine del 2002, per poi arrivare ai 3640 miliardi del 2003 (Ghigo ha parlato, a settembre 2003, di 1880 milioni di euro). In questo momento non esistono aggiornamenti ufficiali su quanto si è già speso a consuntivo, né si riesce ad avere un preventivo su quanto possa essere il bilancio finale dell'evento: l'unica cosa nota sono le polemiche ed i rimpalli di responsabilità tra i vari centri decisionali, che si accusano reciprocamente di non fare abbastanza per assicurare il "decollo" dell'iniziativa. Messi in difficoltà dalle critiche ai propri comportamenti poco chiari e trasparenti, i vertici del Toroc hanno reagito accusando la Rai di non dare abbastanza spazio alle iniziative olimpiche e le imprese italiane di lesinare i soldi per le sponsorizzazioni. Eppure guardando l'elenco ufficiale degli sponsor, abbiamo l'impressione che abbia funzionato il solito arruolamento d'ufficio dei soliti noti: Fiat-Iveco, Sanpaolo, Tim e Telecom compaiono come sponsor principali, un buon numero di multinazionali come Top Sponsor (Coca-cola, McDonalds, Visa, Samsung, Panasonic, ecc.), e addirittura la contestatissima Finmeccanica tra gli sponsor ufficiali (una delle più importanti aziende di armamenti a livello mondiale, inserita in una manifestazione che vuole essere sport, cultura, gioco, amicizia…), insieme ad una multinazionale come l'Adecco, specializzata nell'organizzazione del lavoro precario.
La realizzazione di un evento come i Giochi implica una serie di costi sociali e ambientali ben noti. L'assetto di un'intera regione viene stravolto e ridisegnato in funzione di un evento che dura pochi giorni e lascia dietro di sé una serie di strutture costosissime, destinate ad utilizzi d'elite, con manifestazioni saltuarie, del tutto sovradimensionate rispetto ad una concezione dello sport come dimensione ricreativa di massa. Nel contesto urbano torinese la realizzazione delle strutture destinate ai giochi sta avvelenando la vita a centinaia di migliaia di persone ormai da alcuni anni, costrette ogni giorno a fare i conti con blocchi del traffico e sconvolgimenti dei normali tempi di spostamento. Le grandi aree direttamente coinvolte sono numerose e sparpagliate in vari punti della città: il loro collegamento implica un pesante intervento sul sistema dei trasporti, che si innesta sui lavori precedentemente iniziati sul passante ferroviario e la linea 1 della Metropolitana. La spina che taglia in verticale la città sulla dorsale della ferrovia Torino-Milano, da nord fino a sud, alla stazione del Lingotto, rappresenta una gigantesca occasione di ristrutturazione edilizia, che è anche un momento di valorizzazione economica, senza precedenti, di vaste aree urbane dimesse da precedenti attività manifatturiere. Quanto sta accadendo è ben chiaro a chi percorre il cavalcavia da Corso Vigevano a Corso Mortara, tra la Spina 3 e la Spina 4, dove un tempo sorgevano le officine Savigliano, la Michelin, la Fiat Grandi Motori, le fonderie di Corso Mortara: oggi una distesa di gru a perdita d'occhio sta alzando palazzi a 10/12 piani, un alveare di migliaia di alloggi, in vendita a prezzi tra i 2000-2500 euro al metro quadro, in linea di massima piccoli, bassi, brutti e standardizzati, destinati a fasce medio-basse della popolazione. Non distante da qui sorgerà il villaggio di 700 alloggi destinato ai giornalisti accreditati per le Olimpiadi, che saranno poi completamente smontati, ricostruiti e venduti. Più a sud, verso il centro, dove 'è la Spina 2, nelle aree limitrofe al Politecnico, un tempo occupate dalla Materferro e dalla Officine di Riparazione delle ferrovie, sorgeranno i due grattacieli della Regione e del Sanpaolo, destinati ad uffici e centro direzionale. Nella zona sud della città, tra Piazza d'Armi, il Lingotto e Mirafiori, sorgerà la parte più importante delle opere olimpiche: il Palaghiaccio di Corso Tazzoli, l'Oval Lingotto ed il villaggio olimpico (destinato ad ospitare atleti e parenti), il Palasport olimpico, di fianco all'ex Stadio Comunale, il nuovo Palavela, ognuno destinato a fasi e gare diverse dei giochi.
Questa enorme riprogettazione degli spazi ha arricchito un po' tutti quelli che hanno le mani in pasta. L'hanno fatto da padroni ovviamente tutti gli interessi legati alla speculazione edilizia. La spartizione degli appalti e dei diritti di edificabilità è avvenuta, sin dal 1998/99, con criteri rigorosamente "bipartizan". Solo per fare un esempio, sulla Spina 3 hanno lucrato alla grande le Cooperative "rosse" Di Vittorio e San Pancrazio, che hanno costruito circa 1500 alloggi attorno al nuovo Ipercoop, un centro commerciale enorme che ospita, al piano superiore, un impianto multisala con 10 cinema, di proprietà della Medusa del Cavalier Berlusconi. Ma sulla stessa area hanno piantato la propria bandierina anche le cooperative "bianche" legate alla Cooperativa Unione e all'Acli Casa. L'Acli Casa è massicciamente presente anche sulla Spina 4, dove accanto alle cooperative è ben rappresentata anche l'edilizia privata, inclusa la Parisi Costruzioni del futuro deputato forzitaliota Salvatore Parisi, un tipo che ha tappezzato Torino con la sua faccia rassicurante e lo slogan "una casa per tutti" (ovviamente pagandosela).
I principali beneficiari della impresa olimpica sono ovviamente la Fiat e le immobiliari che man mano ne hanno rilevato le proprietà fondiarie. Il Lingotto stesso è passato più volte di mano, passando dagli Agnelli al gruppo Zunino (Risanamento, Ipi), poi agli immobiliaristi romani emergenti, Statuto e Coppola. La sede storica della Fiat in Corso Marconi è passata di recente alla Beni Stabili di Leonardo Del Vecchio, il padrone della Luxottica che si è fatto i soldi con le montature per occhiali e adesso diversifica i suoi investimenti anche in altri campi. Gli utilizzi "produttivi" di aree urbane un tempo asservite ad utilizzi industriali e strumentali cedono così il passo a grandi operazioni speculative, spesso finanziate dalle risorse pubbliche, basate sul cambiamento di destinazione d'uso. La rendita fondiaria, che un tempo si pensava avviata ad una lenta eutanasia, riscopre una nuova vita e riempie le tasche di tutti quelli che chiudono le fabbriche.
Al di fuori del tessuto urbano, le Olimpiadi non sembrano certo in grado di avviare un nuovo ciclo di sviluppo. La sede principale delle gare montane è sicuramente la Valsusa, già prostrata nel recente passato dalle conseguenze della chiusura del tunnel del Monte Bianco e investita da flussi di traffico pesante che ne hanno velocemente peggiorato le condizioni ambientali. L'Alta Velocità produrrà qui i suoi effetti più devastanti, con un tunnel da scavare in una zona molto ricca di amianto ed altri materiali letali per la salute umana. I lavori per le infrastrutture olimpiche, con il loro carico di sventramenti e di cementificazione, non possono che alterare ulteriormente le precarie condizioni di equilibrio dell'Alta Valle. I flussi di finanziamento hanno riguardato, principalmente, la viabilità e le infrastrutture alberghiere, mentre dal punto di vista ambientale e sociale sono aumentati solo i guasti di uno sviluppo etero-diretto, basato sulle necessità di un turismo che viene da fuori, consuma rapidamente risorse scarse e torna da dove è venuto, senza alcun rispetto per il contesto locale. In questo senso, le Olimpiadi sono esattamente l'opposto di quanto proclamano di essere: anziché avvicinare i popoli e favorire la comprensione reciproca, innescano dinamiche competitive, di accaparramento, aumentano le disuguaglianze tra il gruppo sociale che gestisce l'evento traendone cospicui vantaggi personali, ed il resto della popolazione che le subisce senza alcuna possibilità di rappresentanza delle proprie istanze.
Le lobby di potere che vengono attivate dall'organizzazione dell'evento olimpico riescono ad appropriarsi, prima del suo svolgimento, di importanti flussi finanziari, spartiti tra imprese costruttrici, titolari di aree urbane, studi tecnici di consulenza, progettazione e architettura, banche finanziatrici, notai e studi legali che stendono contratti e capitolati d'appalto. La gestione dell'evento permette poi un'altra grande ondata di business, legato allo sfruttamento mediatico dei diritti televisivi per i tre miliardi di spettatori interessati, ed al grande potenziale di utili ottenibili con la vendita degli spazi pubblicitari.
In totale contrasto con i principi che professano, i Giochi accresceranno l'intolleranza razzista, relegando le minoranze etniche presenti nelle comunità urbane (a Torino maghrebini e rumeni soprattutto) in una condizione di stretto controllo e repressione, insieme a tutti gli altri gruppi sociali che non si identificano nel modello di convivenza imposto dal potere. Abbiamo già assistito a numerosi eventi legati ai Giochi caratterizzati da una grande selezione elitaria. La stessa vendita dei biglietti ed il loro prezzo dimostra che non si tratta da una grande festa collettiva, ma di un lusso cui solo un ristretto campione di popolazione può accedere, in una competizione selettiva dove la classe dirigente riconosce se stessa e si autolegittima a comandare.
L'evento sportivo viene così totalmente snaturato e diventa affare economico a beneficio di pochi privilegiati. Anche questo ambito deve quindi diventare terreno di riflessione e di scontro, per chi intende lottare per un modello di sviluppo autocentrato e sostenibile, e non è disposto a cedere agli altri il diritto di decidere sul proprio futuro.
Renato Strumia
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