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E per i malati sempre meno servizi

4 gennaio 2005
Roberto Polillo (Responsabile delle Politiche della salute CGIL nazionale)
Fonte: Liberazione

La vicenda dell'ospedale Spallanzani di Roma e della progressiva perdita di identità e di qualità assistenziale della struttura è lo specchio fedele di quel mix di pressappochismo tecnico scientifico e autoritarismo che caratterizza la politica sanitaria del governo Berlusconi e del suo ministro della Salute, il professor Sirchia. La trasformazione in atto dell'ospedale, infatti, origina da una strategia occulta e poco trasparente in cui gli obiettivi dichiarati sono la dissimulazione di fini perseguiti e decisi fuori dalle sedi istituzionali di competenza (Parlamento, Regione, Comune). Così, uno degli ospedali all'avanguardia nella cura delle patologie HIV correlate, realizzato dopo anni di lotta e dopo che la "moderna peste" aveva già falcidiato migliaia di vittime, sta progressivamente cambiando la sua "mission" in assenza di dibattito, di trasparenza e programmazione. Il ministro della Salute, con la acquiescenza silenziosa del presidente della Regione Storace, sta determinando la deriva dell'Istituto verso i lidi limacciosi del "bioterrorismo" dopo avere scelto un management assolutamente complanare a questo progetto e indifferente alle questioni sollevate con preoccupazione da cittadini e associazioni della società civile.

In realtà, nella trasformazione dello Spallanzani in un "fortino" attrezzato contro attacchi bioterroristici esterni, talmente remoti e improbabili da non poterne rappresentare il vero motivo, l'ospedale si va sempre più impoverendo nella sua capacità di rispondere alle necessità reali di malati in carne ed ossa. E' stato definitivamente chiuso il passaggio di collegamento con il San Camillo, rendendo sempre più difficoltosa l'esecuzione di quelle irrinunciabili consulenze che un Centro altamente qualificato deve avere per essere all'altezza delle necessità di ricerca e cliniche. Il reparto di pediatria, uno dei pochi della nostra regione a non sembrare un lazzaretto, è stato privato della degenza da tempo.

Altri reparti hanno subito identica sorte: sono state chiuse la Rianimazione, la Gastroenterologia e un notevole ridimensionamento ha subito la Pneumologia; parimente ridotta la possibilità di avere consulenze specialistiche (mancati accordi, disdette) mentre una vera interruzione ha subito il servizio di psichiatria. Ci si chiede allora come e in che misura, in mancanza di tali servizi ed in particolare di un reparto di rianimazione, si potrà dare adeguata assistenza ai malati in condizioni critiche (insufficienza respiratoria, insufficienza di circolo e renale) quali quelle che si presenterebbero proprio in caso di emergenza batteriologica e da attacco con agenti biologici (antrace, febbri emorragiche, peste polmonare e vaiolo), fermo restando che tali complicanze insorgono già nei pazienti attualmente trattati in ospedale.

Dove saranno assistiti questi malati? Continueranno ad essere trasferiti con mille difficoltà al San Camillo anche in assenza, come avviene ora, di una semplice convenzione tra le parti che ne disciplini il trasbordo? E ancora cosa dire della costruzione di un Hospice, mai attivato. Di fronte a tali sprechi come si giustifica la chiusura della Pediatria e delle altre strutture perché considerate unità economicamente improduttive (ma la salute può essere sempre anche produttiva?) Non si è comunque rinunciato a incrementare le spese di rappresentanza con la completa ristrutturazione dell'amministrazione (arredamento dell'edificio, sala mediatica ultra moderna) e con l'istituzione di 6 o 7 Unità Operative Complesse Amministrative (più di quelle cliniche nel frattempo ridimensionate) nettamente ipertrofiche per un istituto di 170 posti letto. E' dunque questa la qualità gestionale che persegue il management dell'Istituto?

Una seconda questione: ammesso e non concesso che nelle sedi istituzionali si fosse convenuto sulla necessità di istituire un centro per lo studio del bioterrorisno anche nel nostro paese perché collocarlo nello Spallanzani? Il quale si trova al centro di un popoloso quartiere e all'interno del più grande complesso ospedaliero di Europa (L'Azienda San Camillo-Forlanini)? E perché invece non costruirlo, come avvenuto negli Usa, in un luogo lontano dai centri abitati, in una struttura dove possa essere garantita a pieno la necessaria sicurezza nei confronti dei cittadini e dei suoi lavoratori che invece così possono essere esposti a rischi assolutamente non controllabili? Come si può immaginare di collocare un laboratorio di massima sicurezza, per cui occorrerebbe di un bunker scavato nella roccia o nel sottosuolo, a pochi metri da reparti e ambulatori affollati da una umanità dolente, immunodepressa e preda delle infezioni opportunistiche più devastanti, a cui tra l'altro con le misure finora assunte è stato reso particolarmente difficile l'accesso ai servizi di cui necessitano? E' questo il succo disarmante della vicenda: un ospedale gioiello viene sacrificato in un progetto che nessuno ha visto, discusso e approvato che compromette sensibilmente le funzioni assistenziali finora svolte e che può comportare un vero pericolo per la salute pubblica.

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