Uranio impoverito in Kosovo: e' morto il caporale Luca Sepe
E' morto ieri mattina nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Cardarelli, Luca Sepe, il caporalmaggiore che contrasse nel 2001 il linfome di Hodgkin, al rientro dal Kosovo. E nonostante il male che lo costringeva a cicli di chemioterapie, aveva voluto partecipare nello scorso novembre ai funerali dei carabinieri morti a Nassiriya.
Luca voleva indossare l’uniforme un’altra volta per il suo matrimonio. Aveva espresso questo desiderio appena due settimane fa, dopo l’ennesimo ricovero al Cardarelli. Per tre anni ha combattuto la sua guerra. Ma non ce l’ha fatta. La morte, ieri mattina ha portato via dal reparto di Rianimazione del Cardarelli, la ventisettesima vittima dell'uranio impoverito, utilizzato nelle armi in dotazione all'esercito italiano nel corso della guerra dei Balcani. Era il caporalmaggiore Luca Sepe, piccolo grande eroe di Cardito, 27 anni appena e un amore sconfinato per l' arma. Ha gettato la spugna contro quel terribile male, il linfoma di Hodgkin, contratto negli anni di servizio in Bosnia. Dell' uranio impoverito, di cui sapeva poco o nulla. Vittima della pace, Luca. Forse, quella divisa tanto amata la indossera' ancora una volta, l’ultima, per il suo funerale. Il soldato Sepe era andato volontario in Kosovo nell’ottobre del ' 99. Uno dei tanti eroi sconosciuti che partono per le missioni umanitarie e vivono anni, in paesi ostili rischiando la vita per regalare la pace ai popoli in guerra. La sua strenua battaglia contro il linfoma contratto in servizio come altri 260 militari italiani, non aveva fiaccato la sua voglia di esserci e l’attaccamento alla patria. Cosi incurante dei medici, a novembre, all’indomani dell’attentato a Nassiriya aveva detto: «Voglio esserci anche io con loro, con i miei amici carabinieri. Cosi anche se per un giorno aveva lasciato il suo lettino d’ospedale ed era andato ai funerali. Lui si era ammalato nel 2001, al rientro dalla missione nella ex Jugoslavia. A capire di quale male fosse preda era stato Enzo Mettevier della II Clinica di Ematologia del Cardarelli. Il suo calvario e' stato segnato negli ultimi anni da lunghi cicli di chemioterapie e infiniti controlli. «Ho girato tutto il Kosovo - raccontava spesso Luca - ho frequentato le zone dei bombardamenti. Ho avuto contatti con una struttura contaminata, perche' ci avevano ordinato di rimuovere un' antenna abbattuta dalle bombe americane. Lo abbiamo fatto. Era la fine di ottobre del ' 99 e nessuno ci aveva mai parlato dell' uranio impoverito. Ieri davanti alla Rianimazione del Cardarelli sono stati in tanti, parenti, amici, militari, a voler dare l’ultimo saluto a Luca. «Era andato in Kosovo per aiutare il prossimo. I medici mi avevano detto che era in condizioni disperate. Vorrei solo che la sua morte non fosse inutile - ha detto il papa' Antonio - e che altri giovani non siano colpiti dalla sua sorte. Appena qualche giorno fa Antonio aveva confermato l’interesse dell’Esercito nei confronti di suo figlio. «Ho contatti frequenti - aveva detto - con il comandante del Distretto militare di Napoli che ci ha sempre manifestato la solidarieta' delle Forze Armate. I colleghi avevano donato anche il sangue per lui. E la morte di Luca ha riacceso la polemica sui possibili devastanti effetti dell’uranio impoverito sulla salute dei 260 soldati, ammalatisi al rientro dal Kosovo e sui 27 decessi. Molti parlamentari, dai Verdi ai Ds, dalla Lega a Rifondazione hanno chiesto al Governo di far chiarezza su una vicenda ancora per molti versi oscura. Lorenzo Forcieri dei Ds ha chiesto l’istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta. Pino Sgobio dei Comunisti Italiani ha lanciato un appello al presidente Ciampi e al premier Berlusconi. «Non ci sara' mai una prova provata - ha detto - che a causare il linfoma a Luca e agli altri, sia stato l’uranio impoverito. Ma certo l’uranio non fa bene, e credo che riconoscere la causa di servizio sia il minimo che si possa fare per onorare la memoria di questi ragazzi .
Tracce di radioattivita' furono individuate in otto degli 11 siti bombardati in Kosovo nel 1999 con uranio impoverito. Numerose le inchieste aperte tra cui una della Procura di Santa Maria Capua Vetere. E anche se non ci sono ancora riscontri ufficiali sono in molti a collegare i decessi all’uranio. Poche settimane fa e' stata inflitta una condanna al ministero della Difesa che paghera' oltre 500mila euro alla famiglia di Stefano Melone, un militare morto dopo una lunga malattia contratta in missioni dove era stato a contatto con l'uranio impoverito.
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