Una discarica all'uranio a La Spezia
C'era di tutto, in quella discarica abusiva in piena zona militare e a un passo dal parco naturale delle Cinque terre. Dalle macchinette del caffé alle «tubazioni contenenti coibentazioni d'amianto», dalle lavatrici alle «coibentazioni d'amianto sfuse», dai «beverini» alle «batterie al piombo e al nichel cadmio», ai «condensatori e trasformatori contenenti Pcb e/o Pct», come si legge nella perizia ordinata dal sostituto procuratore spezzino Rodolfo Attinà e firmata dall'ingegner Tito Boeri. Rifiuti legali mescolati a materiali illegalmente smaltito, tutto insieme a formare un micidiale cocktail che ha inquinato anche terreni e acque. In tutto 13.500 metri cubi di «rifiuti pericolosi» in un'area di 16.607 metri quadrati, che sono costati un avviso di garanzia con l'accusa di «deposito/abbandono incontrollato al suolo di ingentissimi quantitativi di rifiuti» per gli ultimi due direttori dell'Arsenale militare di La Spezia, Dino Nascetti ed Ermogene Zannini. Ora si apprende che in quella discarica a cielo aperto, separata dal centro abitato e dal porticciolo di Cadimare da un muro divisorio di un paio di metri, c'erano anche materiali radioattivi. 760 chilogrammi di uranio impoverito, per la precisione, in gran parte contenuti nelle pale di elicotteri, dove il metallo pesante viene usato come stabilizzatore per il suo alto peso specifico, il resto in piccoli dischi di due centimetri di diametro e mezzo centimetro di spessore che vengono inseriti nei segnalatori delle navi. Erano lì da chissà quanto tempo, probabilmente accumulate negli anni, un vero e proprio pugno nell'occhio per chi si affaccia dall'alto della strada che conduce verso Portovenere, in uno dei luoghi naturalisticamente più belli d'Italia. Ma com'è stato possibile che per anni nessuno se ne accorgesse? La risposta è semplice: i militari non hanno mai permesso ad autorità civili di verificare da cosa fosse composto quell'ammasso informe di rottami e cosa contenessero quei bidoni stoccati uno sull'altro in file di quattro. Tanto che è si è saputo solo mesi dopo l'inizio dell'inchiesta e il sequestro dell'area, vale a dire pochi giorni fa, che le pale di elicottero incriminate sono state trasferite alla chetichella al Cisam di San Piero a Grado, Pisa, un'altra struttura militare, per essere «lavate» lì. Per questo i parlamentari della commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti che domattina visiteranno la discarica non le vedranno, anche se lo spettacolo che si troveranno di fronte sarà appena meno inquietante.
Il sindaco di La Spezia Giorgio Pagano, diessino, specifica che lui non vuole che i militari italiani vadano via da La Spezia, perché gran parte dell'economia cittadina ruota attorno alla loro presenza, «però cosa vogliono? Non dovevo denunciare la presenza di una discarica abusiva?» D'altronde, se è vero che «su dieci chilometri di golfo la città ha a disposizione appena 400 metri», quella della discarica appunto, è altrettanto vero che «la città subirebbe un colpo grave se i militari dovessero andare via tutti d'un botto», spiega il segretario locale del Prc Aldo Lombardi, che dall'esperienza da segretario della Camera del lavoro di Caorso ai tempi della centrale nucleare ha tratto una grande esperienza nel campo e la tendenza a non disgiungere i problemi ambientali da quelli occupazionali. Però, visto che l'abolizione della leva e il ridimensionamento dell'arsenale hanno ridotto di molto la presenza dei militari, «forse è giunto il momento che alcune aree vengano restituite alla città». E soprattutto che ci sia più trasparenza, per evitare scandali come quello della discarica di Campo di ferro o come quello della «collina dei misteri» di Pitelli, la cui vicenda ispirò addirittura una copertina del settimanale inglese Business week.
I risultati della perizia ordinata dalla procura spezzina sono infatti inquietanti: oltre ai rifiuti visibili, in superficie, ve ne sarebbero altri sepolti, con la «contaminazione diffusa dei terreni del sottosuolo», dove sono finiti «materiali metallici di varia natura, latte e barattoli di vernici e diluenti, fusti metallici vuoti o pieni; batterie e pile, pneumatici, materiali contenenti amianto». E delle acque sotterranee, dove sono state rilevate grandi quantità di ferro, alluminio e manganese. Analisi effettuate tre anni fa dall'Arpal di La Spezia, invece, dimostravano un'anomala presenza di Pcb nelle acque e nelle colture.
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