Atomiche da nascondere
Mordechai Vanunu ha respinto una proposta fatta dalle autorità israeliane: libertà immediata in cambio del suo silenzio sui segreti del nucleare militare israeliano. Il settimanale americano Newsweek ha scritto che un esponente di primo piano dei servizi di sicurezza lo scorso anno ha incontrato il tecnico nucleare israeliano nella prigione di Ashkelon, offrendogli la possibilità di lasciare subito la sua cella. Vanunu invece ha scelto di rimanere in carcere fino al giorno della sua scarcerazione (21 aprile) e di scontare tutta la condanna a 18 anni di carcere (di cui 11 trascorsi in isolamento totale) subita nel 1986 per aver rivelato al giornale britannico Sunday Times la produzione di ordigni atomici nella centrale israeliana di Dimona, nel deserto del Negev. «Mordechai ha detto che non rinuncerà alla sua libertà di pensiero e di espressione», ha detto a Newsweek Mary Eoloff, l'insegnante americana in pensione che, assieme al marito, ha legalmente adottato negli anni passati Vanunu nel vano tentativo di fargli ottenere la cittadinanza statunitense e con essa la libertà. «Ha detto che continuerà a lottare contro le bombe atomiche anche se non subito. Una volta uscito dal carcere cercherà per prima cosa di rifarsi una vita», ha aggiunto Eoloff. Ma Vanunu tornerà davvero ad essere un uomo libero, potrà ricostruirsi una esistenza normale? I dubbi sono forti, anzi, con ogni probabilità, le autorità israeliane adotteranno misure restrittive intorno al tecnico nucleare che, dopo quasi venti anni, potrebbe rivelare altri particolari sulla produzione di armi di distruzione di massa in Israele. Le forze di sicurezza si preparerebbero ad invocare una vecchia legge che impedisce a persone in possesso di informazioni «particolari» di poter lasciare il paese. Peggio ancora, ha lasciato intendere il portavoce del ministero della giustizia, Yaacov Galanti, Vanunu potrebbe essere posto agli «arresti amministrativi», come i palestinesi, ovvero nuovamente incarcerato, senza un processo e una condanna, per «ragioni di sicurezza». Il problema che il governo israeliano si pone non è tanto legato alle rivelazioni che il prigioniero potrebbe fare una volta libero - le sue informazioni sono vecchie di una ventina di anni - quanto invece al periodo politico e diplomatico in cui avverrà la sua scarcerazione. I prossimi mesi infatti potrebbero vedere Israele sotto pressione, sollecitato da più parti a rinunciare al suo arsenale nucleare, dopo che i fatti hanno dimostrato che l'Iraq non aveva più armi proibite dopo il 1991, l'Iran di recente ha aperto i suoi siti atomici alle ispezioni internazionali e la Libia ha annunciato di voler rinunciare ai suoi programmi di armamento non convenzionale. Vanunu che nel 1986 si trovava all'estero, venne sequestrato a Roma da agenti del Mossad e riportato a Tel Aviv. Le sue rivelazioni, fatte al Sunday Times, squarciarono il velo di silenzio che da trenta anni copriva il programma nucleare israeliano che pure era ben noto in Occidente e che ancora oggi non esiste ufficialmente. Grazie anche alle informazioni e fotografie di Vanunu, esperti internazionali hanno calcolato che Israele possiede oltre 200 testate nucleari, che lo rendono la sesta potenza atomica al mondo. Il programma nucleare israeliano ebbe inizio qualche anno dopo la fondazione dello Stato nel 1948 al Dipartimento di Ricerca sugli Isotopi al Weissman Institute of Science, sotto la direzione di Bergmann, il «padre della bomba israeliana», che nel 1952 fondò la Commissione israeliana per l'Energia Atomica. Secondo indiscrezioni gli USA sono stati coinvolti sin dall'inizio nello sviluppo della capacità nucleare israeliana, addestrando scienziati e fornendo tecnologia. E' stata tuttavia la Francia a fornire l'assistenza maggiore con la costruzione della centrale Dimona, un reattore ad uranio naturale e a riprocessamento di plutonio (situato vicino Bersheeba, nel deserto del Negev) diventato operativo nel 1964. L'uso del plutonio sarebbe cominciato subito dopo. Il problema più grosso che Israele ha dovuto affrontare è stata la mancanza di uranio che sarebbe riuscito ad avere illegalmente grazie al silenzio, durato molti anni, di Francia e di altri paesi occidentali. Sempre sulla base di indiscrezioni pubblicate dalla stampa, una società americana, la Nuclear Material and Equipment Corporation, avrebbe trasferito centinaia di libbre di uranio arricchito a Israele dalla metà degli anni `50 alla metà dei `60.
Autori di libri sul nucleare, hanno scritto che Israele risolse questo problema alla fine degli anni `60, sviluppando stretti legami con il Sudafrica: Tel Aviv forniva la tecnologia e le competenze, la controparte provvedeva all'uranio. Il Sudafrica avrebbe costruito la sua bomba atomica grazie proprio alla collaborazione israeliana. Di recente Israele ha lasciato capire che potrebbe rinunciare al suo arsenale atomico quando in Medio Oriente verranno raggiunto accordi di pace definitivi. Gli Stati arabi invece sottolineano che il nucleare israeliano rappresenta un pericolo per la sicurezza della regione e, qualche settimana fa, il direttore dell'Agenzia atomica Mohammed El-Baradei ha esortato Tel Aviv a liberarsi delle sue bombe atomiche che contribuiscono alla corsa agli armamenti in Medio Oriente.
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